E’ il nostro corpo a morire, non le nostre opere o il nostro pensiero.
Nicola Samorì
E’ proprio partendo con una citazione dell’artista ospite di questo nostro martedì che vorrei parlarvi del suo surrealismo trasfigurativo che mi ha tenuta una serata intera incollata alle sue opere spulciate sul suo sito e un po’ ovunque su internet. Un ringraziamento speciale va al mio amico Michele Guidarini che di lui mi ha parlato la scorsa settimana mettendomi di fronte all’evidente stato di bellezza superiore che inebria la sua poetica artistica che in queste brevi righe tenterò di decifrare.
Dunque, signore e signori, l’ospite di oggi è Nicola Samorì, un artista nato nel 1977 a Forlì ma che attualmente vive e lavora a Bagnocavallo, un comune della provincia ravennate, sappiamo che ha ottenuto il diploma in pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna, nel 2002 consegue il Premio Giorgio Morandi per l’incisione e dal 2005 è presente in personali e collettive in Italia ma soprattutto in Europa, a Berlino dove è stato varie volte protagonista di mostre fantastiche, come l’ultima nel 2013, Guarigione dell’ossesso, presso la Christian Ehrentraut mentre si è da poco conclusa la sua partecipazione alla 56. Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia nel padiglione Italia.
Quando si parla di un artista come lui qualsiasi soggetto parlante, che sia un critico d’arte o un semplice fruitore della bellezza, non può fare a meno di rimarcare la sua capacità di penetrare il pensiero umano attraverso forme alle quali il pensiero non si abitua così troppo facilmente. Le sue opere, sculture o dipinti, rappresentano una trasfigurazione di concetti e forme artistiche del passato, un procedimento che parte dal pensiero e che nella mano diventa azione andando a spostare l’attenzione dello spettatore dal soggetto rappresentato al soggetto che esegue la trasfigurazione stessa dell’immagine, intesa esattamente come l’atto di deturpare volontariamente quel soggetto che nel momento in cui è stato originato aveva uno scopo ben preciso, ovvero quello di raffigurare il presente. Ecco, nelle opere di Nicola Samorì avviene un procedimento particolarmente legato al concetto stesso di opera, poiché acquista un valore che va ben oltre la temporalità del presente o del passato e segna un percorso di ricerca molto personale che conduce l’artista a concepire il gesto e il segno come i due pilastri della sua poetica artistica, se è così che me la lasciate descrivere.
In queste opere bellissime che ho inserito in questo pezzo, dove tra l’altro mi sono lasciata trasportare dalla bellezza degli allestimenti delle varie mostre alle quali ha partecipati in questi anni, appare evidente la sua propensione verso i grandi maestri dell’arte italiana del seicento, in primis Caravaggio, ma mi sembra di rintracciare nel suo modus operandi anche una certa vicinanza a Francis Bacon e al suo modo di trasfigurare immagini appartenenti ad una cultura artistica e storica del passato e ciò che rende ancora più intrigante l’arte dell’artista di oggi è la sua capacità di mettere in discussione quello che gli storici dell’arte chiamano “assoluto” quando parlano a proposito dell’arte del passato e in particolare dello stesso Caravaggio: Nicola Samorì, attraverso la sua metamorfosi del soggetto, concede nuova vita al passato iconografico e illustrativo andando a rompere la silente emotività di quel sacro e di quel profano che eravamo abituati a vedere con gli occhi casti e puri di un bambino appena nato.
Eva Di Tullio
Io sono Eva e con Tuesday Poison ogni martedì, vi racconterò la storia dell’arte pop surrealista e lowbrow: accomodatevi pure!