Non sono ahimè così lontano dai trent’anni per giustificare ancora alcuni emotivismi adolescenziali difficili da estirpare, assieme a un miliardo di paure che, seppur affievolite con la crescita, mi suscitano sempre un senso di “minaccia” alla tranquillità del vivere. Non so, tipo le meduse, l’esorcista, IT, i pagliacci in genere con palloncini al seguito, qualche dinosauro di Jurassic Park e l’uomo nero, solo per citare alcuni dei sopravvissuti. Poi ci sono le insidie che crescono con l’età e i timori vari, a tratti ben più “gravi” e degni di considerazione rispetto alle scie del passato, come il fottuto lavoro, mogli, figli, vacanze al mare, calvizie, vene varicose, trigliceridi a stecca, svaccamenti vari e via discorrendo, con volontaria omissione delle ansie “top secret”, malattie e patologie più serie sulle quali non è il caso di scherzare. Ma quale è il punto di tutto questo? Altro come al solito. Ovvero una delle ansie più gravi a cui penso da qualche tempo, tra le malattie e intolleranze che temo di più al mondo e della quale, non a caso, non ho mai parlato in questi spazi.
Non so quale “cretino” diceva che bisogna affrontare i propri demoni, quindi ecco che mi sembra la giusta occasione per parlare di lei, questa vecchia infingarda e beffarda, frigida nemica di beoni e buongustai: la Celiachia.
Senza scendere troppo in settori ben oltre le mie competenze basti solo ricordare che la Celiachia è una malattia autoimmune dell’intestino tenue che rende intolleranti al glutine, componente proteica contenuta nella stragrande maggioranza dei cereali diffusi nel consumo globale come l’orzo, il frumento, l’avena, il farro, il kamut, la segale e i loro derivati. L’assunzione anche minima di tali cereali comporta conseguenze particolarmente invasive sull’organismo, con conseguente necessità di seguire una dieta attenta che escluda tali componenti dal consumo quotidiano. Anche la birra, come evidente, è uno dei pesanti alimenti da sottrarre ahimè dalla lista della spesa, in quanto prodotto tradizionalmente realizzato mediante orzo come cereale base (in aggiunta, talvolta, a frumento).
In caso di intolleranza al glutine c’è poco da fare, con la sola scelta eventuale di poter selezionare alcuni alimenti surrogati, che mantengano un minimo di caratteristiche degli originari, pur preservando dal rischio di avvelenamenti. Così, il diffondersi negli ultimi tempi di questa patologia ha generato una crescente richiesta di prodotti privi di glutine e il formarsi di un nuovo e dedicato mercato denso di prospettive. Nel mondo della birra le strade possibili risultano al momento le seguenti: 1) utilizzare cereali alternativi che non contengono glutine (il riso, il miglio, il grano saraceno, il mais o la quinoa), pur realizzando un prodotto organoletticamente “differente” rispetto agli standard; 2) adoperare le materie prime “canoniche”, intervenendo sul processo produttivo, con tecniche e accorgimenti che rimuovano il glutine dal prodotto finito.
La prima strada è stata originariamente la più seguita, anche perché più certa e di realizzazione più immediata per rispondere alle esigenze di un mercato “ad hoc”, mentre la seconda richiede una maggiore organizzazione e competenze, pur dando vita a risultati più apprezzabili. Sono nati in questo modo alcuni marchi specifici come Glutenberg, birrificio canadese attivo dal 2011, i belgi di Greens o gli statunitensi di Omission, tutti con lo specifico intento di specializzarsi in birre Gluten Free. Ad essi si aggiungono alcune singole birre realizzate da birrifici canonici e già affermati, prodotte via via nel tempo, come la G-Free di St. Peters, la Tweason’s ale di Dogfish Head, la Delicious Ipa di Stone, la I Wish IPA di Mikkeller.
A tali produzioni, in una strada certamente di indubbio interesse, recenti studi hanno analizzato un campione di birre “canoniche”, non prodotte cioè come birre “senza glutine” o birre a “bassissimo contenuto di glutine”, scoprendo con entusiasmo e nonostante alcune analisi sulla ripetibilità dei prodotti siano ancora da incrementare, che un certo numero di birre artigianali italiane attesterebbe valori di glutine inferiori alle 20 ppm, soglia limite per l’assunzione e la caratterizzazione come prodotto “gluten free”.
In alternativa il nuovo ed interessantissimo mondo del Sidro, di recente sviluppo nella capitale, non può che risultare una piacevole scoperta quando la sete è davvero troppa da placare.
Umberto Calabria
Umberto (JJ) Calabria - Jungle Juice Brewing, autistico della birra e ancora "homebrewer" della domenica. "Liutaio" del sabato pomeriggio se ci scappa. Laureato e lavoratore per errore il resto della settimana. Curioso come una scimmia, sempre.