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A colpi di luce 3.0: Cecilia Borellini

A colpi di luce 3.0: Cecilia Borellini


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Ciao Cecilia, la prima cosa che ti chiedo è di parlare di te attraverso due scatti: fotografa ciò che hai in tasca e dove ti trovi adesso, raccontaci se (e perché) rappresenta il posto in cui vorresti essere.

Ciao. Usualmente non uso riempirmi le tasche di oggetti, svuotando quelle della giacca (le più sfruttate che ho) si trovano cose piuttosto irrilevanti che credo non mi possano neppure rappresentare (diversi scontrini sciupati di varie colazioni, un biglietto del treno per Padova, un fazzoletto usato e un mattoncino giocattolo che ho trovato per terra). Abitualmente mi servo più che altro di borse o zaino che, a mia volta riempio di astucci e contenitori che racchiudono ogni mio oggetto,una mania alla quale neanche io so dare una spiegazione. Attualmente mi trovo davanti allo schermo del computer, dalla quale sto rispondendo, in camera mia. Non corrisponde esattamente al posto in cui mi vorrei trovare ora. Il più delle volte, la mia mente si trova altrove rispetto al mio corpo.

Se c’è una cosa che mi chiedo spesso, quando guardo le foto dei fotografi che intervisto è questo: cosa provi quando fotografi? Nel momento in cui si scatta, che sensazioni hai? E poi dopo, quando guardi la foto, a che pensi?
Sinceramente, non ho mai riflettuto su quello che provo mentre fotografo, ma una cosa certa è che penso sia essere uno degli impieghi che più mi entusiasma e apassiona. Sono una persona poco costante nelle attività in cui mi cimento, ho iniziato con ambizione molti progetti che non hanno mai raggiunto una fine o uno scopo. La fotografia, invece, sembra darmi quelle certezze e soddisfazioni che mai ho trovato in altre circostanze, quindi presumo mi renda felice o quantomeno un minimo orgogliosa di quello che riesco a creare. Spesso mi ritrovo a scattare fotografie che in un primo momento mi piacciono, ma distolto lo sguardo, molte volte non torno a guardarle con lo stesso interesse provato nel momento in cui le ho scattate. Raramente succede il contrario, ma quando succede, non me ne distacco più. Credo di avere ancora due diversi approcci con la fotografia, se da una parte si caratterizza quello estetico, da un altra si distingue subito quello del bisogno di ammucchiare e conservare ricordi senza tanti giri di riflessioni, regole o strutture compositive. In questo mi trovo ancora insoddisfatta: non credo di riuscire tuttora a legarli in un unico contesto.

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Come vedi gli altri e il mondo attraverso il tuo obiettivo? cosa c’è che per te che debba essere ricordato, fotografato, raccontato?
Ci sono due tipi di “altri”. Se si tratta di fotografare sconosciuti, preferisco rimangano il più anonimi possibili, impersonali, dal momento che non saprei neanche io definire loro una personalità mi piace pensare che siano sagome immerse in un contesto più complessivo di cui fanno parte. Diventa diverso invece quando mi ritrovo davanti a persone che conosco, è sicuramente un punto di vista più confidenziale, l’approcciarmi a loro diventa quasi più giocoso: si tratta di mettere in risalto particolari o caratteristiche a cui si è da più tempo spettatore, quindi è anche più immediato lo scatto. Il mondo attraverso il mio obbiettivo lo sto ancora scoprendo. Da quando ho inziato a scattare, ormai otto anni fa, ad ora ho scoperto tanti mondi o meglio, di uno stesso mondo, molte facce e sfumature che spesso si sono anche contrapposte. Crescendo e tramutando i miei punti di vista, si rinnovano e crescono con me anche le mie fotografie e la visione che ho delle cose che tutt’ora sono in continuo cambiamento. Ecco, trovo molto affascinante questo processo perchè attraverso la fotografia ci si può rendere conto del concreto passare del tempo e dell’implacabile evolversi degli avvenimenti ma soprattutto di noi stessi, o almeno di me personalmente. Credo meriti di essere ricordato ogni considerevole momento, bello o brutto che sia, che abbia avuto una forte impronta su di noi, qualcosa che difficilmente si possa pensare di staccare o lavare via dal nostro essere. Raccontata, invece, dovrebbe essere ogni storia che valga la pena di essere ascoltata, che sappia stupire chi ascolta e che abbia stupito chi la racconta. La fotografia penso racchiuda tutto questo. Bisogna fotografare per ricordare e raccontare.

