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Supersantos: Il “regalo” di King Eric Cantona

Supersantos: Il “regalo” di King Eric Cantona


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-Bentornati su Radio United, l’unica emittente interamente dedicata ad una squadra di calcio. E quella squadra, ovviamente, è il nostro glorioso Manchester United! Prendiamo un’altra telefonata. Ciao, sei in onda!-.

-Ciao Jimmy. Io sono Alan e chiamo da Salford. Volevo solo dire che adoro Cantona… come tutti noi, del resto. Però, insomma… è evidente che King Eric sia arrivato al capolinea. Non è cattiveria, anzi, lo dico con grande dispiacere, ma… Dai, è ingrassato! E non corre. Non è più l’ariete dell’anno scorso, o di quando è arrivato-.
-Eh, caro Alan… Non sei l’unico a pensarla così, a quanto pare-.
-Voglio dire… Non ha più quella… quella… come dire?-.
-Spietatezza-.
-Ecco, sì, bravo! Quella spietatezza sotto porta gli manca. Forse è solo meno reattivo, non so. Però non ne ha più, è evidente. Manca di fantasia, di potenza e di velocità. Tutto qua. Ripeto, mi dispiace, ma credo sia ora che Ferguson lo faccia accomodare in panchina-.
-Grazie per aver chiamato, Alan. A presto-.
-Ciao Jimmy, grazie a te-.

21 dicembre 1996. Il Manchester sta strapazzando il Sunderland nella propria tana, l’Old Trafford. Dopo qualche difficoltà iniziale, i Red Devils hanno preso il largo segnando quattro goal: doppietta di Solskjaer, Butt e rigore di Cantona. Quest’ultimo, idolo dei tifosi, è all’ultima stagione della sua carriera: in quella precedente è tornato sotto i riflettori per le prodezze in campo, dopo gli otto mesi di squalifica rimediati per aver colpito un tifoso del Crystal Palace con un calcio volante che nemmeno Chuck Norris.

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Nel Regno Unito non si è parlato d’altro per mesi. Il tunnel della Manica? L’Unione Europea? La vita sentimentale di Lady D? Macché! Cantona, Cantona, Cantona e basta. Quel guascone francese con la faccia da duro attira i media come nessun altro: i giornalisti vanno a nozze con le sue magie, ma soprattutto con le sue follie. Tipo quel colpo da kung-fu all’hooligan del Palace. Tipo la conferenza stampa convocata dal calciatore stesso dopo quel gesto: tutti lì, in fremente attesa. Cronisti, fotografi, addetti ai lavori di ogni genere, tutti si chiedono la stessa cosa: cosa dirà il numero 7 adesso? Chiederà scusa? Cercherà di giustificarsi? Annuncerà, come ha ipotizzato qualcuno, l’addio al calcio?

King Eric invece entra, si accomoda con calma serafica e, guardando verso gli obiettivi e gli occhi che sono puntati su di lui, dichiara: “Quando i gabbiani seguono il peschereccio, è perché pensano che verranno buttate in mare delle sardine”. Quindi ringrazia, si alza e se ne va. I presenti non reagiscono neanche, tale è lo stupore. Restano lì, a guardarsi intorno, come a cercare conferma dai colleghi: “Ma… lo ha fatto davvero?”. Sì, ebbene sì. Eric è così: prendere o lasciare. È pazzo come un cavallo, anarchico come Bakunin, rivoluzionario come Lenin e scontroso come Sid Vicious. Ma quando rientra e ti fa vincere Premier League e FA Cup, beh, gliele perdoni tutte.

Ora però le critiche arrivano da ogni parte: è in pessima forma, non corre, non rivolta più le partite come pedalini con la sua classe. Oggi, ad esempio, il Sunderland è già schiantato, ma Cantona ha inciso poco, andando a segno grazie ad un rigore procurato da Butt. Eppure, King Eric vuole fare un regalo ai suoi tifosi. Sì, avete capito bene: proprio un regalo. Qualcosa che sia al tempo stesso un omaggio e uno schiaffo morale: il primo per chi continua a sostenerlo e a fidarsi ciecamente di lui, il secondo per i tanti, troppi chiacchieroni che lo danno per finito.

