Mi dicono che il Fruit è stracolmo di cose interessanti, qualcuna già vista (e rivista), qualcun altra già passata tra queste pagine, altre ancora del tutto inedite.
Mi segnalano Il Calidrino, Piccolo dizionario deglio insulti, delle emergenze e delle moderne meraviglie della meccanica, di tale Gianluca Galante, e me lo descrivono come qualcosa di assolutamente geniale e una delle più belle scoperte del Fruit.
Incuriosito dal nome, ma ancor di più dall’enfasi della segnalazione, mi chino sulla tastiera, apro una nuova scheda e digito Gianluca Galante. Esce fuori un macellaio (della mia zona tra l’altro), un farmacista che “crede veramente nel proprio lavoro e si prodiga ogni giorno per la Salute altrui” e anche uno sviluppatore web. Allora aggiungo «Calidrino» alla chiave di ricerca. Escono fuori solo due pagine di risultati, tra cui la pagina del progetto stesso, ma del Gianluca Galante, autore de Il Calidrino, neanche l’ombra.
Nel frattempo mi faccio un’idea su questo assurdo dizionario – stampato in sole 100 copie – , scoprendo termini incredibilmente folli, inventati da uno, che su internet non esiste (e forse la vera follia, al giorno d’oggi, è proprio questa).
Così lo contatto tramite il suo sito e mi prenoto per una lunga chiacchierata che sfocia in un’ora di risate ai limiti della decenza, in cui non riesco a trattenere le lacrime e incasino la comunicazione rendendola spesso difficile. Chissà se Gianluca ha un vocabolo anche per quelli come me.
Il Calidrino è un volume magico e misterioso, frutto di 10 anni di lavoro da parte di Gianluca, feticista delle parole, antropologo della lingua, ma soprattutto un visionario d’altri tempi che riesce a far sorridere mettendo in luce fenomeni sociali e personaggi contemporanei a cui nessuno prima d’ora aveva mai dato un nome.
Ecchecivuolismo s.m. corrente di pensiero che sostiene la agile fattibilità di qualunque progetto o impresa [Per sostantivizzazione della frase oggetto «E che ci vuole?!».
Non mi dilungo oltre, perchè nell’intensa intervista, ho scoperto che Gianluca, oltre ad essere un artista delle parole, è anche un gran chiacchierone. Proprio come me.
Ciao Gianluca, a parte un farmacista di Ragusa e qualche altro link inerente l’ambito medico e farmacologico, scrivendo il tuo nome su Google, sembra che tu non esista. Chi sei veramente?
In realtà lavoro per la CIA, mi hanno incaricato di diffondere del lessico strampalato nella lingua italiana perché vogliono destabilizzare il governo (ride, NdR.).
La verità è che non ho una grande proiezione virtuale sul web, lo uso molto per lavoro soprattutto, ma non ho una vita virtuale molto attiva. Ho usato il web in passato, quando avevo un gruppo qui a Bologna, e per dei progetti personali, ma è probabile che Google queste cose le abbia archiviate alla venticinquesima pagina.
Ad ogni modo l’ipotesi della CIA resta la più probabile.
Quindi a parte di spionaggio industriale e missioni segretissime, non ti occupi di altro?
Sono anche un redattore, anche se in realtà dovrei dire «collaboratore editoriale», perché lavoro da esterno per diverse case editrici nel settore della saggistica.
Visto che sei ben addentrato nel settore editoriale, cosa ne pensi dell’editoria di oggi, in Italia?
Non lo so, dicono sia in crisi (ride, NdR.).
Secondo me è in crisi anche il fatto che loro dicano che sia in crisi. Sicuramente c’è una proposta abnorme e una iperproduzione di titoli che non si spiega molto bene. Io ogni tanto leggevo dei rapporti con numeri terrificanti: circa il 30% dei libri stampati non vende nemmeno una copia e poco meno della metà dei libri in commercio ne vende solo una.
C’è evidentemente qualcosa che non funziona, se un settore produce in modo «industriale» un prodotto che non vende. E non credo che il problema sia il web, la rete, gli e-book ecc. Credo siano scuse molto comode per non guardare altri problemi più gravi.
Io concordo al 100% con te, in particolare credo che un paio di risposte le trovi nel fatto che sono spuntate case editrici come funghi e la maggior parte di queste produce senza investire. Voglio dire che ormai l’editore (sì d’accordo, è un ragionamento poco serio, ma tant’è) lascia il rischio direttamente all’autore chiedendo un «contributo» per la stampa delle copie. Contributo che il più delle volte, oltre a coprire i costi di stampa, garantisce anche all’editore la sua fetta di guadagno, e butta nel cesso una delle attività più importanti del processo editoriale, che è poi la distribuzione e la promozione.
