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Come si prepara alla morte, chi non muore?

Come si prepara alla morte, chi non muore?


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I pani d’oro della vecchina

A un certo punto della vita, i bambini, scoprono che quando calpestano una formica, questa non si muove più.
Qualcuno, prova a dargli un colpetto con le piccole dita, quasi a dire «dai, riparti!», qualcun altro scoppia inevitabilmente in lacrime davanti a quel misterioso “animaletto rotto” a cui ormai si era affezionato.
Presto o tardi, però, il pargolo smetterà di piangere, di affezionarsi alle formiche, di spingerle con il dito, di calpestarle senza motivo, e la curiosità sui complessi meccanismi della vita, prenderà il sopravvento. E puoi giurarci, che prima o poi ti chiederà il perchè:

Perchè la formica non si muove più? Perchè non “riparte”? Che fine fa una volta che è stata schiacciata?

Domande legittime per un adulto (che pure si sforza di trovare le sue- opinabili – risposte attraverso religioni, destini incrociati e filosofie di pensiero), figuriamoci per un bambino affamato di risposte e carico di “perchè” da dispensare a genitori, nonni e conoscenti.

La morte, così come il sesso, è uno di quegli argomenti tabù, che gli adulti tendono a nascondere ai bambini e spesso anche ai “loro simili”. Convinti quasi, che non parlarne, serva in qualche modo a smorzare il trambusto (e la paura) che certe parole generano nell’uomo.
E non serve scomodare personaggi illustri o filosofi d’altri tempi per raccontarla, che tanto nessuna parola riuscirà mai a giustificare la perdita di una persona cara. A volte, è sufficiente prendere in mano un libro e legger(si) la favola giusta, come L’anatra, la morte e il tulipano dell’illustratore crucco Wolf Erlbruch o I pani d’oro della vecchina, edito da Topipittori (giusto per citarne un paio) tenendo bene a mente, che i bambini, come gli adulti, devono inevitabilmente fare i conti con le sofferenze. Talvolta improvvise, talvolta annunciate.

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L’anatra, la morte e il tulipano

E c’è una cosa nel pensiero orribile della morte, nella mancanza dei propri cari, nel senso di solitudine, di fine (o inizio, in base ai punti di vista), di impotenza e di alienazione che la morte stessa provoca. Quella cosa è il senso di appartenenza a un ciclo incredibilmente feroce e al contempo generoso, interminabile ma ben definito, fatti di stagioni che arrivano, passano e poi ritornano, portando con sè tutti i rami secchi, quando è inverno, e tutti i germogli quando è primavera.

Noi, possiamo solo sperare che arrivi senza avvisare, chè a sapere quando bisogna morire, col rischio di una raccomandata postale in (classico) ritardo, il tempo sembra sempre troppo. O troppo poco.
Un po’ come quando devi dare un esame, sapendo che sarai l’ultimo ad essere chiamato. C’è lo strazio dell’attesa.

Così oggi, una domanda me la faccio pure io. Chè magari è la stessa che si è fatto qualcun altro, i miei genitori prima di me e i miei nonni prima ancora, lasciando tutti in un vuoto educativo figlio della non conoscenza.
Come si prepara alla morte, chi resta? Chi attende? Chi osserva impotente un uomo che perde la dignità? Chi si danna per salvare invano qualcuno? Chi si appresta a fare i conti con la solitudine di un letto vuoto? Di una casa silenziosa? Di un tavolo troppo grosso per mangiare da soli? Di ricordi nascosti nei cassetti e in ogni angolo di casa? Di profumi non tuoi, aggrappati a vestiti e lenzuola?Come si prepara chi aspetta la morte di un parente sedato in attesa del “blocco” finale? Come si prepara chi cova rabbia e rancore nei confronti del mondo?

Come si prepara alla morte, chi non muore?

Chè magari, se da piccolo mi avessero preparato alla morte, oggi sarei insieme a tutti gli altri, ad aspettare pure io, con tanto di sorriso stampato in bocca.


Alessandro Rossi

Alessandro Rossi, fondatore di organiconcrete e pseudo studente di Ingegneria Edile-Architettura presso "La Sapienza" di Roma. Ossessionato dai buchi temporali, dall'eta adolescenziale, dal trascorrere del tempo, dai rapporti umani e dall'arte. Irrimediabilmente fesso.

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