Quello che ho deciso di presentare questa volta non è semplicemente il lavoro di un’artista degno di essere messo in luce, ma un progetto che per poter ottenere la diffusione capillare che merita necessita di un vero e proprio sostegno economico.
Sto parlando di ALIQUAL, libro fotografico realizzato dal fotografo torinese Massimo Mastrorillo che racconta volutamente, in maniera totalmente diversa da come ci hanno abituato mass media e giornali, la storia della città de l’Aquila, dopo il devastante terremoto del 2009.
In contemporanea con la campagna di crowdfounding avviata su Eppela dallo scorso 15 settembre, sarà possibile vedere “in anteprima” per 40 giorni, le fotografie che compongono il libro, in una mostra allestita presso la Leica Gallery di Milano, curata da 3/3 e realizzata in collaborazione con la factory romana D.O.O.R.
È bene inoltre ricordare che l’autore ha previsto, a seconda del tipo di donazione che verrà fatta in favore del suo progetto, interessanti premi che comprendono, oltre a cartoline e stampe autografate e copie del libro in anteprima, anche due veri e propri workshop fotografici di uno o tre giorni.
Ci sarebbe davvero molto da dire su questo progetto, ma penso che nessuno possa convincervi della sua reale validità come l’autore stesso, al quale ho posto qualche domanda.
Ciao Massimo, volevo anzitutto complimentarmi con te per il lavoro svolto. Personalmente ritengo che i tuoi scatti rappresentino il vero volto della città de l’Aquila dopo il terremoto.
Perché hai scelto di intitolare il tuo lavoro ALIQUAL? cosa significa questa parola?
“Quando si ripete una parola all’infinito, questa parola assume un altro significato. Aliqual è la storpiatura del nome L’Aquila ma, è anche il nome di una realtà diversa, dove il caos diventa ordine, la muffa muta i colori, le forme. Questa realtà che i media non hanno visto e gli aquilani cercano d’ignorare, rappresenta l’anima di una città ferita in cui le persone sono costrette a vivere in uno stato di sospensione. ALIQUAL è un racconto metaforico, in cui la condizione di abbandono lascia spazio a riflessioni più profonde.”
Curiosando sul tuo sito ho notato che non è la prima volta che hai deciso di analizzare questo tipo di tematica. Ti sei infatti dedicato principalmente a progetti fotografici a lungo termine che analizzano le profonde conseguenze dei conflitti e dei disastri naturali nella società. Che cosa ti spinge a scegliere ogni volta tematiche così “scomode”?
“La superficialità dei media che vanno solo appresso alle notizie, senza mai approfondire. La mia voglia di analizzare le cause e gli effetti che questi eventi e la consapevolezza che sebbene possano avvenire lontano da noi sono più vicini di quanto si creda.”
Osservando attentamente gli scatti che compongono il libro ho notato che non compaiono mai delle persone. È stata una scelta premeditata, forse proprio in opposizione ai mass media che cercano sempre di impietosire mostrando volti in lacrime e disperati, o è tutto dovuto al caso e a ciò che in quei momenti ti ha colpito maggiormente?
“Negli ultimi anni ho cercato di raccontare le persone attraverso gli ambienti in cui vivono. Tolgo più elementi possibili dal fotogramma per raccontare sempre di più. Penso ci sia una relazione profonda tra l’uomo e ambiente. Ritengo inoltre che per distaccarsi dalla mediocrità che emerge dell’iperproduzione iconografica propria dei nostri tempi e da una certa ortodossia tipica del linguaggio fotogiornalistico, sia necessario lasciare maggiore spazio all’immaginazione. Siamo talmente abituati a vedere che non “vediamo” più nulla. La fotografia dovrebbe attingere di più dalla Letteratura che ha un enorme potere evocativo.”
Permettimi infine di chiederti, per fornire anche un’ulteriore spinta per sostenere il tuo progetto, che cosa speri di ottenere attraverso la tanto auspicata pubblicazione di questo libro?
“Lasciare una testimonianza che ci faccia riflettere sulla condizione di sospensione nella quale ciascuno di noi è spesso costretto a vivere senza avere responsabilità oggettive. Credo che questa possa essere una ragione sufficientemente valida per contribuire anche minimamente a sostenere ALIQUAL , un progetto che in qualche modo trascende la fotografia o almeno l’idea che ne abbiamo come mezzo espressivo e pertanto può interessare a chiunque.”
Io sono più che convinta…e voi?
Nadia Guidi
Nadia, nevrotica precisina full time, nel tempo libero tento di farmi largo nell'insidioso mondo della curatela. Rincorro tutto ciò che toglie il respiro e sono alla costante ricerca della meraviglia.