NOTA DEDICATA A TE, CARO LETTORE: ciao, questa non è una recensione del film dal titolo Kurt Cobain: Montage of Heck. Rappresenta solo un’umile chiacchierata su quello che sta succedendo nei cinema della tua città. Se vuoi un riassunto qui non c’è, insulterei la tua intelligenza se facessi altrimenti. Se vuoi dell’autoerotismo da terminologia cinematografica spinta, oggi proprio non mi va. Se vuoi nomi cose e città ne troverai pochi.
Il 28 e il 29 di Aprile, nei cinema di quasi tutta Europa, esce il film documentario prodotto da HBO Documentary Films e diretto da Brett Morgen, Kurt Cobain: Montage of Heck. Risultato di una lavorazione lunga otto anni, il “prodotto” finito è il montaggio dell’incredibile quantità di materiale che Cobain ha lasciato dietro di sè. Dagli scritti contenuti in block notes/quaderni/foglietti sparsi qua e là, alle sue registrazioni, disegni, dipinti, filmati domestici assolutamente inediti. Il tutto finemente tagliato con sezioni narrative affidate all’animazione e alle parole di famigliari e amici stretti che, di solito, fanno tanto documentario sulla violenza domestica: “voleva essere felice ma alla fine non ce l’ha fatta”.
Per quanto questo film sia considerato l’unico documentario ufficialmente approvato dagli eredi del musicista, resta un’interpretazione dei documenti presenti e dei ricordi di chi Kurt l’ha conosciuto. Come è giusto che sia ogni trasposizione cinematografica che si rispetti; che attraverso la giustapposizione di immagini, musica e parole, prende una cosa complessa come la vita di un’icona, che possiamo immaginare come un groviglio di scarabocchi complessi, e tira una linea, un consommè temporale, invitandoci a seguirla.
Il materiale autografo di Cobain è talmente frammentario che obbliga il suo fruitore alla libera interpretazione, scatenando in lui quella folle certezza per la quale l’idolo in questione gli stia parlando direttamente. Tagliando e cucendo sul proprio vissuto le esperienze di un altro. L’obiettività, in questi casi, è quasi del tutto fuori questione nonostante la presenza di una guida certificata. Quella di Morgen è una delle versioni possibili, forse la più accurata e ponderata, ma comunque possibile e non certa. Dal contenuto crudo è meglio spostare la propria attenzione sul linguaggio scelto e sulla sua capacità di (ri)evocare quello che
A. Abbiamo vissuto in prima persona perché indossavamo una camicia di flanella molto prima che H&M ne facesse una versione meno sgraziata e che sta da Dio con i leggins
B. Non abbiamo vissuto e vogliamo conoscere attraverso una voce fuori campo, dissolvenze, sequenze veloci, rallenty emotivamente coinvolgenti, veritiere testimonianze alle quali aggrapparsi
C. Fa fico (perchécioèsinocioèiNirvana)
Trovandomi anagraficamente in quella scomoda terra di mezzo tra chi c’era e chi non c’era, non posso affidarmi a nessun nostalgico residuato di insofferenza puberale anni ’90, per farmi un’opinione: esserci c’ero, ma dormivo.
Sono nuda e ignorante, priva di pregiudizio, nonostante il mio becco e le mie ali da merlo, pronte a seguire ogni tipo di affermazione proclamata a voce abbastanza alta.
Per tutti quelli che, sono cresciuti sapendo che Kurt Cobain si è sparato in testa perché non riusciva a reggere il peso di un successo di plastica (+eroina+èstataCourtneyLove+èstatoilgovernoamericano) e che non hanno avuto l’occasione di sapere nient’altro, propongo l’originale “montaggio del cacchio” (traduzione mia un po’ alla buona di “montage of heck”, avvisate se ne avete una migliore!).
Elaborato da Cobain in persona. Un remix audio di tracce musicali prelevate dall’eterogenea e insospettabile collezione di vinili in suo possesso, spezzoni di film e programmi televisivi per bambini, registrazioni di Kurt stesso, databile 1986 nel bel mezzo della più pura professione di fede punk del cantante. Una personale dichiarazione di intenti, ben lontana dalle paranoie derivate dal successo, interessante perché così precoce rispetto ai fenomeni di remixing estremo favorite dal codice binario e dall’accessibilità al materiale da tagliuzzare. Al di sopra di pettegolezzi e psicoanalisi da quattro soldi che l’opinione pubblica e i media hanno elargito così volentieri durante la breve, sfolgorante parabola dei Nirvana, testimonianza del Kurt Cobain più appassionato di sempre. Un’amante della musica, della scrittura, della libera comunicazione. Tutto qua.
Beatrice Lombardi
Laureanda presso il CITEM di Bologna è nata 26 anni fa dal tubo catodico. Dopo anni di amore e odio con mamma Televisione e papà Cinema ha deciso di percorrere nuove strade ed è scappata con il Web.