Sono d’accordo anche io con te. Credo ci sia un problema anche culturale alla base, che è questa idea di scrittore che c’è in Italia, ma immagino anche in altri paesi, dove vedono il libro un po’ come un blasone, una sorta di biglietto da visita nobile, un feticcio di cui andare orgogliosi. Un’idea molto stereotipata, secondo la quale una persona che ha scritto un libro è più autorevole e importante di altre. Gli editori di cui parli tu giocano con questo sentimento.
E l’autoproduzione è una risposta a questo tipo di editoria o semplicemente un prolungamento?
L’autoproduzione in realtà diventa quasi una necessità, che oltretutto esiste da sempre. Adesso puoi chiamarlo self-publishing in inglese ma, come tante altre cose che oggi vengono chiamate in inglese, è sempre esistita.
Per esempio, lo stesso Artusi, uno dei libri di cucina più famosi in Italia, è partito come un libro stampato e distribuito a spese dell’autore. L’autore aveva stampato circa mille copie e veniva contattato dai suoi lettori che gli facevano un vaglia postale e lui spediva il libro (che tra l’altro all’inizio andava molto male).
Noi ti abbiamo avvistato proprio a Fruit, che è uno dei tanti festival di editoria indipendente nato in questi ultimi anni in Italia.
Come è stata questa esperienza?
Sicuramente è stata un’esperienza molto positiva, tra l’altro era la prima volta che partecipavo ad un festival del genere. Ci sono state tante cose che non mi aspettavo che mi hanno molto colpito, come il rapporto diretto con i lettori, ai quali io mi presentavo come un perfetto sconosciuto, sempre mandato dalla CIA (ride, NdR.), ma la mia copertura era ancora perfetta e le reazioni che potevo vedere dal pubblico erano pure e spontanee.
Il libro è stato stampato a gennaio 2016 e a parte una piccola cerchia di amici non avevo avuto altri feedback. Vedere persone che si avvicinavano al libro, che lo aprivano incuriosite, senza sapere cosa aspettarsi da una copertina dall’aspetto un po’ serio, con quella stampa in bianco e nero, è stato meraviglioso. Qualcuno scoppiava a ridere, qualcun altro mi ha addirittura chiesto di aiutarlo a trovare una definizione per un fatto che gli accadeva quotidianamente.
Adesso sono curioso. Che definizione?
Il nome è «gorgofobia», ed è la paura dei mulinelli d’acqua, ma riguarda il rapporto con i gesti quotidiani che facciamo in casa con i lavandini e, diciamo, gli scarichi.
Un altro ragazzo mentre sfogliava il libro ad un certo punto si è illuminato e ha trascritto su un foglietto un termine che probabilmente riguardava qualcosa che gli accadeva spesso ma a cui non aveva saputo dare un nome.
È stato interessante perché io, poi, mi sono reso conto che nel dizionario ci sono molte di queste fobie, paure che, nel momento in cui scrivi, pensi riguardino solo te.
La parola era «pleragofobia», la paura di ciò che fanno i molti, le masse. Quando ci sono gli esodi per le vacanze ad esempio, accendi tv, computer, smartphone e tutti parlano di queste masse che si muovono. Dentro di te, provi un piccolo tremore e pensi «lasciatemi stare! voglio stare chiuso in casa fino a quando non finisce!» (io rido a crepapelle, NdR.).
Dunque arriviamo finalmente a «Il Calidrino. Piccolo dizionario degli insulti, delle emergenze e delle moderne meraviglie della meccanica». Che cos’è, come nasce e cosa rappresenta questo nome.
È un dizionario anomalo, nel senso che raccoglie anomalie del linguaggio, dell’osservazione e, mi verrebbe da dire, dell’esperienza del mondo. Nasce molti anni fa come una forma di scrittura un po’ privata. Stavo scrivendo un racconto molto ostico e difficile (che poi non ho osato far leggere a nessuno), e avevo messo in appendice una serie di paratesti con dialoghi, spiegazioni etimologiche e questo piccolo dizionario a uso del lettore.
Poi, come capita spesso, l’idea secondaria è migliore di quella originale, così ho messo da parte il racconto e ho cominciato a lavorare sul dizionario, rendendomi conto che era una forma molto elastica, libera, breve, nella quale puoi raccogliere microstorie, può essere letta in maniera sequenziale o casuale. Lascia moltissima libertà dal punto di vista della scrittura, ma anche dal punto di vista della lettura.
Per quanto riguarda gli insulti, è un ambito della lingua interessante perché spesso è molto creativo. Quando si parla di insulti, non so il perché, ma si scatena la fantasia della linguistica popolare e non (ride, NdR.).
Le «meraviglie della meccanica» invece è un omaggio a questo mondo novecentesco colmo di entusiasmo per il progresso che continua a persistere. All’interno del dizionario ci sono anche macchine inventate, fondamentalmente inutili, ma divertenti da descrivere.
Il nome «Calidrino», invece, è una parodia del Calepino, che è un dizionario di latino che si è cominciato a stampare all’inizio del ‘500, un dizionario di un certo peso. Con gli anni «Calepino» è diventato un modo di definire questi dizionari pesanti ed eruditi. Allora per antifrasi, e anche per prendere un po’ in giro il Calepino, l’ho chiamato Calidrino.
