Nottingham non è il tipo di posto che ti rimane impresso per sempre nella memoria. È una classica città del nord dell’Inghilterra, tutta raggruppata attorno all’Old Market Square, zona di negozi e di uffici. A dominarla, la Council House, un edificio neo-barocco costruito alla fine degli anni ’20 dello scorso secolo, sede del municipio.
Nottingham è una città che per circa duecento anni ha ospitato numerose industrie tessili che l’hanno resa ricca, prima di decadere in seguito alla Seconda Guerra Mondiale.
Nottingham è famosa perché è la casa del Notts County, uno dei club calcistici più antichi al mondo, fondato nel 1862.
Tre anni dopo, nella stessa città, nacque il Nottingham Forest, unica squadra al mondo ad aver vinto più Coppe dei Campioni che campionati inglesi.
Come è possibile?
Merito di un uomo che, arrivato alla metà degli anni ’70, sconfisse l’egemonia del grande Liverpool, che all’epoca dominava non solo in Inghilterra, ma anche in Europa. Quest’uomo arrivò nella terra di Robin Hood, e prese ai ricchi per dare ai poveri. Sì, perché se quella dell’arciere fuorilegge è la leggenda più famosa riguardante Nottingham, c’è un’altra storia altrettanto incredibile, ma realissima, da queste parti. Non è un caso se a Nottingham solo due personaggi abbiano una statua in loro onore: una è dedicata all’eroe popolare più famoso del Regno Unito; l’altra, proprio nel cuore di Old Market Square, raffigura Brian Clough.
Quando Brian approda al Nottingham Forest, il giorno della Befana del 1975, il club biancorosso è una “Cenerentola” del calcio inglese che fa su e giù tra la First e la Second Division. Una specie di Atalanta d’Oltremanica, se vogliamo, un Brescia sotto la Union Jack. In bacheca ha due misere FA Cup, l’ultima delle quali vinta nel 1959. La squadra langue in fondo alla Second Division (la Serie B inglese) e Clough, che già ha fatto miracoli con il Derby County, viene chiamato per risollevarne le sorti. La salvezza arriva in extremis, con un 16° posto che suona come un enorme sospiro di sollievo. L’anno successivo i “Tricky Trees” chiudono con un più dignitoso 8°. La scalata è iniziata.
Nel ’76-’77 arriva la promozione nel massimo campionato. L’obiettivo è quello di rimanerci il più possibile, ma Clough mette le cose in chiaro fin dal precampionato. “Questa squadra può vincere il titolo”. Seee, bum! Vola basso, Bri, vola basso! Ok, ci sei già riuscito con il Derby County, ma… una volta è bella Roma.
Poi però la stagione inizia, e il Forest vola al comando, inseguito dalle due squadre di Liverpool.
“Ok, tra poco crolleranno”, si dicono tutti. “Ma sì, lasciamoli divertire, finché ce la fanno! Alla lunga il Liverpool uscirà e…”.
E intanto il Forest va. Un po’ come andrà, trentotto anni dopo, un’altra Cenerentola inglese guidata da un allenatore romano. Clough e i suoi viaggiano spediti e sembrano dire: “Vabbè, noi ci avviamo, eh! Ci si vede all’arrivo!”.
E all’arrivo sono soli, hanno fatto il vuoto alle loro spalle. Per la prima volta nella sua storia, 113 anni dopo la sua fondazione, il Nottingham Forest è Campione d’Inghilterra!
L’esordio in Coppa dei Campioni della stagione successiva, però, è un derby da brividi: davanti c’è il Liverpool che giusto pochi mesi prima il trofeo l’ha vinto.
“Peccato, la loro avventura in Europa è terminata ancor prima di iniziare…”, borbotta l’Inghilterra intera. Nessuna speranza di battere la corazzata guidata da Bob Paisley: Kennedy, Hughes, Dalglish, Souness… Sono semplicemente TROPPO per questi novellini! Qui parliamo di gente che gira il continente prendendo a sberle tutti. Parliamo dei REDS, accidenti! Ne hanno appena vinte due di fila, loro, di Coppe dei Campioni!
Sì, sai cosa diavolo gliene frega, a Brian Clough, dell’anno scorso e di due anni fa?! Niente di niente. È il nuovo Robin Hood, lui, ed è qui a Nottingham per ristabilire la giustizia: levare ai soliti ricchi per dare ai poveri.
Sbam! Birtles e Barrett regalano il 2-0 casalingo alle matricole: Davide stende Golia con due fiondate perfette. Il ritorno ad Anfield Road terminerà 0-0. Ciao ciao Liverpool! Prendetevi il campionato, se ci tenete! A Nottingham abbiamo altri pensieri, ora.
