Ho avuto il piacere di visitare la mostra di Gero Canalella ormai qualche settimana fa presso la Galleria d’arte Lab4 di San Cataldo (Cl). I suoi lavori mi hanno immediatamente affascinato, suscitando in me un forte senso attrattivo che mi ha spinto ad osservarne silenziosamente ogni dettaglio, a scurtarli per poi sentire sempre più l’impellente bisogno di saperne ancora di più, di scoprire cosa vi è alla base della sua ricerca, costante e irrefrenabile. Ho scoperto un giovane uomo affamato di arte e di sperimentazione e desideroso di rispondere alle domande sulla natura e sulla sua sacralità, in un continuo alternarsi tra spiritualità e sessualità, tra trascendente e carnale.
Ciao Gero! Inizio subito col domandarti da dove nasce la tua passione per l’arte?
Non saprei risponderti in maniera precisa. Da bambino passavo molto tempo a curiosare nel laboratorio di mia zia, una pittrice, e crescendo ho sempre sentito l’esigenza della bellezza, qualsiasi attività svolgessi. Gli studi artistici mi hanno poi fornito la consapevolezza sull’evolvere dell’arte.
Hai scelto la scultura come tuo mezzo artistico espressivo; cosa ti dà maggiormente rispetto ad altre forme artistiche?
Il mio percorso è iniziato con la pittura, poi ho sentito l’esigenza di virare verso la scultura perché di essa mi incuriosiva la maggiore possibilità di interazione con lo spazio reale, la sua presenza.
Ho avuto l’immenso piacere di poter visitare la tua personale presso la galleria LAB4 di San Cataldo (Caltanissetta) dal titolo “Orme del Sacro”: da dove nasce questo tuo progetto che vede come focus la sacralità?
All’interno del lungo percorso della storia dell’arte ci si imbatte spesso in tematiche ricorrenti legate alla sessualità, alla religione, al dolore, alla gioia di vivere, e prima o poi un po’ tutti nelle nostre esistenze ci si trova ad affrontare domande legate a tali argomenti. Io ho voluto farlo esprimendomi per immagini e focalizzando la mia attenzione sul concetto di sacralità. Il sacro, come dice Umberto Galimberti in “Orme del Sacro”, testo da cui prende tra l’altro il titolo la mostra, non va inteso solo in senso spirituale o morale, come si crede comunemente, ma è stato interpretato nel tempo anche in termini di potenza, stupore, timore, violenza, sessuali¬tà. A esprimere la sua potenza è anche il cosmo, che purtroppo oggi più che mai risente della frattura creatasi tra l’uomo e la natura. Il sacro rimane l’imperterrito antagonista dell’”epoca della tecnica”, la nostra epoca,¬ perché espressione stessa dell’esistenza umana.
Sono stata particolarmente colpita dall’essenzialità dei tuoi lavori, così “semplici” ma al contempo di enorme impatto sia visivo che emotivo; raccontaci un po’ la realizzazione di queste opere, i vari processi che hanno preceduto il lavoro finale.
Compongo il mio racconto servendomi di riferimenti e citazioni provenienti da ambiti eterogenei, dal cinema alla filosofia, dall’ immaginario narrativo e religioso alla storia dell’arte.
Le sculture proposte per la mostra rappresentano un’accurata selezione all’interno di un percorso iniziato nel 2012. Esse vengono costruite attraverso le tecniche tradizionali della modellazione e della formatura; prendono forma lentamente e ponendosi in ascolto della materia da plasmare. Il mio intento non è, però, quello di far rivivere la tradizione della statuaria in senso no¬stalgico, bensì come ausilio per la rivelazione dello spazio contemporaneo. Un momento essenziale del progetto esposto è stato infatti l’articolazione del lavoro in galleria e la realizzazione di opere specifiche per lo spazio.
Un’opera di cui mi sono immediatamente innamorata è quella che rappresenta un feto in stretta connessione con la terra tramite il cordone ombelicale: a cosa ti sei ispirato per realizzarla?
Ricordo che nel periodo precedente alla sua realizzazione rimasi folgorato da un celebre film di Andrej Tarkovskij, “Stalker”, e in particolar modo dalla scena in cui uno dei protagonisti compariva rannicchiato in posizione fetale su terreni acquitrinosi. Nel mio lavoro la madre assume per il feto dimensioni cosmiche e cerco di recuperare in maniera quasi nostalgica quella visione sacrale che l’uomo pre-moderno avvertiva nei confronti della natura. Dentro quella sorta di incubatrice tutte le membra della figura si formano e il naso comincia ad allungarsi puntando emblematicamente la terra, quasi a volerla fecondare. L’associazione fallica che la nostra cultura ha generato attorno al naso di Pinocchio contribuirà a rafforzare il concetto di potenza che l’opera vuole suscitare, malgrado l’atmosfera di sospensione che aleggia attorno ad essa.
Chiara Amato è la curatrice della mostra, ha visto nascere il progetto dalle prime idee alla realizzazione: la sua presenza femminile influisce nei tuoi lavori anche minimamente?
Indubbiamente. Abbiamo vissuto periodi di forti scambi di idee, e lei ha rappresentato per me molte volte il primo parametro di giudizio esterno sulle opere. Il progetto realizzato è stato possibile solo grazie all’ottimo lavoro di squadra compiuto, ognuno portando avanti le proprie competenze.
In questa società in evoluzione, in cui spesso si è “devoti” più alle cose materiali che ad altro, come inserisci la tematica presente “Orme del Sacro” in cui è forte il sentimento di sacralità e della connessione uomo-natura?
Sembra che il progresso umano oggi abbia ridotto considerevolmente l’area del sacro e il controllo razionale sulla realtà ci mostra il mondo in una veste completamente desacralizzata, senza limiti, se non quelli che la tecnica incontra. Ma il sacro è una dimensione perdurante nella condizione umana; può essere rimosso, invocato, temuto, dimenticato, ma opera comunque e, come sostiene Mircea Eliade, va oltre la secolarizzazione, e aggiungerei anche la manipolazione, di un valore religioso in quanto costituisce una struttura finale della coscienza dell’uomo.
Come ti vedi fra 5 anni? Sogni nel cassetto?
Tra cinque anni mi vedo a fare progetti per i 5 anni a venire! È inevitabile. Sogni nel cassetto: essere invitato un giorno ad esporre insieme a Antony Gormley e Berlinde de Bruyckere, sarebbe fantastico!
Come spiegheresti il tuo lavoro ad un bambino?
Caro bambino, il mio lavoro consiste nel realizzare delle sculture e dei disegni interessanti.
La felicità è…?
…contagiosa!
Ringraziandolo per la disponibilità ed entusiasmo nel rispondere a questa intervista, vi invito a seguire i suoi lavori qui.
(Fotografie della mostra a cura di Santo Di Miceli e Chiara Cammarata)
Claudia Tornatore
Sognatrice, a tratti poggio i piedi sulla terra e ogni tanto salgo sulla luna. Laureata in scienze umanistiche, considero l’arte il fulcro della (mia) vita. La mia tesi? Arteterapia. Scrivo di fotografia, mi diletto con essa : è nella mia vita da che ho memoria, in fasi e forme differenti. Amo il colore, il tè nero, gli incontri inaspettati, i sorrisi, la voglia di cimentarsi in cose nuove e la mia bellissima Sicilia.