Il 10 di novembre, poco prima che la dura realtà ci colpisse in testa, si apriva e si chiudeva il progetto #Allmymovies, ideato dai digital artists Ronkko e Turner ed ospitato sulla piattaforma digitale Newhive, luogo di promozione ed incontro di artisti e videoartisti di tutto il mondo votato alla produzione di contenuti quanto alla creazione di rapporti lavorativi propriamente detti.
Una maratona di oltre dieci ore nella quale sono state proiettate in ordine inversamente cronologico (dal più recente al più datato) le pellicole nelle quali ha recitato Shia LaBeouf. In sala a guardare verso lo schermo, l’attore stesso e chiunque volesse unirsi a lui (ingresso libero!).
(Immagine sottostante in movimento: Shia fa il dito dell’ok mentre si lascia fotografare insieme ad un fan)
Una telecamera ha ripreso la faccia barbuta, trasandata e più che comune di Shia durante la proiezione, rendendo partecipi tutti quelli che hanno seguito la performance in live streaming su Newhive delle sue reazioni (video ancora visibile qui). La comunità di cazzari online ringrazia per l’occasione concessa dall’evento per GIFfare tutto il giffabile.
A noi, spettatori da casa, non è dato sapere a quale reazione corrisponde quale film o quale scena, ma spero fortemente che “Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo” gli abbia scatenato una fulminante et subitanea diarrea.
(Immagine sottostante in movimento: Shia raggiunge un superiore livello di coscienza)
Il cinema, o meglio la visione di un film al cinema, per quanto ci sia buio in sala è un’esperienza comunitaria. Tutti guardiamo verso lo schermo ma continuiamo a percepirci a vicenda, tastiamo il polso delle reciproche sensazioni ed intuizioni. Delle emozioni, se proprio vogliamo scomodare questa complicata, strabusata parola. Ed è questa la differenza principale tra l’alzare il culo ed andare al cinema e restare a casa a guardare la tv. Il confronto.
Bene, questa cosa molto fica e molto hippy la possiamo provare noi, spettatori, che andiamo al cinema per svagarci.
(Immagine sottostante in movimento: Shia non è interessato al nuovo piano tariffario della Telecom. Sta a posto così)
Poi ci sono gli attori. Quelle persone che recitano e che vanno alle prime, che alle volte nel proprio lavoro ci mettono l’anima e alle volte no, che non riescono a migliorare per quanto ci provino un pessimo copione o che ne distruggono uno ottimo, quelli che vengono posseduti da Dioniso in persona o che in preda alla colite preferirebbero stendersi un attimo anziché girare. Queste persone quasi mai si ritrovano in un multisala qualsiasi insieme a persone qualsiasi, guardando un film dove loro stessi recitano.
(Immagine sottostante in movimento: Shia sbaglia la mira e non riesce a pettinarsi le sopracciglia)
Qui invece Shia ci ha messo esplicitamente la faccia oltre che tutto il resto del corpo, fisicamente presente in quello spazio, effettivamente reattivo nel video testimonianza del progetto. In totale accordo di espressioni con il resto della platea, arricchendo di quando in quando con reazioni più simili alla manifestazione di ricordi (perché noi il film magari l’abbiamo già visto e ci torna in mente che ci era piaciuto o fatto schifo, o che non l’avevamo capito per niente perché stavamo pomiciando. Ma lui, lui ha tutta un’altra serie di ricordi, diversi dai nostri, legati alla creazione e non alla fruizione).
(Immagine sottostante in movimento: e bevitela na cosa, no?)
Stare spalla a spalla con qualcuno mentre veniamo fagocitati dal racconto di una storia, ci ingaggia, tutti quanti, in un tipo di rapporto empatico. Quel tipo di rapporto empatico che, forse, un attore di Hollywood non prova spesso, a causa della gabbia dorata in cui vive (che vitaccia brutta). Nella chiacchierata che LeBeouf, Ronkko e Turner hanno fatto con Zach Verdin (cofondatore di Newhive) emerge dalle parole dell’attore un senso di rara gioia.
(Immagine sottostante in movimento: shy Shia)
E la rarità della gioia provata è probabilmente la conseguenza del trattamento che LeBeouf riceve dalla stampa e dalla rete e dell’insicurezza che ne deriva.
Giusto qualche mese fa guardavo un video fatto con il cellulare: protagonisti due ragazzi che danno un passaggio ad un Shia LeBeouf folle di rabbia dopo una litigata con la fidanzata. Quel genere di rabbia che tutti abbiamo provato dopo una lite furiosa con la persona che amiamo. Inutile dire che i commenti alla vicenda non erano dei più lusinghieri. E questa è giusto la prima cose che mi viene in mente, ma se avete una buona mezz’ora da spendere in rete sono sicura che troverete numerosi esempi interessanti. Esempi dove verrete assaliti dal disagio, perché Shia quando ci si mette è il re di tutti i weirdo. Insomma sto poro ragazzo dove si gira si gira pesta una merda, anzi pesta un meme, il suo.
Shia è amato dai frequentatori della rete, un affetto basato sulla presa per il culo e lo sfottò pesante. Non c’è da stupirsi che tema l’opinione degli altri. Un attore teme l’opinione degli altri, è quella cosa immediata che sancisce una vittoria o un fallimento, perché se non funzioni sullo schermo saranno le persone a fartelo notare.
Ed ecco che finalmente arrivo alla rara gioia di cui parlavo prima, non solo dettata dalla partecipazione ad un progetto ospitato su una piattaforma che Shia stesso ama spassionatamente, ma soprattutto dall’aspetto performativo. Da quello stare spalla a spalla uno accanto all’altro, tirando giù ogni barriera per entrare effettivamente a far parte di una comunità. Potrei aggiungere, “una comunità dove siamo tutti uguali”, ma preferisco dire “una comunità dove non siamo diversi”.
“In that room it was egalitarian. Yes, I was being stared at and I’m the focal point and the pointing is happening, but the pointing is happening for me too. If we’re all pointing, then we’re on the same level”.
Beatrice Lombardi
Laureanda presso il CITEM di Bologna è nata 26 anni fa dal tubo catodico. Dopo anni di amore e odio con mamma Televisione e papà Cinema ha deciso di percorrere nuove strade ed è scappata con il Web.