Il giorno in cui mangi una mela e butti i semi proprio nel giardino di casa tua, non ti chiedi cosa succederà. Non ti chiedi se quei semi un giorno diventeranno una pianta o se rimarranno sottoterra a far da concime naturale al terreno; non ti crei il problema di doverli annaffiare, curare o proteggere, li butti senza aspettative, senza pretese. E magari tra te e te pensi “chissà se tra dieci anni si trasformeranno in una pianta da frutto”.
Lo pensi con la nonchalance di chi non ha nulla da perdere, ma solo da guadagnare, con la tranquillità di chi quel probabile (e futuro) albero se lo sarà visto arrivare come un fortunato gratta e vinci da 2 euro, comprato in autogrill con il resto di un pacchetto di patatine formato gigante.
Il giorno in cui invece quei semi li pianti in un vaso e li ricopri con la torba comprata dal vivaio di fiducia, ecco, proprio in quel preciso istante, sei letteralmente fregato, ingabbiato, ammanettato. E non (solo) perchè dovrai (ri)sporcarti le mani (nel senso letterale e figurato del termine) o perchè dovrai proteggere quel vaso dal tuo cagnolone con la sindrome dello “scavo nei vasi nuovi”, ma più semplicemente perchè nella tua testa, hai appena dato vita a una storia.
Ecco, le storie, come i semi, hanno bisogno di tempo per maturare, e non c’è verso di accelerare in maniera naturale questo processo. Devono passare i giorni, le stagioni, c’è bisogno di acqua, prima, di Sole, poi, c’è bisogno di speranza anche chè (a)genti esterni, ci mettono poco a sabotare tutto e vanificare soldi e fatica.
E tu sei lì, durante il giorno, a pensare cosa ne verrà fuori, se sarà all’altezza delle tue (e talvolta anche degli altri) aspettative, se trascorso un po’ di tempo, sarà in grado di andare avanti da sola o se avrà ancora (e sempre) bisogno di te, delle tue cure. Come una piccola creatura a cui dover dedicare tutte le attenzioni e le energie della giornata.
Il seme di Martina Liverani, si chiama Dispensa. Che in realtà è già molto di più che un seme (complice l’amorevole cura con cui è giornalmente trattata), ed è forse uno dei progetti editoriali più interessanti degli ultimi 10 anni.
Una “storia” che i “miei” redattori conoscono a menadito, visto che più e più volte l’ho citata nelle varie e a tratti sconclusionate (ma mai davvero inutili) riunioni che abbiamo fatto in questi anni di Organiconcrete (“me la sogno la notte” cit.) , tessendo le lodi di un progetto incredibilmente rivoluzionario.
A metà tra un libro e una rivista, Dispensa racconta “generi umani e generi alimentari”, ma non ha pubblicità, non illustra ricette, non intervista Chef stellati da panorama televisivo, non la butti dopo un anno e non puoi leggerla distrattamente.
Dispensa devi toccarla, sfogliarla, sentire il fruscio della carta (un genere alimentare anch’essa visto che è prodotta con scarti alimentari), annusarne l’interno, percepirne la grammatura e immaginare tutte le mani che ci sono volute per realizzarla. E poi magari rileggerla due e anche tre volte, usando testa, cuore e occhi (non necessariamente in quest’ordine), tenendo conto che per gustarne appieno la genuinità, occorre abbandonarsi al flusso delle storie raccontate e lasciarsi rapire dal lato spesso romantico di chi il cibo, lo mette in tavola.
Qualche giorno fa, è uscito il numero 4 (che in realtà è il quinto, visto l’ormai introvabile numero zero) e ne ho approfittato per fare qualche domanda proprio a Martina, che di Dispensa è il Direttore Responsabile.
Ciao Martina, seguo sin dagli inizio il progetto editoriale Dispensa, ma passati 2 anni dal famigerato e ormai introvabile numero zero, mi sono reso conto dell’incredibile evoluzione che questo progetto mostra numero dopo numero. Ti va di raccontarci cos’era (e come è nata) Dispensa nel 2013 e cosa è diventata oggi?
