READING

“El Magico” Gonzalez, l’idolo di...

“El Magico” Gonzalez, l’idolo di Maradona che si rifiutò di essere il migliore


Oggi viviamo in un’epoca in cui qualsiasi cosa è “top”. E’ top questo, è top quello. E’ top l’amico che si fa la foto buffa e l’amica in posa sensuale; è top il nostro cantante preferito e l’attore che ha recitato particolarmente bene in un film. Siamo sprofondati in un pozzo ossessivo-compulsivo in cui la smania di competizione è isterica e – quel che è peggio – necessaria. Guai a essere semplicemente bravissimo, o peggio ancora uno dei tanti: tu DEVI essere top. Amen. Pena l’oblio, il grigiore di una vita che lontana dal “massimo” sembra farsi inutile. Devi essere il migliore e, cosa ancor più importante, devi farlo sapere al mondo, condividere con lui i tuoi irraggiungibili successi.  “Top”, possibilmente con la freccetta all’insù. Non è semplice e comprensibile bisogno di popolarità, ma anche, allo stesso tempo, necessità di dimostrare che sei meglio degli altri.
TOP: Tremendamente Ossessionati dal Primato.

In principio fu il top-player. Una mattina ci svegliammo e scoprimmo che i vari Aguero, Messi, Ronaldo & Co. non erano più “campioni”, o “fuoriclasse” o “grandi calciatori”. Da un giorno all’altro, divennero dei top-player. Vabbè, pensammo, e chiamiamoli così, allora. Poi però, mentre ci riflettevamo, ci dicevamo: Michael Thomas non è mai stato top, anzi; eppure chiedete ad un tifoso dell’Arsenal di raccontarvi le gioie che ha saputo regalargli quel centrocampista dinoccolato. Perché in fondo, diciamocelo chiaro e tondo: ma che male c’è a non essere “il top”? In fondo si vive bene uguale, a ben pensarci. Oriali non è mai stato top, ma ha vinto un Mondiale. E lo stesso dicasi per Grosso, per Taffarel e per Schwarzenbeck. E c’è anche chi non solo non è stato “top”, ma in carriera non ha vinto proprio nulla. Eppure è diventato immortale, e soprattutto è amato persino più di chi invece ha lottato sempre per essere il migliore. Jorge Alberto Gonzalez Barillas non è mai stato ossessionato dalla competizione sfrenata: lui è semplicemente un Mago. Anzi, meglio: “El Magico”.

gonzalez2.

“Tecnicamente, è il calciatore più forte che io abbia mai visto”. Queste parole sul suo conto le ha pronunciate il signor Diego Armando Maradona, che ebbe l’opportunità di giocarci insieme per un’estate, quando Gonzalez si unì al Barcellona per una tournée negli USA. Chi c’era, in occasione di quel precampionato, sostiene che il Mago oscurò letteralmente El Pibe de Oro. Non sappiamo quanto di vero ci sia in queste parole, ma di certo in campo fece faville. Purtroppo, le fece anche di notte, dentro il letto. A Los Angeles, infatti, accadde che nell’albergo dove alloggiavano i blaugrana scattò l’allarme antincendio: nel giro di pochi minuti, tutti si ritrovarono nella hall, Maradona compreso. Mancava solo lui. Il tecnico, l’inglese Venables, ebbe il suo bel da fare per scovarlo: alla fine, lo trovò all’interno di una camera in compagnia di due bionde mozzafiato. “Beh, che c’è? Non avevo ancora finito, qui…”.

Via. Al Barça certe cose non vengono tollerate: i catalani lo rispediscono al Cadiz, dove militava già da due stagioni prima di quel provino. Poco importa che si tratti della Segunda Division, per il Magico fa lo stesso. Si è integrato talmente bene sulla costiera dell’Andalusia, terra di confine tra Europa e Africa, tra civiltà occidentale e orientale, che quella città fondata dai Fenici nell’undicesimo secolo avanti Cristo è diventata, a tutti gli effetti, casa sua. La gente lo ama: i tifosi sono la sua famiglia, il pallone il suo fratello di sangue, i bar e i locali i suoi cugini, la spiaggia è la madre tra le braccia della quale ci si rifugia nei momenti difficili. Le ombre della Torre Tavira e del castello di San Sebastian che si allungano sulla strada nel tardo pomeriggio sono i confini del suo regno. Va bene così, per Jorge: una città con poco più di centomila abitanti, una squadra modesta, la gente che ti ama di un amore sincero, mai soggetto alla corrente dell’Oceano Atlantico, né al vento che in inverno soffia senza pietà da sud-ovest. Quel vento, che viene dal centro America, ha l’odore e il sapore di casa, di El Salvador.

