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Gabriel Batistuta e la Fiorentina: nella vita esiste un solo Grande Amore


Si può sbattere in faccia una nuova relazione al Grande Amore della tua vita? È davvero necessario sbaciucchiare l’attuale partner di fronte a chi, magari per tanti anni, ti ha amato – e che tu hai amato – più di qualsiasi altra cosa al mondo? In molti lo fanno: per ripicca, per vendicare chissà quale torto, oppure semplicemente per dimostrare a lui/lei che sai essere felice anche senza averlo/a accanto. Ma è pur sempre una sorta di tradimento postumo, anche se quella storia fa ormai parte del passato. Non è un caso che si parli degli “amori della vita” e del “Grande Amore”. I primi possono essere tanti, il secondo è uno e uno solo. Non esistono “i Grandi Amori” all’interno di un’esistenza. Fateci caso: si usa sempre il singolare. Certe cose sono irripetibili. Per maggiori informazioni al riguardo, chiedete all’ ACF Fiorentina e a Gabriel Omar Batistuta.

Il loro Grande Amore si è interrotto da pochi mesi, quando i due si rincontrano allo Stadio Olimpico di Roma. Si è interrotto per modo di dire, perché alcune storie in realtà non finiscono mai. È il 26 novembre del 2000 e la Roma, la nuova squadra del Bati, è prima in classifica dopo sette giornate. Gran parte del merito va all’attaccante argentino che, assistito da Totti, ha già messo a una tripletta e due doppiette.

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La Lazio è Campione d’Italia in carica, il caffè costa 1500 lire e al governo c’è Silvio Berlusconi.
Tre settimane prima la Serbia, finalmente libera dai macellai Milosevic e Arkan, è entrata a far parte  dell’ONU.
Due settimane prima, negli Stati Uniti, George W. Bush si è aggiudicato le presidenziali per un soffio. Gli americani pensano di aver toccato il fondo, ma non sanno che sedici anni dopo i Repubblicani sceglieranno un candidato persino peggiore.

Questa è, a grandi linee, la situazione, mentre i giallorossi non riescono a penetrare nel fortino costruito da Fatih Terim a ridosso della sua area di rigore. I ragazzi di Capello sono meno brillanti del solito, e a dieci minuti dalla fine la gara sembra ormai destinata allo 0-0. Tutti gli occhi sono stati puntati su Batistuta, inevitabilmente, ma il Re Leone ha deluso. Come prevedibile, del resto: è la prima volta che si trova ad affrontare la squadra in cui ha militato per nove lunghi anni, della quale è stato capitano e idolo assoluto. Prima della gara, ha salutato lo spicchio di tifosi viola accorsi nella capitale per rivederlo. Loro hanno alzato il coro “Bati-Bati-Bati-Batigoooool!”, che in un attimo è stato ripreso dall’intero stadio. Per un paio di minuti, è sembrato che tutti tifassero per la stessa squadra. In realtà l’Olimpico è la donna gelosa, che vede il proprio partner scambiare qualche effusione con la sua ex, e si affanna per riavere la sua attenzione.

Ci ha provato in un paio di circostanze, a colpire il suo Grande Amore, Batistuta. Ma senza convinzione, senza quella cattiveria e quell’esplosività che fanno di lui il miglior centravanti in circolazione. Prima una girata al volo ben respinta da Toldo. Poco più tardi, lanciato in contropiede da Totti, ha esitato un istante di troppo, permettendo a Repka di chiuderlo proprio quando sta per calciare. Qualcuno dagli spalti borbotta che oggi il Re Leone non è il solito. Si aggira per il campo e sì, si dà da fare, ma… “Non chiedetemi un bacio”, sembra dire; “non davanti a lei”.

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Quando siamo ormai agli sgoccioli, la Roma si lancia in un vero e proprio assedio. C’è persino Zago, nell’area avversaria. Proprio il brasiliano riceve palla da Guigou, la controlla male e ne esce fuori un campanile. È lo stesso Guigou a raccoglierlo, appoggiando di testa verso un compagno. Il giallorosso in questione ha il numero 18 sulle spalle, è proprio lui: Gabriel Batistuta da Avellaneda, 332 presenze e 207 gol in maglia viola. Che lascia rimbalzare il pallone e si coordina. Quindi lo impatta con il destro, di controbalzo.

È l’ottantreesimo minuto e lo Stadio Olimpico trattiene il respiro. Tutti, anche i tifosi toscani, tacciono per quella che sembra un’eternità.

La palla ci mette in realtà un secondo ad attraversare i venti metri che la separano dalla porta. A Bati, però, sembrano nove anni. Quasi una decade, prima di vedere la rete gonfiarsi e sentire l’urlo liberatorio dei suoi nuovi tifosi e quello di dolore degli altri. Un tragitto fatto di gioie e dolori, di lacrime e di urla festanti. Un tragitto che comprende una retrocessione in Serie B e la promozione dell’anno immediatamente successivo, la Coppa Italia vinta grazie ai suoi otto gol e la Supercoppa di “Irina te amo!”, la qualificazione in Champions’ League e quella rete che ammutolì Highbury. Nel tragitto di quel pallone ci sono Mario Cecchi Gori che lo portò a Firenze, Sebastiao Lazaroni e Gigi Radice, Aldo Agroppi e Claudio Ranieri, Alberto Malesani e il buon vecchio Trap con i suoi fischi alla pecorara. Nell’arcobaleno disegnato dal suo destro, Bati rivede Carnasciali e Brian Laudrup, Effenberg e Lorenzo Amoruso, Firicano e Padalino (anzi, Firicanopadalino (ché vanno nominati sempre insieme, quasi fossero un’unica entità bicefala), Lulù Oliveira e Ciccio Baiano, “Spadino” Robbiati e “Soldatino” Di Livio, Rui Costa e Amoruso, Heinrich e Cois. Rivede la Curva Fiesole che ribolle passione e le bandiere viola con il giglio rosso al centro. Risente nelle sue orecchie quel coro, quello che per quasi dieci anni ha infiammato le rive dell’Arno e Ponte Vecchio e Piazza Santa Maria Novella e persino gli Uffizi.

Poi il tiro scavalca Toldo e si insacca sotto la traversa.

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Bati non esulta. Si sente un traditore, anche se sa di aver fatto semplicemente il suo lavoro, anche se sa che nella vita ci sono cose più importanti di una partita di calcio e di un gol. Mentre Guigou, Zago, Cafu, Montella e Zebina lo abbracciano e gli saltano in testa, Gabriel scoppia a piangere. Totti gli sussurra qualcosa all’orecchio, poi lo prende in braccio, come si farebbe con un bambino da consolare. È un gesto bellissimo, di un calore umano e di un’intensità indescrivibili.

Al triplice fischio, Batistuta si asciuga le lacrime che hanno continuato a solcargli le guance per i dieci minuti che hanno seguito quel gol. Ma rivedendo le immagini dell’esultanza giallorossa, si vede chiaramente, anche se solo per due secondi, la smorfia di dolore autentico sul volto del Re Leone. Che avrebbe preferito di gran lunga non baciare la sua fidanzata di fronte a quello che è stato – anzi, che È – il suo Grande Amore. Al singolare, perché ne esiste uno solo.


Lorenzo Latini

Giornalista per vocazione, scrittore per necessità dell’anima, sognatore di universi paralleli, non ha mai ceduto alla realtà. Nostalgico all’ultimo stadio, posseduto dal “Sehnsucht” Romantico, pessimista cosmico e permaloso cronico; ritiene che i Rolling Stones, la Roma e la pastasciutta siano le cose fondamentali per cui valga la pena vivere.

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