Dispensa è nata nel 2013, anche se era nei nostri pensieri sin dal 2012. È nata in un periodo in cui mi stavo interrogando moltissimo su che cosa un appassionato del mondo del food avesse voglia di leggere: io stessa, per esempio, mi ero trovata ad acquistare parecchie riviste indipendenti cartacee che stavano nascendo in quel periodo all’estero, rendendomi conto che in Italia non c’era nulla di tutto ciò.
C’è da dire che io sono sempre stata affezionata alla carta. Ho iniziato a scrivere più di 10 anni fa, proprio sulla carta, e avevo voglia di fare qualcosa di nuovo, innovando questo mezzo antico ma dal fascino contemporaneo. Una specie di antidoto all’abbuffata digitale, alla velocità e superficialità di certi contenuti e che trattasse le notizie in un modo un po’ diverso da quello che leggevo. In realtà, quello che Dispensa ci permette di fare, non è raccontare qualcosa per primi, ma di raccontarla nel modo più incisivo possibile.
Generi Alimentati e generi umani. Cosa vuol raccontare questo Claim, che poi è il manifesto stesso di Dispensa? E da dove ha origine tutto questo (immagino un’altra storia)?
Sono innamorata della dicitura “generi alimentari”, anzi in realtà è stato uno dei nomi che abbiamo scartato per la testata prima di arrivare a Dispensa, e alla fine è stato meglio così (ride). Sono molto affezionata a questa dicitura, perché sono nata in un negozio di generi alimentari, una bottega e ho ben chiaro che contiene più “generi umani” di quanti noi possiamo immaginare. Generi alimentari e Generi Umani, è anche ciò che si trova dentro Dispensa: non ci sono ricette, non ci sono recensioni, non c’è pubblicità; ci sono solo storie.
Dispensa, è senza ombra di dubbio un progetto folle. Perché mentre Wired cede il passo al web e annuncia una drastica diminuzione di uscite cartacee, tu scegli di rivolgerti proprio a quei lettori che hanno voglia di belle storie, pagine da accarezzare, annusare, strofinare, toccare. Quant’è difficile il mondo editoriale su carta per una rivista che racconta il cibo senza mostrare ricette?
Pensavo fosse più difficile. In realtà ci sono molti lettori che amano questo tipo di cose. Penso che i lettori amino Dispensa sicuramente per la sua multisensorialità ma anche perché all’interno leggono cose che non si trovano altrove.
E quindi secondo te il lettore di Dispensa è più un amante di cibo, o un amante di storie?
È una bella domanda. Credo di entrambe le cose. Cerchiamo di contaminare i nostri contenuti toccando mondi diversi da quello del cibo (Ad esempio nel numero #2 c’è un pezzo firmato dallo stilista Antonio Marras, ndr) ma anche di stupire chi in quel mondo ci lavora, ci vive o ne è appassionato e approfondito conoscitore.
Tra chef improvvisati, gastrofissati, fanatici del gourmet, (che poi un bel piatto di sagne e fagioli, magari non l’hanno mai assaggiato), foodporn addicted, cuochi della domenica in tv, e chi più ne ha ne metta in questo bestiario meraviglioso che sembra popolarsi ogni giorno di più, come vedi trasformato il panorama del cibo in Italia?
Al di là degli chef, del piatto fotografato e dei food show – che sono solo la punta di un iceberg – ci sono delle storie meravigliose che riguardano tutti quelli che lavorano nella filiera del cibo e Dispensa cerca proprio di dare la voce di questa parte che ancora non si vede e che ha ancora tanto da dire. E noto che l’interesse verso questi argomenti cresce sempre di più.
La cosa che più apprezzo di Dispensa, che tra le altre cose, considero uno delle bookzine italiane più interessanti e coerenti (a partire dalla carta utilizzata, proveniente da scarti alimentari) degli ultimi 10 anni, è la capacità di raccontare storie sul cibo, (spesso) senza mostrare il cibo. Voglio dire, che questa ricerca che va al di là di ciò che mangiamo, esplorando gli universi di chi un piatto, “lo coltiva” (con conseguenti panoramiche su lavapiatti, su chef, allevatori di lumache, camerieri, estimatori di cibo in scatola…) è la carta vincente, insieme all’abilità delle penne che raccontano quelle storie. Come vi gestite a livello redazionale? Quanta autonomia ha ogni redattore?