Quel vento lo ha portato da San Salvador proprio in Spagna, nel 1982: ci sono i Mondiali di calcio e la Nazionale di quel paesino incastrato tra Guatemala, Honduras e Nicaragua si è qualificata per la prima volta nella sua storia. Merito del Mago, principalmente. Zero punti e un totale di tredici gol incassati in tre gare (dieci glieli rifila l’Ungheria il 15 giugno a Elche), ma le giocate di Jorge non passano inosservate. Sul talento col numero 11 mettono gli occhi Fiorentina, Atalanta, Paris Saint-Germain, Real Sociedad e Cadiz. Gonzalez sceglie quest’ultima: un po’ perché intuisce che il folle tatticismo in voga in Italia metterebbe a dura prova il suo talento anarchico, un po’ perché PSG e Real Sociedad puntano alla vetta, un po’ perché l’Oceano Atlantico che bagna Cadiz gli ricorda casa. Non gli interessa primeggiare, non è animato da alcuno spirito di competizione, El Magico. Come molti altri sudamericani, per lui il calcio è divertimento.

gonzalez1.

“Riconosco che non sono un santo: mi piace la notte e la voglia di far baldoria non me la toglie neanche mia madre. So che sono un irresponsabile e un cattivo professionista. Ma ho una pazzia in testa: non mi piace approcciarmi al calcio come ad un lavoro. Se lo facessi non sarei me stesso. Gioco solamente per divertirmi”, dirà dopo la sua brevissima avventura al Barcellona. Allora meglio Cadiz: meglio la placida e allo stesso tempo infuocata tifoseria dell’Estadio Carranza, che gode della Bellezza, quella che non si fa schiava di risultati, titoli e classifiche. Quella forse fine a se stessa, ma proprio per questo capace di lasciare senza fiato.

E saranno tanti, innumerevoli, i sospiri che il Mago regalerà alla sua gente. Quella creatura notturna, amante della movida e delle belle donne, con un casco di lunghi ricci corvini, farà sentire quella cittadina andalusa il centro del mondo. “Sì, voi avrete pure Maradona, Sanchez, Valdano e Butragueño… Ma noi abbiamo El Magico”. E poco importava se la mattina non si alzasse per andare agli allenamenti, che rincasasse all’alba e che le sanzioni del club fossero frequenti come temporali a novembre.

Perché al popolo di Cadiz (e del Cadiz), per perdonarlo, basta tornare con la mente all’estate del 1983, quando in occasione del “Torneo Carranza” i gialloblù ospitano il Barcellona. Il match è iniziato senza Gonzalez, che la mattina è arrivato all’appuntamento con la squadra con due ore di ritardo: all’intervallo, con il Mago in panchina e i blaugrana avanti per 3-0, i circa ventimila spettatori si fanno sentire: “Ma-gi-co! Ma-gi-co! Ma-gi-co!”, gridano. “Ok, allora: se è questo che volete… Gonzalez, vai dentro”, dice il tecnico. E il salvadoregno, nell’arco di una mezzora, capovolge letteralmente la partita con due gol e due assist. Il tutto contro la squadra che appena un mese prima lo ha scartato a causa della “disavventura” in California.

“Era solo un’amichevole”, dicono i cinici numerofili.
“Un professionista non si comporta in questo modo, a prescindere dal talento”, borbottano i catenacciari castra-talenti.
“Il fatto che non abbia voluto cimentarsi sul grande palcoscenico del calcio europeo, dimostra una mediocrità di ambizioni che fanno di lui uno dei tanti”, notano quelli cresciuti a pane e scudetti.
Obiettivi, ambizione, competizione, trofei, voglia di essere top. A tutti i costi, fino alla fine, perché vincere è l’unica cosa che conta.

gonzalez.

La verità è che, se oggi incontraste Jorge Alberto a bordo di un taxi a San Salvador (già, perché ora fa il tassista) e gli faceste notare tutte queste cose, lui probabilmente si stringerebbe nelle spalle, sorriderebbe guardandovi nello specchietto retrovisore e direbbe: “Mi sono divertito, ho ballato e amato nella notte. Ho giocato a calcio e in una cittadina spagnola mi considerano il più grande di tutti. Il resto, le coppe e i record e la testa della classifica, lo lascio a chi non ha altro per sentirsi felice”.


Lorenzo Latini

Giornalista per vocazione, scrittore per necessità dell’anima, sognatore di universi paralleli, non ha mai ceduto alla realtà. Nostalgico all’ultimo stadio, posseduto dal “Sehnsucht” Romantico, pessimista cosmico e permaloso cronico; ritiene che i Rolling Stones, la Roma e la pastasciutta siano le cose fondamentali per cui valga la pena vivere.

Commenti

commenti


RELATED POST