Prende palla nei pressi della metà campo: ha addosso due uomini, ma se ne libera con un balletto. Tocca sei volte il pallone, in mezzo a quei due: il cervello di un comune mortale non ha nemmeno il tempo di pensare al da farsi, che lui già se li è bevuti e punta verso la porta. Serve McClair e si butta dentro.

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“Ridammela, accidenti, ridammela!”, pensa King Eric. “Restituiscimi questa maledettissima palla! Devo fare un regalo ai tifosi”.

Il compagno deve percepire il pensiero del suo capitano, perché gli appoggia il pallone proprio ad un passo dall’area di rigore.

“Attento, Eric! Il difensore arriva in scivolata per impedirti la botta rasoterra all’angolino!”, pensano in coro i cinquantamila dell’Old Trafford con il fiato sospeso. “Tira, adesso! Libera la potenza del tuo…”.

Ma il Re non la colpisce, quella palla. No, lui la accarezza. E mentre il pubblico si interroga su cosa stia accadendo, la sfera di cuoio sale in cielo e scavalca il portiere Perez. I cuori si fermano e aspettano che il pallone termini la sua corsa, prima di ricominciare a battere. Un arcobaleno tracciato dal piede destro di un mago. Una stella cadente perfetta. Un colpo da biliardo morbido come il bacio che il pallone dà al palo, prima di finire dentro. E mentre i comuni mortali esplodono nel delirio orgasmico che solo un gol del genere può regalare, King Eric compie un altro miracolo. Riesce addirittura a far passare in secondo piano quel capolavoro, con l’esultanza che lo segue.

King Eric resta impassibile. Sembra una statua, se non fosse per la rotazione del busto che gli permette di guardarsi intorno. Si gode lo spettacolo del pubblico in delirio, compiendo un giro di 360° su se stesso, fermo all’interno dell’area. Poi alza le braccia al cielo. Non si capisce bene se voglia raccogliere l’ovazione, o se invece non stia chiedendo scusa. “Mi dispiace, troppa Bellezza tutta insieme, lo so. Perdonatemi, ma mi è scappata”, sembra dire. Il primo accenno di sorriso lo rivolge proprio a McClair, che ha telepaticamente intercettato la sua richiesta e gli ha restituito quel pallone.

Stacco sugli spalti. Coloro che non sono stati colti da una sindrome di Stendhal folgorante, applaudono a scena aperta. Qualcuno piange, qualcun altro salta in preda ad una sorta di isteria mistico-calcistica. Si alza il coro: “Ooh-ahh… Cantonaaaa! Ohh-ahh… Cantona!”. È un tuono crescente, di quelli che fanno tremare la terra.

È così Cantona, prendere o lasciare. Dopo aver messo a segno uno dei goal più belli della storia del calcio, quasi te lo cancella con un’esultanza che solo in apparenza è simile a certi gesti polemici di balotelliana memoria. King Eric non vuole, con quel gesto, avere ragione sulle tante critiche che gli sono piovute addosso. Vuole solo guardarsi intorno e vedere la gioia che quel suo regalo ha scatenato nei tifosi. Sa quanto sia stato straordinario ciò che ha appena fatto, e quel guardarsi intorno con aria compiaciuta e perplessa al tempo stesso ha il sapore di una domanda retorica: “Beh, che ve ne pare? Non male, eh?”.

No, King Eric. Non male. Non male davvero.

 

Illustrazioni di Marta Latini


Lorenzo Latini

Giornalista per vocazione, scrittore per necessità dell’anima, sognatore di universi paralleli, non ha mai ceduto alla realtà. Nostalgico all’ultimo stadio, posseduto dal “Sehnsucht” Romantico, pessimista cosmico e permaloso cronico; ritiene che i Rolling Stones, la Roma e la pastasciutta siano le cose fondamentali per cui valga la pena vivere.

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