Quello che gli altri chiamano reale, a me sembra una finzione.
Heinrich Böll, Opinioni di un clown
Credo che l’artista di cui vi parlerò in questa puntata di Tuesday Poison sia davvero uno dei miei preferiti. E non sto parlano di Heinrich Böll con il quale ho aperto questo pezzo, che è già uno dei miei scrittori preferiti, ma di Afarin Sajedi che allo scrittore tedesco è in qualche modo legata, scoprirete il motivo in questo pezzo. Quindi mettetevi comodi e assaporate le mie parole. Una ad una.
Afarin Sajedi è nata nel 1979 a Shiraz, in Iran, anche se attualmente vive e lavora a Teheran dove ha conseguito i suoi studi in Graphic Design all’Università Azad; ha preso parte a numerose collettive e personali presso la Etemad Gallery di Teheran e in altre gallerie sempre nella stessa città. Inside Her Eyes è stata la sua prima mostra europea che ha avuto luogo a Palazzo Valentini nel 2012, una collettiva che l’ha vista a fianco di quattro artiste internazionali, alcune delle quali note a voi miei lettori, ovvero Leila Ataya (Nuova Zelanda), Francesca Romana Di Nunzio (Italia), Natalie Shau (Lituania) e Kwon Kyungyup (Corea). Nel 2013 le sue opere sono state esposte in un four person show God is Her Deejay curato dalla Dorothy Circus Gallery a Roma assieme ai lavori di Colin Christian, Sas Christian e Francesca di Nunzio. Quest’anno è stata invitata dalla La Citè Internationale Des Arts di Parigi per una Residenza di tre mesi e a marzo 2016 tornerà di nuovo in Italia per una nuova personale sempre nella splendida location della Dorothy Circus Gallery.
Le sue opere, più o meno di grandi dimensioni, sono ritratti di donne che a ben vedere provengono da situazioni totalmente opposte all’ambiente circostante del mondo dove sono state forgiate, personaggi femminili esuberanti che nel loro silenzio surreale creano una scappatoia alla monotonia incolore alla quale vengono relegate ogni giorno.
La donna dunque è il tema centrale delle opere dell’artista iraniana, la quale sembra prediligere l’intensità dei colori usati sapientemente per raccontare le storie che il suo pennello colorato cerca di coprire, proprio come fa un clown o un attore di teatro quando nasconde se stesso dietro il personaggi che indossa, proponendo al pubblico spettatore una versione sempre diversa di ciò che appare all’evidenza.
Le sue figure femminili appaiono particolarmente provate, sognatrici ad occhi chiusi ma anche aperti, con strane corone intorno al capo, che celano ambiguità e verità più profonde allo stesso tempo, un continuo rincorrersi di emozioni sopite dietro il velo che non permette di guardare troppo ma che intrappola ricordi e sensazioni che si librano nell’ara appena gli occhi vengono chiusi e ci si libera da tutti i precetti sociali e religiosi. Come quei pesciolini che circolano liberi sulla superficie del dipinto. Una simbologia del guardare oltre che impressiona e incanta al tempo stesso. Ecco perché è una delle mie preferite.
Così, la donna descritta da Afarin Sajedi acquista piena consapevolezza del suo divenire paradossalmente nella sua deformità che sono sicura ricorderà anche a voi i soggetti e le situazioni particolarmente inquietanti del grande Dino Valls e del suo discepolo Sicioldr, il primo per l’uso sconsiderato di oggetti oggetti che appartengono ad altri contesti ma che contornano indisturbati i soggetti dipinti mentre il secondo per l’inclinazione alla deformità grottesca tipica della psiche umana che compie il suo giro intorno alla fantasia.
Eva Di Tullio
Io sono Eva e con Tuesday Poison ogni martedì, vi racconterò la storia dell’arte pop surrealista e lowbrow: accomodatevi pure!