Mi sembri particolarmente legato alla lingua latina. È tutto frutto degli studi accademici o c’è dell’altro sotto?
Un po’ per gli studi classici che ho fatto, un po’ perché il latino è fondamentale per l’etimologia delle parole. E quando cominci ad andare a fondo con la storia delle parole, diventa tutto molto entusiasmante se ci si lascia trasportare. È qualcosa che a me serve perché nelle piccole ricerche che faccio ho bisogno di andare alla radice.
E poi il latino è una lingua molto efficace, sintetica, non solo nella forma ma anche nella sostanza. Una lingua più o meno trasparente visto che puoi leggere alcune frasi in latino anche non conoscendolo ma intuendone il significato.
I termini più strani che hai scritto?
L’insulto più efficace, e questo sulla base dei feedback che fortunatamente non mi arrivano sotto forma di insulto, penso sia «scrotoclasta» e tutti i suoi derivati come «scrotoclasmi», o «scrotoclasmio», che sono gli atti dello scrotoclasta: «Ho subìto degli scrotoclasmi» o «È tutto il giorno che vengo scrotoclastizzato».
Lo scrotoclasta è questa figura molesta, un rompitore di palle che non si accorge che tu sei arrivato al limite, e continua con le sue richieste, le sue domande o le sue esigenze. Lo scrotoclasta ha gravi problemi di percezione del limite e anche di empatia non capendo che esercitando i suoi scrotoclasmi ti porta in una condizione di frattura quasi irrisolvibile.
Per quanto riguarda le «emergenze», in realtà è un termine che copre un po’ tutto il dizionario e riguarda le cose che tu vedi emergere nella tua vita quotidiana, qualcosa che si ripete giorno dopo giorno, diventando una vera emergenza lessicale, visto che senti il bisogno di definirla. Gli «eimaronnari» sono sicuramente un’emergenza lessicale sociale. L’«eimaronnaro» è un tipo umano che io ho definito come «sproloquiatore contrastivo», cioè quelli che in una qualsiasi discussione o nei commenti sui social, ad esempio, noncuranti di come si stia evolvendo il dialogo, dicono: «si va bene, è tutto giusto quello che dici, ma i Marò?», deviando o riaprendo una discussione che a quel punto diventa infinita.
C’è poi tutta una cosmologia eimaronnara, che io descrivo nella voce dell’eimaronnaro alle prese con l’Internazionale Comunista Buonista, un’organizzazione mondiale segreta che si adopera per muovere da una parte all’altra del pianeta questi gruppi di miserabili e inserirli nelle società più avanzate.
È un modo di ridere su delle coazioni a ripetere che ci sono nella mentalità delle persone, o forse solo nei social, dove le persone normali si trasformano come quando c’è la luna piena. Forse bisognerebbe controllare i cicli lunari per capire chi sono veramente gli eimaronnari.
Tra le macchine più strane descritte ne Il Calidrino, invece, troviamo il «felicitometro», una macchina che serve per produrre la felicità. È descritta in modo anche abbastanza tecnico, per fare in modo che chiunque ne abbia voglia possa riprodurla a casa seguendo le istruzioni (ridiamo, NdR.).
A proposito di macchine, mi viene in mente il Codex Seraphinianus (di cui parlammo qui) che come logica, per certi aspetti, assomiglia a Il Calidrino.
Sì, in realtà io ho anche questi tipi di riferimenti nel mio immaginario. Adoro la finzione letteraria fatta bene, perché il gioco di finzione, paradossalmente, è una cosa molto seria.
Nel Codex, Luigi Serafini ti lascia all’esterno di questo mondo, ti fa osservare tutto come se fossi in visita su un pianeta alieno. La scrittura che usa è incomprensibile e non hai nessuna tavola interna al libro per decifrarla. Io a differenza di quel tipo di letteratura metto delle spiegazioni, rendendo di fatto tutto trasparente nei confronti del lettore.
Andando vero la fine: lascitum beta. Immagino che questa sia una versione beta del dizionario. Puoi svelarci qualcosa su una release ufficiale o una prossima edizione?
L’idea della beta release mi divertiva molto. Mi sono detto «solo gli sviluppatori di software possono prendersi la licenza di lanciare una versione di prova?».
Come per tutti i dizionari, che vengono aggiornati ciclicamente, io immagino che finché sarà una cosa divertente da fare per me continuerò a scrivere voci e a tirar fuori lascitum gamma, lascitum delta ecc. ecc.
Alessandro Rossi
Alessandro Rossi, fondatore di organiconcrete e pseudo studente di Ingegneria Edile-Architettura presso "La Sapienza" di Roma. Ossessionato dai buchi temporali, dall'eta adolescenziale, dal trascorrere del tempo, dai rapporti umani e dall'arte. Irrimediabilmente fesso.