Per ogni numero scelgo un tema e poi…diciamo che c’è molto anarchia (ride). Tendenzialmente lascio molta libertà agli autori. Mi metto sempre nei panni del giornalista e la cosa più bella che possa sentirsi dire è “scegli il registro narrativo che secondo te è migliore per questa storia, e usa tutto lo spazio che ti serve”. Idem per il fotografo. I collaboratori sono quasi sempre gli stessi, cioè coloro che insieme a me decisero di scommettere sul numero zero. Perché Dispensa è un progetto nato sì da una mia idea, ma poi di fatto esiste grazie a un team di autori pazzeschi che, numero dopo numero, fanno del loro meglio per aumentare la qualità della rivista. C’è un grande senso di appartenenza da parte di tutti noi. Quindi dò tantissima libertà perché c’è molta sintonia e so che loro hanno Dispensa nella pelle, tanto quanto me.
Da qualche giorno è uscito il nuovo numero di Dispensa, che (ti cito :P ) è “un’ode alle anomalie, agli eccentrici, agli stravaganti, ai freak, a chi osa, chi sbaglia, chi se ne frega delle regole, chi vive la sua personale realtà”. Che cos’è per Martina Liverani un’anomalia? E qual è la sua personale realtà?
La mia anomalia preferita è Dispensa, ma ancora di più lo sono i suoi lettori che mi hanno stupito in maniera molto positiva. Molto spesso si tende a sottovalutare il lettore – si pensa che non legga più, è pigro, non compra più riviste e blablabla- e invece non credo che sia vero, almeno non sempre. Il lettore di Dispensa è fichissimo, sa distinguere le cose fatte con cura e qualità, ha tutto il nostro rispetto e per noi è imprescindibile e fa parte integrante del nostro progetto editoriale. Io vorrei conoscerli uno ad uno e dirgli: “grazie infinite”.
In che ruolo ti immagini all’interno di una cucina?
Al tavolo seduta a mangiare, ovviamente.
Dispensa la puoi acquistare online, ma è anche “distribuita nei luoghi che più di altri si riconoscono nei suoi valori di cultura, bellezza, indipendenza e racconto di storie di Generi Alimentari e Generi Umani.”Se proprio devo trovare un neo a Dispensa (che non necessariamente deve essere “maligno”) è proprio quello della distribuzione. È così difficile trovare oggi (e in maniera autonoma), distributori che sposino un progetto del genere?
Abbiamo scelto di privilegiare la vendita online rendendola molto facile e alla portata di tutti. Quello che dici è vero, forse dovremmo implementare il numero dei distributori “fisici” perché Dispensa è un incontro che devi fare dal vivo, devi toccarla, sentirla, percepirne la grammatura, la qualità della carta. E questa multisensorialità con lo store online non la percepisci. Ci lavoreremo.
Il boom nel mondo del food è in bolla da diversi (forse troppi) anni. Cosa pensi che accadrà nei prossimi 10 anni a tutto questo tram tram mediatico che riguarda i food addicted?
Non so cosa succederà sinceramente. Me lo sto chiedendo anche io, però credo che ancora per qualche anno continueremo a parlare di cibo. Forse lo faremo in maniera diversa, ci sarà sempre più spazio per quei contenuti sotto la punta dell’iceberg, a cui accennavamo prima. Però ecco, in definitiva, credo proprio che saremo in compagnia del cibo ancora per un po’.
Mi ritengo uno dei vostri più accaniti lettori/estimatori/affamati di storie (e di cibo). Mi sveli i progetti futuri che non hai mai detto a nessuno nessuno nessuno nessuno per Dispensa? Prometto di non raccontarli a nessuno nessuno nessuno nessuno
Il progetto futuro che mi piacerebbe realizzare è sicuramente quello di rendere Dispensa un po’ più internazionale. Avrai già visto che gli ultimi due numeri sono in doppia lingua, quindi, con la calma che ci contraddistingue (ride) mi piacerebbe aprire qualche finestra nel panorama internazionale.
Alessandro Rossi
Alessandro Rossi, fondatore di organiconcrete e pseudo studente di Ingegneria Edile-Architettura presso "La Sapienza" di Roma. Ossessionato dai buchi temporali, dall'eta adolescenziale, dal trascorrere del tempo, dai rapporti umani e dall'arte. Irrimediabilmente fesso.