Ho provato a chiudere gli occhi e ad immaginare come si possa produrre arte quando un malore ti porta via parte della vista; ho provato anche ad immaginare quanto forza e coraggio ci vogliano per non lasciarsi abbattere e vivere questa “novità” come valore aggiunto alla propria persona. Bruno Cerasi, artista di ampio respiro. I suoi lavori mi hanno immediatamente colpita e spinta ad osservare attentamente ogni sfumatura. Una “esplosione monocromatica e minimale” ricca di dettagli, spesso frutto di una ricerca e sperimentazione poliedrica in grado di realizzare una strepitosa miscellanea. L’ho intervistato per voi, ma è stato un regalo (grande) anche per me.
Ciao Bruno! Inizio subito con una domanda “bomba”: chi non sarà mai Bruno Cerasi?
Spero di non essere mai fermo, appagato, realizzato. Se lo sarò, Bruno Cerasi artista cesserà di esistere e lascerà spazio ad altre mie versioni, ma temo di non trovare mai quello che sto cercando.
Da dove nasce la tua passione per l’arte?
Mio padre mi ha sempre raccontato di avere 10 in Arte e 2 in tutte le altre materie quando andava a scuola. Non ho mai visto un suo disegno, però gli ho sempre creduto. La prima espressione artistica che ho visto dal vivo sono stati i vestiti cuciti da mio nonno nel suo studio. E’ stato, ed è tuttora un sarto di altissimo livello, di certo da lui ho imparato cosa vuol dire la procedura, il progetto e la relazione che ha con la sua realizzazione. A lui ho rubato le stoffe, i fili coi quali ho realizzato le prime installazioni. La passione per l’Arte in me c’è sempre stata e per buona parte della mia vita sono stato costretto a reprimerla, per rispettare gli stupidi cliché dell’artista che non trova lavoro, dell’ingegnere che invece lo trova immediatamente. Sono il risultato di scelte sbagliate, di strade senza via d’uscita, di crisi, di cambi di rotta improvvisi, di sacrifici. A 23 anni ho deciso la direzione che sto ancora percorrendo, all’inizio contro tutti. Sono cambiate tante cose in 9 anni di lavoro, ci sono stati momenti bui che non dimentico anche adesso che i miei lavori sono più riconosciuti e che ho il privilegio di essere ascoltato da più persone.
In una recente intervista, Jerry Saltz ha dato dieci consigli utili per sopravvivere nel mondo dell’Arte. Il primo, lo ricordo a memoria: “il piacere è un’importante forma di conoscenza”. Fino a quando avrò entusiasmo conoscerò, e fino a quando continuerò a conoscere, continuerà il mio impegno.
Nel 2013 consegui la laurea in Grafica presso l’Accademia di Belle Arti dell’Aquila: hai però scelto l’installazione come mezzo espressivo prevalente, cosa ti dà maggiormente rispetto alle altre forme artistiche?
Sono laureato in grafica, ma la grafica non mi interessa e forse non mi è mai interessata. E’ paradossale, lo so. Può essere molto importante frequentare un’accademia di Belle Arti, l’indirizzo è relativo, sapevo che nella mia vita non avrei mai fatto il grafico. A distanza di anni posso dire che questa disciplina mi ha aiutato a sviluppare un certo gusto per la semplicità. L’impostazione è importante, purché non ci si inoltri a testa bassa nella tecnica, il lavoro smette di comunicare, non funziona più. Nel 2009 in seguito ad un malore ho perso parte della vista, e mi sono ritrovato costretto a conviverci per il resto della vita. Dipingevo quadri ad olio. Ho abbandonato la tela e mi sono concentrato sullo spazio, sull’ombra, sulla luce, sul fruitore che entra fisicamente nell’opera e fa parte di essa. Sono nate le prime installazioni, ho capito subito che sarebbe diventata quella la mia strada, e di fatto lo è ancora.
I tuoi lavori si incentrano principalmente su una serie di riflessioni sui rapporti umani, andando ad indagarne relazioni e interazioni: perché questa esigenza?
Per quanto mi riguarda è stato inevitabile. E’ stata la sociologia a chiamarmi e ad indirizzare il mio impegno di artista in quel senso. Sto leggendo e studiando molto, ma senza perdere il contatto visivo con ciò che ci circonda. Quello è fondamentale, le persone sono fondamentali. Col tempo che passa sto cercando di aprire il mio lavoro, collaborare e rendere partecipi diverse anime nei progetti, vorrei che fossero sempre di più gli elementi del ‘coro’. L’Arte, con diverse sfumature, deve essere relazionale, con le persone, lo spazio, i luoghi fisici, ma anche quelli psichici. C’è un articolo di Christian Caliandro su Artribune dello scorso anno che tengo sempre tra i preferiti del mio browser. Vorrei citarne un passo:
“L’arte deve scendere per strada, inoltrarsi nella realtà, muoversi costantemente in essa, integrarsi felicemente in essa, aiutare e trasformare la vita delle persone. Solo così essa potrà riconquistare quella fiducia e quel credito gravemente compromessi negli ultimi decenni, caratterizzati da una sostanziale e patologica dissociazione rispetto al tessuto sociale.”
