Sono una persona curiosa. Ad incuriosirmi sono quasi sempre le storie che non ho mai sentito o la musica che non ho mai ascoltato, i cibi che non ho mai assaggiato, quello che non capisco sin dalla prima volta, le persone che si siedono da sole sulle panchine, le frasi dette a mezza voce per non farmele sentire, gli avvisi di giacenza lasciati dal postino perché in casa non c’era nessuno, le copertine dei libri letti da chi viaggia in treno.
Ma in un’ipotetica classifica, il primo posto sarebbe sicuramente occupato dalle cose che non so fare. “Paper cut London” corto ideato, diretto e animato da Philip Evans unisce sotto lo stesso breve formato non una ma ben due cose che non so fare: l’animazione e lo skateboarding. Per questo ho contattato Philip, videomaker di natali irlandesi, per farmi spiegare come funziona. Oltre che per conoscerlo meglio.
Cavoli, l’educazione prima di tutto!
Seguendo la corsa dello skater Jak Pietryga per le strade e gli scorci urbani di Londra, il corto si anima grazie a tracce cromatiche e segni grafici, a tagli e pieghe, allo stropicciarsi della carta sulla quale sono stampate le immagini.
Il tappeto musicale elettronico creato ad hoc dall’amico e collaboratore di vecchia data di Evans, Andrew “Gibbo” Gibbons (e scaricabile qui) è contrappuntato da rumori in presa diretta. Dalle voci e dai suoni della città, dallo scorrere irregolare delle ruote sulle superfici altrettanto irregolari di marciapiedi, asfalti, panchine, dallo schioccare della tavola sotto la sollecitazione di ogni salto ed evoluzione.
La sottocultura degli skaters è il soggetto principe di tutta la produzione di Evans. Un mondo sotterraneo (ma non troppo) al quale si è avvicinato da giovanissimo, mentre guardava il fratello più grande e i suoi amici aggirarsi per le strade sulle loro tavole, alla fine degli anni ’80.
“Mi sono interessato seriamente alla cosa nel 1996 e da allora non ho più smesso. Ero tornato a Bray all’epoca e avevo iniziato a frequentare un negozio a Dublino, il G1. Ero allo stesso tempo affascinato e intimidito dalla cultura, dai vestiti, dai video e dalla musica, dallo slang e ovviamente dallo skating stesso. Mi sembrava un mondo segreto che nessun’altro conosceva, come quando scopri una band che ti piace prima che diventi popolare”(ride).
Appena sotto la superficie dell’estetica, il valore sociale e culturale dello skating, ampiamente esplorato da Evans nel documentario “Coping Mechanism“, dove una comunità di skaters costruisce con le proprie mani uno skate park nella città svedese di Malmo, ricevendo l’aiuto e il supporto dei suoi abitanti che riconoscono le potenzialità del progetto.
Se dal punto di vista narrativo tutto sembra filare liscio e senza sorprese, il corto nasce da un procedimento tecnico certosino, come è giusto che sia quando si parla dell’animazione che usa la carta come supporto. Le scorciatoie non sono ammesse, come rivela Phil nell’intervista che mi ha rilasciato, “ho realizzato che non esiste un modo veloce per farlo, quindi ho girato il filmato in HD ed esportato ogni suo fotogramma per stamparlo. Dopo averlo stampato (su differenti tipi di carta) ho disegnato/tagliato/ripiegato la carta stessa per poi scannerizzarla di nuovo. Ci sono grosso modo 3500 fogli di carta lì dentro”.
Una tecnica che pur avvalendosi del digitale profuma di analogico, la strada migliore per chi, come Evans, si avvicina all’animazione con un approccio da “uomo delle caverne”: “ho provato con l’animazione digitale, senza esserne particolarmente ispirato. Preferisco usare le mie mani il più possibile. La prima volta ho provato con una super 8, usare una videocamera digitale e uno scanner mi sembrava molto più semplice. Ad ogni modo ho sempre una vaga idea del tipo di immagine che voglio creare, comincio a giocare con i materiali fino a che non inizia a funzionare. Solitamente i migliori risultati vengono fuori dagli incidenti”.
Un progetto, quello di “Paper cut London”, basato sulla sperimentazione in prima persona, sul pasticciare con le mani simile a quello di un bambino che affonda le dita per la prima volta nel colore acrilico. Ma basato allo stesso tempo sull’esplorazione spaziale della realtà urbana e della liturgia della comunità di skaters che la vive.
Tra i prossimi progetti di Evans la possibilità di esportare il modello di Paper cut in una nuova città, fatta di nuovi rumori e di nuovi spazi ampi o stretti, su più livelli, da solcare.
Posti segreti nascosti in piena vista a cui di solito noi bipedi non prestiamo attenzione ma che assumerebbero tutto un altro aspetto dall’alto di una tavola di legno su ruote.
Beatrice Lombardi
Laureanda presso il CITEM di Bologna è nata 26 anni fa dal tubo catodico. Dopo anni di amore e odio con mamma Televisione e papà Cinema ha deciso di percorrere nuove strade ed è scappata con il Web.