Sin dall’inizio di questa stagione, cioè da quando Luca De Carlo ha passato a me il testimone di questa rubrica-nonrubrica del venerdì dedicata all’architettura, l’intento è stato chiaro. Raccontare storie di un’ architettura che in Italia sembra sepolta dalle sue stesse macerie, intenta com’è a cementificare e appagare l’ego dei progettisti in un panorama in cui la parola “costruire” sembra abbia ceduto il passo a “ristrutturare”. I consensi non sono mancanti, certo, ma anche qualche lamentela e critica da parte di chi con Architettura, sottintende grandi edifici (spesso pubblici) raccontanti dal punto di vista dell’involucro e non da quello dell’interior (che poi è quello sul quale ci siamo concentrati noi), trascurando il fatto che l’architettura pubblica di qualità, derivi in primis, dal modo in cui costruiamo e rendiamo vivibili i piccoli ambienti. E quelle quattro mura che possiamo definire “casa”, emblema e caposaldo italiano, nonchè simbolo figurativo della famiglia.
Ristrutturare dunque (forse più per necessità che per scelta), (ri)partire da strutture preesistenti, spesso fatiscenti, qualche volta lasciate in eredità da nonni, prozii e parenti lontani, che dovevano sbarazzarsene per evitare di pagare (altre) tasse sulla seconda casa (e di esempi, tra queste pagine, ne sono passati tanti), ma che si trasformano nell’occasione giusta per rinnovare gli spazi, magari sfruttando pure qualche (piccolo) incentivo statale.
La storia di Monica Rusconi, fondatrice insieme ai suoi fratelli dell’interessantissimo brand Album di Famiglia, è quella di chi, lasciata la casa d’infanzia, decide di ristrutturare un vecchio edificio commerciale di 70mq, rimasto per anni (anche dopo l’acquisto di Monica) fatiscente e inutilizzato, ma con l’idea ben precisa di renderlo quanto prima un posto in grado di ospitare la numerosa famiglia.
Data la doppia altezza dell’edificio (tipico dei vecchi spazi industriali) Monica è riuscita a creare un secondo piano, raddoppiando di fatto la metratura e mescolando sapientemente preesistenze (come il muro di pietre e mattoni) e nuovi materiali. Su tutti, spicca il calcestruzzo, utilizzato per la cucina (con splendida penisola costruita in opera), per il lungo tavolo del soggiorno, per il pavimento e per dettagli più minuziosi (come i portalampada).
Cucina e zona giorno sono separati attraverso porte in vetro quasi invisibili (se guardi bene nella prima foto in cima all’articolo, qualcosa riesci a vedere) che garantiscono ampiezza agli spazi, senza rinunciare alla possibilità renderli autonomi e indipendenti.
Come da copione, al primo piano (sottotetto) c’è la zona notte, accessibile tramite una minimale scala in acciaio che taglia le ampie vetrate dell’edificio e che consente di raggiungere la camera da letto (che mantiene una parete in pietra, sapientemente verniciata di bianco) e l’adiacente bagno che dispone di un lucernario direttamente sopra la doccia.
Una commistione di materiali ben riuscita, che trasmette la personalità ancorata alle tradizioni e alla memoria di chi quell’edificio lo abita, dimostrando un forte attaccamento alla famiglia e alle cose vere, genuine, passate.
D’altro canto non potevo aspettarmi diversamente da una che ha fondato un brand dal nome Album di Famiglia.
Alessandro Rossi
Alessandro Rossi, fondatore di organiconcrete e pseudo studente di Ingegneria Edile-Architettura presso "La Sapienza" di Roma. Ossessionato dai buchi temporali, dall'eta adolescenziale, dal trascorrere del tempo, dai rapporti umani e dall'arte. Irrimediabilmente fesso.