L’adagio secondo cui “il battito d’ali di una farfalla può scatenare un uragano dall’altra parte del mondo” lo conosciamo tutti, ormai. Il cinema e la letteratura, prendendo spunto dalla Teoria del Caos e dagli scritti del matematico e meteorologo Edward Lorenz, si sono sbizzarriti sulla tematica: Ray Bradbury e Philip K. Dick ne hanno fatto un vero e proprio cavallo di battaglia nella loro rivisitazione della science-fiction. I film “The Butterfly Effect”, “Sliding Doors” e “Mr. Nobody”, seppur con le dovute distinzioni, si rifanno proprio alla domanda posta da Lorenz: “Può il battito di una farfalla in Brasile scatenare un tornado in Texas?”.
Quante volte ci è capitato, nel corso della nostra vita, di chiederci: “E se in quella determinata circostanza le cose fossero andate diversamente? Se non avessi lasciato la mia prima ragazza, oggi sarei sposato e padre di tre bambini? Se avessi accettato quel lavoro negli USA, oggi sarei un milionario che vive in un elegante loft dell’Upper East Side?”. La domanda alla base, sulla quale ognuno può effettuare tutte le varianti del caso, è sempre la stessa. “What if…?”. “E se…?”.
E se Kennedy non fosse stato assassinato? (Stephen King se l’è chiesto, sfornando il suo ennesimo mattone-capolavoro).
E se le Torri Gemelle non fossero state abbattute?
E se Hitler avesse vinto la II Guerra Mondiale?
E se John Lennon e Paul McCartney non si fossero mai incontrati?
E se Baggio non avesse sbagliato il rigore nella finale di USA ’94 contro il Brasile?
Ecco, dunque, che su quest’ipotesi ci siamo divertiti ad immaginare una serie di eventi alternativi rispetto a quelli che conosciamo.
Poniamo che tutto vada esattamente allo stesso modo fino al tiro del Divin Codino.
Sbagliano Baresi e Marcio Santos, e ok.
Poi segnano Albertini, Romario, Evani e Branco.
Quindi il portiere brasiliano Taffarel intercetta il piatto incerto di Massaro e Dunga porta i verdeoro in vantaggio.
Siamo 3-2, quando Roberto si presenta sul dischetto per l’ultimo rigore azzurro. Forse…
I passi all’indietro, dopo aver sistemato il pallone, sono quelli che ricordiamo tutti, fino al centro della lunetta; l’occhiata nervosa che dà all’arbitro è la stessa, anche la rincorsa verso la sfera. Solo il tiro cambia, ma non di molto. Taffarel si butta e all’istante capiamo che è spiazzato, perché Baggio ha sparato una cannonata alla destra dell’estremo difensore. Ma la traiettoria è leggermente più bassa, giusto quel tanto che basta: la palla scheggia la parte bassa della traversa e finisce in porta. Un po’ come in quella pubblicità di qualche anno fa. Gol! Siamo pari!
Ora il destino è nei piedi di Bebeto e nei guantoni di Pagliuca. Le telecamere indugiano sulla smorfia di tensione di Pelè in tribuna, quindi staccano sull’attaccante brasiliano che si appresta a calciare. Gianlucone nostro, con la sua espressione da triglia appena sveglia, intuisce tutto.
Il tiro è angolato, ma l’estremo difensore della Samp si tramuta in un gatto e devia la palla sul palo, poi la agguanta e ci si accartoccia sopra. Si va ad oltranza!
Donadoni segna, riscattando l’errore di quattro anni prima contro l’Argentina in semifinale. Siamo avanti!
È il turno di Viola, subentrato a Zinho nei supplementari. Pagliuca è carico come non mai, sa che è l’occasione di una vita, sa che con un’altra parata entrerebbe di diritto nella Storia. Resta immobile mentre l’attaccante paulista prende la rincorsa. Baggio è al centro del campo, abbracciato ai compagni: trattengono il respiro e sperano, gli Azzurri. Perché, come diceva il Conte di Montecristo, “fino al giorno in cui Dio si degnerà di svelare all’uomo i segreti dell’avvenire, tutta la più alta sapienza d’un uomo consisterà in queste due parole: attendere e sperare”.
Viola calcia forte, ma centrale. Pagliuca si sta buttando alla sua sua sinistra, ma con la mano di richiamo riesce ad intercettare il pallone. Che ricade a terra a pochi centimetri dalla linea di porta e sta per entrare, ma Gianluca si rialza e la abbranca.
Siamo Campioni del mondo!
Il Divin Codino corre verso il portiere insieme a Donadoni, Nicolino Berti e Paolino Maldini. Piange come un bambino che ha appena realizzato il suo sogno. Dalla panchina arrivano a tutta velocità Signori, l’altro Baggio (Dino), Minotti e Conte, che raggiungono Roberto e lo gettano a terra e lo abbracciano e gridano frasi sconnesse. Sacchi è stretto nell’abbraccio dei suoi collaboratori e non riesce a muoversi, fino a quando Tassotti e Costacurta se lo caricano sulle spalle e lo portano verso il centro del campo.