Cosa ispira e modifica la tua ricerca? Quali sono le cose che ti fanno star bene?
Ci sono molte cose che mi fanno star bene, da poco, sto riscoprendo le cose semplici, che sto imparando a non dare mai per scontate. Ma io odio gli elenchi.
Per quello che riguarda la mia “ricerca” invece, credo di averla costantemente davanti agli occhi. Siamo tutti spettatori di un vivere che ci mette davanti ogni giorno a miglioni di immagini e situazioni che, di per sè, credo rappresentino già uno spunto o un ispirazione. La ricerca intesa come studio non mi è mai appartenuta del tutto, più volte ho cercato di premeditare alcuni scatti e progetti ma con scarsi risultati e abbondanti fotografie che neanche considero. Ho un approccio molto più istintivo e immediato alla fotografia. Mi piace scoprire le cose e stupirmene al momento stesso in cui ne vengo a conoscenza. Spesso, non premeditare le cose e gli avvenimenti può essere un buon presupposto per non intaccarle. Nel fotografare il mondo preferisco perdermici e non averci grande famigliarità. La maggior parte delle mie fotografie sono scattate lontano o comunque distanti dal posto in cui vivo, ho scoperto che diventa più facile per me accorgermi ed apprezzare i dettagli dei posti sconosciuti rispetto a tutti i posti a cui sono quotidianamente esposta.

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Se dovessi partire per un viaggio oggi, cosa porteresti nel tuo zaino e cosa lasceresti a casa?
Da qualche mese ne sto desiderando uno. “Viaggio” è sempre stata una di quelle parole che mi provoca il solletico dai piedi alla testa. Una buona, e forse più, metà dello zaino sarebbe conquistata dal mio corredo fotografico, è impensabile spostarsi senza. Il resto dello zaino potrebbe anche rimanere vuoto, verrebbe comunque riempito durante il corso del viaggio, anche se credo siano più le cose che mi dimenticherei a casa, di quelle che non porterei.

Una domanda alla quale vorresti rispondere e che nessuno ti fa mai.
conosco fin troppo bene le domande a cui vorrei evitare di rispondere, ma ignoro quelle a cui vorrei rispondere.

Un sogno ricorrente, uno irrealizzabile e uno espresso. Raccontaceli.
Ho molti desideri in realtà, ci sono pochi sogni. Ma se ve li racconto poi, si avverano ?
volendo nessuno è completamente irrealizzabile. Altri sono solo indecisi su cosa essere davvero. Molti di quelli espressi non si sono mai avverati ma sono stati dimenticati.
Tra questo e la fine dello scorso anno però, ho avuto modo ( o forse solo fortuna ) di incontrare tre tra i fotografi che ammiro di più. Steve McCurry è stato decisamente un opportunità più alta di me (so che ci vuole poco), ma lo considero un sogno che ho visto avverarsi e rimane uno di quei ricordi che lasciano l’impronta.

Ho chiesto per un anno, a tutti I fotografi, quali fossero I loro progetti futuri, ho deciso di cambiare e chiederti, cosa vuoi fare oggi e cosa farai veramente?
Questa è una di quelle domande a cui vorrei evitare di rispondere. Mi ritrovo con una risposta che anche io faccio fatica a trovare, da tempo e per ora sto mi accontento in una sorta di limbo a vagare in cerca di quello che sono o voglio essere. Quello che andrò a fare, non lo riesco a vedere ancora e non so dove si nasconda ma so di certo che mi terrorizza a tal punto da provocarmi il mal di stomaco.

Intervista conclusa, prima però, consigliateci un film, un libro, un disco e un fotografo.
C’è un film, l’ultimo che ho guardato seguendolo minuziosamente, Taxi Teheran” di Jafar Panahi. Lo consiglio vivamente e fino alla fine. Come libro “La gioia di scrivere” di Wislawa Szymborska, leggetelo a gocce, non ho altro da aggiungere. Come disco, sto ascoltando giusto ora “Mezzanine” dei Massive Attack che mi tiene compagnia anche in macchina in questo periodo. Un fotografo ( solo uno ? ) Luigi Ghirri.

 

Ringrazio Cecilia per la sua disponibilità, qui potete trovare tutte le sue foto: Cecilia Borellini

 

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Giuliana Massaro

Giuliana Massaro, 26 anni, studentessa di lettere moderne da un po', lunatica da sempre. Penso troppo, parlo poco, faccio foto.

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