“Quel gol è di marmo, se lo ricordano tutti. Se sulla mia lapide scrivessero solo ‘Amburgo 74’, tutti saprebbero chi vi è sepolto”. A pronunciare queste parole è stato, pochi anni fa, Jurgen Sparwasser, detto “Spari”. Nel 1988, questo ex centrocampista del Magdeburgo e della Germania Est riesce a scavalcare il Muro di Berlino, proprio un anno prima che venga abbattuto. Quando la notizia arriva negli uffici della Stasi (l’organizzazione di sicurezza e spionaggio che di fatto controllava la DDR), crolla il silenzio. Solo dopo qualche secondo, un funzionario trova il coraggio di parlare. Perché sa bene cosa richiederebbe il protocollo, sa bene che per chi scappa all’Ovest c’è una e una sola punizione, la peggiore che si possa immaginare. Quindi si alza e, guardando i colleghi, dice ciò che anche gli altri stanno pensando: “No, Spari no… Tutti, ma non Spari!”.
La frase è ormai entrata nella Storia. È stato Sparwasser stesso a raccontarla, alimentando la leggenda che lo riguarda. Sì, perché Spari è a tutti gli effetti una leggenda, quanto meno in Germania. Perché ha dimostrato che, nel calcio come nella vita, non sempre vince il più forte. E soprattutto che non sempre si viene ricordati per i “tituli” tanto cari a Mourinho. Perché Jurgen Sparwasser da Halberstradt non è ricordato per la Coppa delle Coppe e la Coppa Uefa vinte con il Magdeburgo, no. Lui è entrato nella Storia – calcistica, ma non solo – per un gol: del resto, non capita tutti i giorni che un tedesco segni contro la Germania nel corso di un Mondiale che si gioca… indovinate un po’? Bingo!, in Germania.
Quando il sorteggio aveva inserito nello stesso girone Germania Ovest e Germania Est, le preoccupazione si era diffusa da una parte e dall’altra del Muro. Ad occidente era ancora fresco il ricordo del massacro avvenuto due anni prima, quando alcuni membri dell’organizzazione terroristica palestinese Settembre Nero aveva sequestrato e ucciso 11 atleti israeliani. Sicuri che un derby del genere, in quel determinato momento storico, fosse auspicabile? E, come se non bastasse, il gruppo terroristico di estrema sinistra Rote Armee Fraktion, meglio noto come Banda Baader-Meinhof, promette un attentato in occasione della speciale sfida. Per l’allora presidente della DDR Honecker non ci sono dubbi: “Boicottiamo il LORO Mondiale!”. A convincerlo a partecipare fu Mielke, storico capo della Stasi, grande appassionato di calcio e di fatto proprietario della Dinamo Berlino: “Possiamo giocarcela, anche contro di LORO”.
LORO sono nettamente favoriti: non solo sull’Est, ma proprio per la vittoria finale. Beckenbauer, Muller, Breitner, Hoeness, Vogts, Overath… Già nel ’70 ci sono andati vicini (vi dice qualcosa Italia-Germania 4-3?), ma ora che sono padroni di casa vorranno vincere ad ogni costo la Coppa. Dall’altra parte del Muro, invece, si eccelle nell’atletica e in altri sport (come del resto in tutti i Paesi comunisti), ma il calcio… beh, non è proprio la loro specialità. Ma nelle prime due gare arrivano una vittoria contro l’Australia e un pareggio con il Cile. L’ultima partita del girone, contro l’Ovest, sarà decisiva per il primato. I pronostici sono tutti a favore della squadra allenata da Helmut Schon, neanche a dirlo. Ma fin dai primi minuti, il 22 giugno 1974, al Volksparkstadion di Amburgo, è evidente che contro i connazionali orientali non sarà una passeggiata. Weise, Lauck, Hoffmann e lo stesso Sparwasser sono ossi duri, che vendono cara la pelle e non hanno alcuna intenzione di stendere un tappeto rosso a Beckenbauer e soci.
