Vi ho parlato di lui qualche anno fa ed ora, in occasione della sua strepitosa personale alla Dorothy Circus di Roma, Sugar High, inaugurata lo scorso sabato sono andata a conoscerlo di persona e gli ho rivolto qualche domandina anche per voi. Sto parlando ovviamente di uno dei protagonisti indiscussi del pop surrealism assieme a Mark Ryden e Ray Caesar che ho avuto il piacere di conoscere qualche anno fa sempre nella splendida cornice rossa della galleria romana e con altrettanto piacere vi faccio leggere quello che io e l’artista di oggi ci siamo detti poco prima dell’apertura. Abbiamo parlato di questa mostra, del suo rapporto con Roma, della sua lotta all’educazione alimentare e anche di street art proprio di fronte ai suoi bellissimi capolavori come Uncle Scam’s Last Breakfast che spero voi possiate vedere dal vivo in galleria. La mostra si conclude il 31 Marzo.
Dopo questa intervista posso dirvi che mi manca di intervistare solo Mark Ryden per completare il trittico delle meraviglie. E speriamo che il mio desiderio si avveri presto.
Signore e signori ecco a voi l’immenso Ron English! Buona lettura!
Parliamo innanzitutto del titolo di questa tua personale alla Dorothy Circus Gallery ovvero Sugar High.
Sai che il tema del cibo è una costante nella mia arte e come tutti sanno esiste il cibo vero, quello che la gente ama e che consuma e poi c’è quello che invece ci propongono le pubblicità ossia quello che vogliono fare sembrare più di quello che è in realtà. Dunque esiste, come in tutte le cose del mondo, anche per il cibo un rovescio della medaglia ovvero ciò che le pubblicità ci presentano come qualcosa di buono e divertente e poi quello che non ci diranno mai e che invece l’arte riesce a fare. Per questo credo che come esista il mondo della pop art esiste anche il pop food e quando queste due si incontrano nasce un rapporto simbiotico che cerco di raccontare in queste mie opere, in queste che vedete esposte e nei billboards in giro. Inoltre, in questa mostra vi presento anche un nuovo personaggio della mia collezione, Mc Supersized, un ometto grasso che è destinato a diventare sempre più grasso, da qua il nome Mc Supersized che si contrappone al celebre personaggio del Mcdonald e rappresenta un nuovo modo per me di raccontare la mia battaglia a favore di una educazione alimentare sana.
Nella domanda precedente hai fatto menzione delle tue diverse attività artistiche come quella dei grandi billboard e tutti abbiamo apprezzato il tuo intervento al Quadraro realizzato qualche anno fa. Raccontaci di quell’esperienza.
Ricordo che mi chiesero di fare quell’intervento per una canale di Sky ed è stata un’esperienza unica anche perché in quei giorni mi trovavo a lavorare su un muro vecchio di duecento anni o quasi e l’unico mezzo che ho usato è stata la pittura proprio perché sentivo di dover portare un certo rispetto nei confronti di quel muro così vecchio. Inoltre, venuto a conoscenza di una persona straordinaria, un barbiere del posto che lavora da cinquant’anni al quale mi sono affezionato poiché anche mio padre è un barbiere della vecchia generazione. In quei giorni c’era una bella atmosfera perché le persone erano curiose, commentavano il lavoro e ci invitavano persino ad entrare nelle loro case, dandoci consigli tipo: “ah se fossi più giovane io farei…”.
In alcune tue opere è chiaro il riferimento all’Ultima Cena di Leonardo da Vinci proprio come in uno di questi lavori realizzati per questa personale, Uncle Scam’s Last Breakfast. Tralasciando l’aspetto dell’educazione alimentare di cui abbiamo parlato poco fa, che rapporto c’è con quest’opera?
Sono un appassionato di storia dell’arte avendola studiata per molto tempo e in seguito ho scoperto la musica folk, quindi la cultura che intorno ad essa si esprimeva e l’ho trovata in un certo senso molto simile all’arte poiché chi fa musica folk cerca di sovvertire le regole per rendere la melodia più in linea con i tempi. Nessuno ha mai pensato che potesse essere strano e allora ho pensato di poter fare la stessa cosa con l’arte, con quest’opera di Leonardo ed è iniziato a piacermi soprattutto nel realizzare versioni sempre diverse dell’opera e ad osservare le reazioni della gente. In Uncle Scam’s Last Breakfast ho copiato esattamente lo stesso sfondo di quella originale, sfocandone alcune parti e rendendole più simili alla mia arte, lavorandoci anche un po’ con i personaggi che ho creato.
Come è cambiato il tuo modo di approcciarti a Roma con gli anni?
La prima volta che sono venuto a Roma è stata durante un’estate degli anni ottanta, sono arrivato con il mio zainetto e ricordo che facevo disegni per strada, sai quelli che si fanno con i gessetti sui marciapiedi e le persone che si fermano a guardarti ti lasciano degli spiccioli. Ecco, devo ammettere che io non sono mai riuscito a metterne insieme così tanti per poter tornare a casa. Lavorare per strada è stato divertente perché la gente si fermava a parlare con te, facevano commenti e proposte tipo una ricordo in cui mi chiesero di andare a fare un’esperienza in un monastero. Non me la sono fatta scappare, ho messo tutti i gessetti nello zainetto e sono partito per questo luogo dove sono rimasto per qualche giorno. Ora da grande ovviamente mi approccio diversamente, quando sono tornato da adulto una seconda volta ho cercato altre esperienze artistiche per catturare l’intimità dei posti e scoprire cosa c’era di nuovo nel panorama artistico, quindi i nuovi artisti, le nuove gallerie. Diciamo che ora mi approccio diversamente a Roma ma alle città in generale.
Dove sta andando secondo te la street art?
Una delle caratteristiche dell’arte è quella di suscitare reazioni, alcune volte sostituendo lavori con altri nel caso dell’arte di strada, è l’essenza stessa dell’arte che facciamo noi in giro ma credo che in quest’ultimo periodo sia il pop surrealismo l’ultima frontiera perché tra di noi artisti c’è collaborazione, tutti conosco tutti, si condividono le idee. La street art quando è nata era qualcosa di completamente diverso, era più qualcosa che si avvicinava alla “liberazione dell’arte” e mentre alcuni pensano che sia destinata a scomparire io sostengo il contrario perché è un’arte che ci appartiene. Mi viene da fare un paragone con il football: da bambini tutti giocano con la palla e poi crescendo solo alcuni diventano dei veri giocatori ma la passione resta comunque anche a chi non lo è diventato. Così è la passione per la street art. Ci sono tanti adolescenti che fanno street art in giro poi da grandi diventano magari bancari ma continuano ad adorare quest’arte, si ricordano della loro passione e magari se diventano ricchi riescono persino a comprare dei lavori dei loro artisti preferiti. E’ un fenomeno culturale, legato al posto in cui vivi, ed è più di un movimento culturale.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Fino luglio mi troverete tra New York e Honk Hong a lavorare su dei progetti mentre la prossima settimana partiamo per la Germania dove lavorerò ad una scultura.
Tutte le foto presenti nell’articolo sono di proprietà della Dorothy Circus Gallery
Eva Di Tullio
Io sono Eva e con Tuesday Poison ogni martedì, vi racconterò la storia dell’arte pop surrealista e lowbrow: accomodatevi pure!