Il Forest si sbarazza facilmente dell’AEK Atene e del Grasshopper segnando gol a grappoli. L’andata della semifinale contro il Colonia, in casa, termina 3-3 e in tanti – troppi – sono pronti a scommettere che in Germania si scriverà la parola “The End” sulla magnifica cavalcata europea. E invece un gol di Ian Bowyer nel secondo tempo guida i ragazzi di Clough all’ultimo atto.
All’Olympiastadion di Monaco di Baviera si realizza l’apoteosi: un gol sul finire del primo tempo di Trevor Francis stende gli svedesi del Malmoe e porta Robin Hood sul tetto d’Europa. In due anni, Nottingham passa dalla Second Division inglese, giocata su campi fatti di fango più che d’erba, alla conquista della Coppa dei Campioni!
Il campionato, intanto, lo vince il Liverpool (ma va’?!). Ma i “Tricky Trees” si sono garantiti l’accesso alla Coppa continentale anche per la stagione seguente.
E che fai, non ci riprovi? Hai visto mai che l’impresa riesca di nuovo? Naaaa, dai! Una volta è bella, Roma…
L’ossatura della squadra, però, è solida e ben oliata. In porta c’è Peter Shilton, probabilmente il miglior inglese di sempre nel suo ruolo. Il terzino destro è Viv Anderson, che sarà il primo calciatore di colore a giocare con la Nazionale inglese. A centrocampo c’è un nordirlandese straordinario, che abbina potenza e tecnica: si chiama Martin O’Neill, e già a 27/28 anni è chiaro che farà strada da allenatore. Ci sono poi gli scozzesi Burns, Gray, McGovern, Robertson e O’Hare (questi ultimi tre veri e propri pupilli di Clough). Davanti, il riferimento è Garry Birtles, che in seguito passerà anche al Manchester United.
Con questo gruppo, ormai affiatatissimo e lanciato a tutta velocità, perché non riprovarci?
“Possiamo vincere di nuovo la Coppa dei Campioni”, afferma Brian.
Seee, vabbè, ciao! Questo è diventato un megalomane irrecuperabile!
Però via l’Oster, e ok. Via i rumeni dell’Arges Pitesti, e ok. Via la Dinamo Berlino, e qui già parliamo della squadra leader della Germania Est. In semifinale c’è l’Ajax, e via anche quello.
In finale c’è l’Amburgo di Felix Magath e Kevin Keegan. Quest’ultimo è stato per anni la stella del Liverpool che vinceva tutto, perciò vorrà vendicare la sua ex squadra. “Come si sono permessi, questi biancorossi, di scalfire la gloria dei Reds? È ora che tornino nei ranghi, questi provincialotti!”.
La partita è nervosa, fallosa, brutta, a tratti bruttissima: poche occasioni da gol, due squadre accorte, quasi catenacciare.
C’è forse una sola giocata degna di nota nell’arco dei 90 minuti, ed è quella che decide il match. Al 20′ John Robertson parte dalla sinistra, salta un avversario, si accentra e serve Birtles, che è spalle alla porta. Il centravanti inglese scivola, ma da terra riesce, con una zampata, a restituire il pallone a Robertson. Che evita un altro avversario e, dal limite dell’area, lascia partire un destro che si infila all’angolino.
Hamburg Kaputt, il Forest è Campione d’Europa per la seconda volta consecutiva! Quasi un milione di persone (vale a dire il 70% della popolazione di Nottingham) si riversa nelle strade per festeggiare. Il fulcro della gioia è, neanche a dirlo, Market Square. Proprio dove parecchi anni dopo sorgerà la statua di Clough, braccia al cielo e mani strette l’una nell’altra in segno di vittoria.
Il tecnico resterà alla guida del club per diciotto stagioni. I successi di quei primi anni resteranno isolati, ma arriveranno altre due League Cup. Nel 1993, dopo la retrocessione, Brian lascerà il Forest e la carriera di allenatore. Morirà il 20 settembre del 2004, a 69 anni, a causa di un tumore.
Ma in certo senso, da quella città del nord dell’Inghilterra, Cloughie non se n’è andato mai. E non solo per la statua che vigila serafica su tutto l’Old Market Square, no. Bensì perché ancora oggi, se vi trovate a Nottingham e chiedete a qualcuno di raccontarvi una leggenda o una storia che riguardi la città, vi parleranno o di Robin Hood, o di Brian Clough.
Che presero ai ricchi, per dare ai poveri. Come è giusto che sia, sempre.
Lorenzo Latini
Giornalista per vocazione, scrittore per necessità dell’anima, sognatore di universi paralleli, non ha mai ceduto alla realtà. Nostalgico all’ultimo stadio, posseduto dal “Sehnsucht” Romantico, pessimista cosmico e permaloso cronico; ritiene che i Rolling Stones, la Roma e la pastasciutta siano le cose fondamentali per cui valga la pena vivere.