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Il pop surrealism spiegato dai bambini di Hikari S...

Il pop surrealism spiegato dai bambini di Hikari Shimoda


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Se il nuovo anno è iniziato parlandovi di morte (vedi il pezzo del nostro grande capo e e quello della sottoscritta che ne è seguito il giorno dopo) oggi vi parlo solo di cose belle a cominciare dal fatto che lo scorso 16 Gennaio presso la Corey Helfor Gallery di Los Angeles è stata inaugurata la personale dell’artista ospite di questo secondo martedì targato pop surrealism, ovvero Hikari Shimoda, e sarà visibile al pubblico fino al 13 Febbraio.

Recycling Humanity, è questo il titolo della sua mostra nella galleria californiana alla quale purtroppo non potrò partecipare ma mi premeva raccontarvi un pò di lei.

Hakari Shimoda, classe 1984, è un’artista giapponese che vive a Nagano, dal suo currilum leggiamo che ha studiato illustrazione presso l’Università Kyoto Saga e prima ancora si è diplomata nell’Istituto Aoyama Juku. La sua carriera artistica ha avuto inizio nel 2008 quando, oltre alle prime opere, inziano ad arrivare anche le prime mostre proprio come quella realizzata alla Motto Gallery di Tokyo mentre successivamente i suoi lavori sono stati esposti in molte altre città fuori dal suo paese, come in Canada, negli Stati Uniti e persino in Italia, esattamente nella galleria milanese Officine dell’Immagine nel 2012, dove ha partecipato ad una collettiva dal titolo Selva Obscura nella quale era forte il richiamo al rapporto tra uomo e natura all’interno delle opere degli artisti coinvolti.

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Lo stile dell’artista giapponese prende spunto dall’arte lowbrow giapponese, quella in cui il mondo anima e manga si fa sentire prepotentemente, nella scelta dei soggetti e dei colori forti, vivaci, particolarmente carichi di significato che rimandano ad una dimensione ultraterrena, come se le sue creature si staccassero per qualche istante dal loro ambiente nel quale vengono forgiate, fatto di storie magiche dove all’uomo razionale è proibito entrare, e leggere e leggiadre si affacciano al nostro sguardo, silenziosamente, lasciandosi però dietro il nostro stupore che non può fare altro che incamerare la loro essenza, la loro presenza incognita nella nostra esistenza.

I suoi soggetti preferiti sono i bambini, bambini con le corna, con poteri magici, bambini con le stelle gialle sul petto, bambini provenienti da un’altra dimensione, sono proprio loro gli esseri umani che meglio si addicono alla sua arte, alla sua ricerca delle forze che costruiscono il nostro il nostro mondo parallelo, quello che si nutre delle nostre fantasie che abbiamo accantonato nel passaggio tra l’adolescenza e la consapevolezza di essere divenuti adulti incartocciati nella grigia quotidianità.

Ecco, Hakari Shimoda è colei che mette davanti ai nostri occhi, l’evidente stato di logoramento dei nostri sentimenti più semplici, ovvero la gioia della magia, la voglia che ci spinge verso l’incognito, il desiderio di restare bambini mentre il tempo scorre, proprio quello che abbiamo incasellato in meccanismi artificiali che cerchiamo di rendere più attraenti possibili. Nessuno orologio tuttavia non potrà mai restituirci il tempo perduto e l’unico imperativo è quello di restare umani. Riciclare quell’umanità che sembra essere andata perduta, per non dimenticare che non siamo solo fatti di carne ed ossa ma anche di tante cose belle invisibili che solo l’arte riesce a rendere durevoli nel tempo.

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Eva Di Tullio

Io sono Eva e con Tuesday Poison ogni martedì, vi racconterò la storia dell’arte pop surrealista e lowbrow: accomodatevi pure!

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