Nel 1996 un brillante giornalista (molto più brillante della media) pubblica il suo primo romanzo e quel romanzo s’intitola Fight Club. Strutturato, volontariamente o involontariamente, in modo tale che la sua consacrazione a cult avvenga quasi in automatico. Pochi anni dopo, David Fincher ne fa un film, cult pure quello. Basato in modo fedele, quasi maniacale, sull’opera letteraria di partenza, con un Brad Pitt che più in forma non si può e un Edward Norton che…beh, insomma, è Edward Norton.
Una generazione intera è maturata all’ombra ingombrante di Tyler Durden, alle volte prendendo poco sul serio la forza reazionaria degli eventi proposti e concentrandosi molto di più sul Fight Club, perché ci si mena negli scantinati ma soprattutto perché è assolutamente vietato parlarne.
La stessa generazione si è allo stesso tempo sentita un po’ orfana quando i titoli di coda hanno cominciato a scorrere e le pagine del libro sono finite. Fino ad oggi. Perché papà è tornato.
Il 27 di maggio esce nelle fumetterie d’America l’attesissimo Fight Club 2, sceneggiato da Chuck Palahniuk e disegnato da Cameron Stewart, diviso in 10 albi corredati da un numero talmente alto di cover variant da far uscire il sangue dal naso anche al collezionista più navigato. Anticipato di qualche giorno dal racconto prequel “Expedition” contenuto nella raccolta “Make something up: stories you can’t unread“, racconto che diventerà a breve un audio libro su vinile declamato dalla pacata voce di Chuck in persona.
Nella graphic novel targata Dark Horse Comics, il protagonista senza nome del romanzo, oltre ad avercelo questa volta un nome (Sebastian), ha sposato la problematica Marla Singer e conduce una tranquilla vita da marito e padre di periferia. Ma se un uomo qualsiasi, annoiato dalla routine famigliare si sarebbe limitato ad andare a troie, il nostro uomo riesuma dal suo subconscio il proprio alter ego sociopatico quanto carismatico.
Dicono che il matrimonio sia la tomba dell’amore. Che metafora negativa. Meglio dire che il matrimonio è l’incubatrice di Tyler Durden. Cerchiamo di essere un po’ più pro-life, per favore.
Dopo il libro e dopo il film, un fumetto è sembrata l’ovvia scelta per approfondire uno scenario già ampiamente esplorato con altri media e per sganciare i personaggi dall’immagine iconograficamente forte del corpo e dei volti degli attori che gli hanno incarnati. Per elevare, ancora una volta, come se ce ne fosse bisogno, l’universo di Fight Club allo status di non-luogo. Al di fuori del tempo e del contesto in cui è prodotto ma nonostante tutto attuale. Cucito su quello che sta succedendo, che deve ancora succedere, che succede solo nelle nostre teste.
Nonostante tutte le difficoltà del caso che possono insorgere quando ci si mette alla prova con un medium che non ci appartiene completamente, Palahniuk trova la giusta misura per scrivere la migliore sceneggiatura possibile. Grazie anche ad un processo creativo collaborativo dove tutte le maestranze chiamate in causa nella stesura di una graphic novel si confrontano per trovare il modo più efficace di raccontare una buona storia, che a prescindere dal supporto scelto è l’unica cosa che davvero conta.
Se Fight Club vi ha colpito più forte che poteva in ogni sua forma e dimensione, e sentivate il bisogno di levarvi camicia e scarpe e combattere non per il desiderio di affermare la vostra superiorità quanto per sentirvi vivi e vicini gli uni agli altri nel sudore e nel sangue, questo fumetto fa per voi. Chuck Palahniuk fa per voi.
Per quanto riguarda invece il musical che si vocifera David Fincher voglia produrre?
Decidete voi come reagire alla cosa.
Beatrice Lombardi
Laureanda presso il CITEM di Bologna è nata 26 anni fa dal tubo catodico. Dopo anni di amore e odio con mamma Televisione e papà Cinema ha deciso di percorrere nuove strade ed è scappata con il Web.