ANTEFATTO: Sempre più spesso mi viene mossa una critica riferita alla mia sfera emotiva che si manifesta più o meno attraverso la frase: devi usare il cuore. Con tutte le varianti del caso come, ascolta il tuo cuore, non trascurare il cuore, segui il tuo cuore, parla con il cuore. Stupidamente ho sempre pensato che l’essere clinicamente viva fosse una prova più che sufficiente del fatto che il cuore,io, lo stia proprio usando. Ma forse sono solo stata programmata per avere questa impressione. Non volendomi arrendere alla mia condizione di robot, ho deciso di guardare una commedia romantica. Perché nelle rom-com si parla di sentimenti, giusto?
Judd Apatow firma Love, sit-com divisa in dieci episodi disponibile su Netflix dal 19 febbraio, con Gillian Jacobs e Paul Rust che collabora con Apatow nella stesura della sceneggiatura.
Rinnovato per una seconda stagione, Love racconta la storia di Mickey e Gus, due ragazzi sui trenta che vivono a L.A, con un buon livello di sfiga in amore (per colpa loro ovviamente), che incontrandosi si scontrano (finalmente) con la dimensione di questo complicato sentimento, reso un po’ più complicato dal fatto che i due siano uno l’opposto dell’altra (con risvolti e svolte mai banali).
Sulla carta, Love, sembra essere una commedia romantica come tante. Nella realtà dei fatti, Love è una commedia romantica come non ne avete mai viste. Dove i protagonisti sembrano sorprendentemente provare sentimenti reali, che assomigliano poco a quelli che canterebbe Damien Rice nelle sue canzoni o che racconterebbe Kate Hudson in uno dei suoi film, per non parlare di quello che ci tocca vedere in televisione. Se assomigliano a qualcosa, assomigliano a quello che noi chiamiamo amore. Se assomigliano a qualcuno, assomigliano a noi.
Netflix dopo aver rivoluzionato tutto il rivoluzionabile toccando ogni genere possibile e il suo modello narrativo, dà spazio ad una commedia romantica dove la comicità sta nel semplice fatto che le esperienze che guardiamo sullo schermo possono esserci capitate sul serio. Grazie Netflix, finalmente anche noi persone emotivamente stitiche possiamo avere un sano rapporto di coppia con le storie d’amore che guardiamo in tv.
La tesi esposta in Love fin dal primo episodio è proprio questa: e se non riuscissimo ad avere una relazione reale perché abbiamo come modello di riferimento relazioni fittizie? Siamo capaci di amare come Richard Gere in Pretty Woman? Siamo capaci di farci amare come Julia Roberts in Pretty Woman? Dobbiamo aspettare il principe azzurro? Dobbiamo aspettare la donna passionale che ci rivolta come un calzino al primo appuntamento?
Siamo una generazione sentimentalmente incasinata, non troviamo un equilibrio di coppia perché spesso già da singoli siamo poco equilibrati, insoddisfatti, pieni di difetti, vizi, debolezze. Si rinuncia, spesso, dando adito al detto per il quale non si insegnano nuovi trucchi ad un vecchio cane.
Quale sarebbe allora il segreto per trovare l’amore? Di base fare pace con il cervello, mettere insieme i propri pezzi prima di cercare di farli combaciare con quelli di qualcun’altro. Questa è la lezione che la serie ci sciorina, visto che i suoi protagonisti sono letteralmente, emotivamente a brandelli. Alla soglia degli stramaledetti trenta sono pronti a tirare le somme, a guardarsi allo specchio, riconoscendo che un problema c’è. Che sia l’abuso di droga, alcool e sesso di Mickey che non le permette di avere una relazione sentimentale normale, o la gentilezza eccessiva almeno quanto l’insicurezza di Gus che spingono tutte le donne che ha amato a mandarlo a fanculo, i protagonisti capiscono quanto sia importante fermarsi ed invertire la rotta, non cadendo nei logori schemi percorsi innumerevoli volte, senza successo.
Lo spettro del fallimento è quello che differenzia questa commedia romantica da tutte le altre che ho visto (non molte, ma qualcuna, almeno per osmosi l’ho assimilata) e che solitamente volgevano ad un lieto fine zuccherino pieno di parole, e pazzie e baci con il vento nei capelli che a te non sono mai capitati perché non hai uno sceneggiatore, né un direttore della fotografia, né un macchinista che ti spara dell’aria in faccia. Fattene una ragione.
Pensandoci bene, l’amore è una cosa sporca più che pulita, piena di “vaffanculo” e di “dove vai?”, di “rimani qui ancora cinque minuti” e “mi stai rovinando la vita”. L’amore è folle. Ma non quel tipo di follia da aneddoto del cazzo sul modo in cui le hai chiesto di sposarti. No, l’amore è proprio folle, ti calpesta il cervello e ti fa diventare quello che non avresti mai pensato potessi essere. Imbavaglia in cantina il te stesso che sei di solito, lo toglie di mezzo, in malo modo. E mentre quello se ne sta a terra, pesto e sanguinante, lasci che ti guardi mentre dichiari il tuo amore, pieno di possesso, e di parole sbagliate, e di facce sbagliatissime, nudo. Questo è l’amore di Love, che ti aiuta a gestire l’invidia del sentimento che vivi guardando verso il grande e il piccolo schermo.
Per quanto questa serie sia utilissima a chi sta vivendo proprio le stesse vicissitudini dei due protagonisti, con spunti di riflessione molto utili come il buon vecchio ma sempre sottovalutato “parla meno e agisci di più”, purtroppo non dà alcuna dritta pratica per individuare la fantomatica anima gemella.
Alla mal parata, un modo quasi sicuro per trovare la persona giusta potrebbe essere quello di individuare un punto in comune. Anche il lui/lei su cui hai messo gli occhi ha un account Netflix? Ottimo, durature e solide storie d’amore sono state fondate su molto meno.
Beatrice Lombardi
Laureanda presso il CITEM di Bologna è nata 26 anni fa dal tubo catodico. Dopo anni di amore e odio con mamma Televisione e papà Cinema ha deciso di percorrere nuove strade ed è scappata con il Web.