E poi c’è Baresi che alza la Coppa e solo in quel momento gli italiani si rendono conto che ora siamo davanti a tutti, che nessuno a parte noi ne ha vinte quattro. E nelle case e nelle piazze esplode la gioia e la gente pensa che questa forse è la più bella di tutte, più bella persino dell’ ’82, perché è stata sofferta dall’inizio alla fine. Perché abbiamo passato il girone solo grazie alla differenza-reti, perché con la Nigeria eravamo sotto a 2′ dal termine e con la Spagna il gol decisivo è arrivato all’ 87′ e con la Bulgaria il secondo tempo è stato un’agonia. Ma grazie a Baggio, grazie a quel codino che tutti i bambini dello Stivale si sono fatti crescere, mandando in crisi un’intera generazione di barbieri, abbiamo vinto. È merito suo, ché si è caricato sulle spalle la squadra e l’ha portata qui, a baciare una coppa dorata nel caldo torrido del primo pomeriggio a Pasadena, California.
Dopo quel Mondiale, il presidente del Real Madrid Ramon Mendoza, da poco rieletto, convince la Juventus a cedergli il Divin Codino in cambio di tanti miliardi, il cileno Ivan Zamorano ed un giovane attaccante spagnolo che promette molto bene e risponde al nome di Raùl Gonzalez Blanco. L’impatto di Baggio con la Liga, però, non è dei migliori: complice l’ennesimo infortunio al maledetto ginocchio, è costretto a saltare la prima metà della stagione. A dicembre, comunque, France Football gli consegna il secondo Pallone d’Oro consecutivo. Rientra a febbraio, e nei seguenti tre mesi totalizzerà 12 presenze e sei gol (uno dei quali, decisivo, nella vittoria per 2-1 contro il Barcellona).
L’anno seguente è tutt’altra storia: Roberto guida le “Merengues” alla conquista del titolo con 28 reti in 30 partite. Valdano, uno che di talento ne sa qualcosa, gli affida le chiavi dell’attacco: lui lo ripaga a suon di dribbling, punizioni e tiri ad effetto che lasciano di stucco persino una platea esigente come quella del Bernabeu.
Nel ’97 Baggio ritrova la Juve in finale di Champions’. Si gioca a Monaco di Baviera e i bianconeri sono campioni in carica. A fine primo tempo Vieri approfitta di un errore in fase di disimpegno di Sanchìs e trafigge il portiere tedesco Illgner.
Nella ripresa Roberto sigla il pari con una fuga delle sue: parte dalla sinistra, si accentra, con una finta si “beve” Porrini e Ferrara e scarica in porta un destro a giro che Peruzzi può solo guardare. All’ 80′, ormai stremato, lascia il campo al croato Suker, che ci mette due minuti a timbrare il cartellino con un colpo di testa da rapace in anticipo su Montero. Il Real vince la sua sesta Coppa dei Campioni; per Baggio è la prima ed unica.
Dopo un altro anno caratterizzato da numerosi infortuni, infatti, il Real, che sta acquistando Zidane dalla Juve e Nedved dalla Lazio, decide di cederlo. Si parla persino di un suo ritorno in bianconero, proprio nell’ambito di quello che i giornalisti spagnoli hanno ribattezzato “Affaire Zizou”, ma alla fine non se ne fa niente. Quando vieni da una stagione in cui hai totalizzato dieci misere presenze, non è facile trovare un acquirente. C’è un timido sondaggio delle milanesi, ma alla fine a fare il colpo è Cragnotti: incassati 50 miliardi per Nedved, il patron della Lazio preleva da Madrid Vieri (sponda Atletico) e Baggio (sponda Real). Ah, e c’è già Mancini, tanto per dire…
A Roma, però, i problemi fisici continuano: Roberto contribuisce alla conquista della Coppa Italia e della Coppa delle Coppe, ma lo Scudetto andrà al Milan di Capello.
In biancoceleste gioca (poco) due stagioni, quindi la decisione di rimettersi in discussione in provincia. Sceglie Udine, dove passerà gli anni più sereni della sua carriera, sotto la guida di tre grandi allenatori: Zaccheroni, Guidolin, infine Spalletti. Con i friulani farà spesso coppia in attacco con Dario Hubner: grazie agli assist di Baggio, il Tatanka conquisterà il titolo di capocannoniere nel 2001/2002 con la bellezza di 25 gol.
In Nazionale, non inciderà agli Europei del ’96 e salterà per infortunio i Mondiali francesi. Nel 2000, però, guiderà gli Azzurri alla conquista degli Europei: in finale contro la Francia, sull’1-0 per noi e in pieno recupero, addomesticherà un rilancio disperato di Cannavaro e manderà in porta Totti per la rete del raddoppio.
Si ritirerà nel 2004, celebrato dall’intera Nazione come il miglior attaccante di sempre. Quello che ha emozionato grandi e bambini allo stesso modo, che si è fatto amare al di là delle maglie indossate. Non è un caso se, nel giorno del suo addio al calcio, la coreografia del Friuli lo ritrarrà non con la maglia dell’Udinese, ma con quella azzurra dell’Italia, mentre scaglia in porta il rigore nella finale mondiale del ’94. Con le lacrime agli occhi per la commozione, il Divin Codino ringrazierà i suoi tifosi e si ritroverà a pensare: “E se avessi sbagliato quel calcio di rigore?”.
Lorenzo Latini
Giornalista per vocazione, scrittore per necessità dell’anima, sognatore di universi paralleli, non ha mai ceduto alla realtà. Nostalgico all’ultimo stadio, posseduto dal “Sehnsucht” Romantico, pessimista cosmico e permaloso cronico; ritiene che i Rolling Stones, la Roma e la pastasciutta siano le cose fondamentali per cui valga la pena vivere.