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Serge Najjar e le fotografie di una Beirut diversa

Serge Najjar e le fotografie di una Beirut diversa


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Libano. Una delle terre più martoriate, crocevia di popoli in guerra, incapaci di dialogare, terra in cui la povertà regna. Serge Najjar lo racconta in chiave nuova e differente alle solite immagini a cui siamo abituati.

Nato a Beirut, Serge studia legge e si forma professionalmente come avvocato; è recente il suo avvicinarsi alla fotografia, risale a circa 5 anni fa. Sin dagli inizi il suo fotografare è stato rivolto alla sua terra, col tentativo di raccontarlo fotograficamente in maniera nuova e quasi insolita concentrandosi sulla sua architettura dai toni brutali e, oserei dire, disarmanti in quanto vi è un alternarsi di bellezza e bruttura, di grigio e di colore.

Lavora sullo scatto da realizzare in modo che ci sia sempre una presenza umana, come a voler dare vita, animo e speranza in un posto che sembra non averne più e non vedere un orizzonte di possibilità future. Spesso sono dei bambini o ragazzini ad essere immortalati; che sia casuale? Da sempre rappresentano il futuro, la bellezza e da loro si trae la forza e il desiderio di andare avanti, di dare il proprio contributo per una vita migliore.

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Seppur il suo fotografare è frutto di un percorso da autodidatta, è evidente un’armonia compositiva che racchiude in se elementi non solo prettamente tecnici ma anche emozionali, in cui si evince anche una conoscenza dell’arte moderna e della sua risonanza nella società comune. Serge ha una passione quasi ossessiva per l’architettura riportata nel dettaglio, in cui il focus sono le inquadrature di poche linee che quasi si astraggono dal contesto e che vengono riportate alla realtà dalla presenza della figura umana; quasi a voler ricreare un luogo non luogo che si discosta dallo scenario quotidiano e straziante della vera Beirut.

Se ne vivessi, forse perderei un po’ della mia libertà. 

E’ questa la frase che mi ha definitivamente convinta a raccontarvi di lui e in primis a conoscerlo meglio attraverso la sua storia, i suoi fotogrammi. Quel che gli preme sottolineare sempre è il suo non voler fare di ciò un lavoro, un sostentamento per vivere. Questo gli regala un maggiore respiro espressivo, libero da doveri di cronaca o similari. Come spesso accade, anche la sua fotografia si è diffusa grazie ad un account Instagram che man mano ha visto un progressivo aumento dei followers; viene contattato da diverse redazioni per interviste a cui rimaneva sempre incredulo per l’interesse mostrato. Ha partecipato a diverse esposizioni, anche europee e adesso è rappresentato da Tanit, una galleria tedesca con sede a Beirut.

Voglio concludere l’articolo con una sua citazione:

È il lato ludico della fotografia quello che mi piace; si è già parlato abbastanza di guerra e di cose negative, guardiamo al nostro paese con un piccolo sorriso.

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Claudia Tornatore

Sognatrice, a tratti poggio i piedi sulla terra e ogni tanto salgo sulla luna. Laureata in scienze umanistiche, considero l’arte il fulcro della (mia) vita. La mia tesi? Arteterapia. Scrivo di fotografia, mi diletto con essa : è nella mia vita da che ho memoria, in fasi e forme differenti. Amo il colore, il tè nero, gli incontri inaspettati, i sorrisi, la voglia di cimentarsi in cose nuove e la mia bellissima Sicilia.

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