La partita sembra ormai destinata ad uno 0-0 tutto sommato giusto, date le poche occasioni da gol avute dalle due squadre, quando il portiere della Germania Est Bransch rilancia con le mani e mette in movimento Kurbjuweit sulla destra. Gli avversari sono sbilanciati in avanti e il difensore centrale ha spazio per correre. Una volta superata la metà campo, pennella un perfetto cross in direzione di Spari, unica maglia azzurra in mezzo a tre bianchi che per una frazione di secondo formano un perfetto triangolo equilatero nel tentativo di chiudere l’avversario. Il Muro, quel giorno, sembra essersi spostato da Berlino ad Amburgo. Lo compongono Hottges, Cullmann e Vogts, e Dio sa se quest’ultimo, con il suo atteggiamento marziale e conservatore, non è la perfetta rappresentazione della Germania Ovest. Serio, nobile, ricco… in una parola: perfetto. Ma Spari fa le prove di fuga con quattordici anni d’anticipo, si insinua in quel Muro e riesce a trovare un pertugio. Controlla la palla di faccia – ma davvero: il suo è proprio uno stop di faccia – tagliando alle spalle di Hottges, e di punto in bianco è entrato nel cuore dell’Occidente.
Vogts corre in diagonale per chiuderlo, Hottges se lo è lasciato scappare, Cullmann sta rientrando ma è in netto ritardo. Quando il portiere avversario Sepp Maier sta uscendo dai pali per nascondergli lo specchio della porta, Spari lo fulmina con un bolide che si insacca sotto la traversa, mandando in delirio i circa 8000 tifosi orientali che sono riusciti ad accaparrarsi un visto turistico valido solo per il tempo della partita.
Jurgen corre con un braccio alzato lungo la linea laterale, fino a quando quattro compagni lo raggiungono e si gettano su di lui. L’eroe crolla a terra, faccia in giù, stremato e felicissimo. La DDR, che tutto il mondo riteneva competitiva solo nell’atletica, batte i cugini strafavoriti e scippa loro il primo posto nel girone. Andando ad impelagarsi in un girone di ferro, peraltro, con Brasile, Argentina e Olanda. Alla BRD, invece, capita un gruppo ben più abbordabile con Svezia, Jugoslavia e Polonia, che le permette di raggiungere la finale, poi vinta, contro l’Olanda di Cruijff e Neeskens. Quando si dice le stranezze del calcio…
Eppure, alla gioia per aver battuto quell’insieme di fenomeni, si aggiunse anche un pizzico di amarezza. “Un mio amico prese a pugni la televisione dopo quel gol. Per la gioia, ma anche per la rabbia, perché sapeva che nella Germania Est avrebbero usato quella vittoria come uno strumento di propaganda”, racconta Spari. “Eravamo felici per aver vinto, ma tristi per aver battuto quelli dell’Ovest. Loro, per noi, significavano libertà. Eravamo fortissimi negli sport individuali, ma nel calcio ammiravamo in segreto gli altri”.
Una narrazione infarcita di retorica vuole che il gol di Sparwasser sia stata la prima crepa nel Muro di Berlino. Non è affatto così: all’epoca, la divisione era più netta che mai, e lo si capisce dalle parole dello stesso Jurgen: “C’erano tempi in cui i giocatori della nostra Nazionale davano l’aria di essere costretti a giocare per la Germania. Quasi vergognandosi. Perché si rischiava di essere definiti di destra se solo si diceva di essere tedesco”.
Quello che più colpisce, invece, è che a partire dalla sera del 9 novembre 1989, quando la costruzione di cemento armato fu abbattuta a picconate prima e con materiale militare poi, sconosciuti compatrioti si abbracciassero in lacrime. Alcuni ritrovarono i parenti dai quali erano stati separati ventotto anni prima. E mentre le due Nazioni iniziavano a ridiventarne una sola, la domanda costante era sempre la stessa: “E tu, dov’eri quando Sparwasser segnò?”.
Lorenzo Latini
Giornalista per vocazione, scrittore per necessità dell’anima, sognatore di universi paralleli, non ha mai ceduto alla realtà. Nostalgico all’ultimo stadio, posseduto dal “Sehnsucht” Romantico, pessimista cosmico e permaloso cronico; ritiene che i Rolling Stones, la Roma e la pastasciutta siano le cose fondamentali per cui valga la pena vivere.