Un concetto importante, che come ho detto tengo sempre presente per sviluppare il mio impegno futuro.
Cosa ti affascina dell’essere umano? Cosa invece detesti?
Sono affascinato da tutto ciò che gravita attorno alla sfera emotiva, all’umanità. Nonostante i tempi, ho fiducia nell’essere umano e non posso smettere di averne. Ci sono già troppi cinici, nichilisti in giro. Persone che si costruiscono prigioni mascherate da libertà, chiusi da lì giudicano il mondo con distacco senza aver vissuto nulla. Il nulla, ecco cosa detesto.
Possiamo definirti poliedrico; ultimamente all’installazione unisci la fotografia, il che crea un connubio davvero strepitoso: parlaci delle tue ultime installazioni in questa direzione.
Ti ringrazio, ho bisogno di sperimentare e rinnovarmi continuamente. Non amo essere riconoscibile nella tecnica o nell’estetica, il punto veramente interessante è esserlo nella poetica e nella ricerca. La fotografia è un’aggiunta recentissima. Non sono un fotografo e questo approccio mi permette di scattare foto analogiche imprecise, fotocopiandole riesco a simulare la mia distorsione visiva, ad avvicinarmi molto a quella che è la mia effettiva percezione dello spazio, al mio ‘filtro’. Gli interventi successivi con gli inchiostri e lo smalto vanno a raccontare e a completare il lavoro. L’iter è lo stesso delle installazioni: spazio come partenza, intervento come percorso.
Qualche settimana fa a Setup Art Fair a Bologna, con la White Noise Gallery ho realizzato un’installazione ed esposto la mia prima serie di dodici fotografie che ne riprendevano la forma nell’allestimento a parete. E’ stato il primo accostamento foto/installativo, ed ha avuto buoni riscontri di critica e vendite.
Come ti vedi fra 5 anni? Sogni nel cassetto?
Cinque anni fa non avrei mai immaginato ciò che sarebbe successo fino ad oggi. E’ stato ed è un viaggio ricco di sorpresa e lo è ancora. Ho sogni semplici, mi auguro di continuare a muovermi, di crescere, di fortificare le mie spalle, di mostrarmi con sincerità ed eliminare ogni spunto decorativo latente nel mio fare arte. Ci sarà da lavorare parecchio, ma non mi sono mai tirato indietro. Parallelamente all’impegno e al lavoro arriverà tutto il resto, fino ad ora è stato così.
Qual è la cosa più importante della vita?
Credo sia importante esserci, in qualsiasi cosa si scelga di fare. Rispettare, rispettarsi. La verità, l’unicità.
La felicità è…?
– (un tratto)
La colonna sonora della tua arte?
Cambia continuamente, ho passato praticamente metà della mia vita suonando e ho troppe influenze per scegliere un solo mood musicale da accostare alla mia Arte. Posso dirti che mentre rispondo a queste domande sto ascoltando il disco Awake di Tycho.
(HUMAN NEEDS, 2014)
(HUMAN NEEDS, 2014)
(HUMAN NEEDS, 2014)
(HUMAN NEEDS, 2015 foto di Piero Geminelli)
(HUMAN NEEDS, 2015 foto di Piero Geminelli)
(HUMAN NEEDS, 2014 foto di Francesco Melchiorre)
(Senza Titolo, 2016)
(Senza Titolo, 2016)
(Senza Titolo, 2016)
(HUMAN NEEDS, 2012 foto di Yatoshima Kashituke)
(HUMAN NEEDS, 2013 foto di Yatoshima Kashituke)
Claudia Tornatore
Sognatrice, a tratti poggio i piedi sulla terra e ogni tanto salgo sulla luna. Laureata in scienze umanistiche, considero l’arte il fulcro della (mia) vita. La mia tesi? Arteterapia. Scrivo di fotografia, mi diletto con essa : è nella mia vita da che ho memoria, in fasi e forme differenti. Amo il colore, il tè nero, gli incontri inaspettati, i sorrisi, la voglia di cimentarsi in cose nuove e la mia bellissima Sicilia.