Il giorno prima del campeggio era tutto un fermento. A casa di Andrea con un foglio di carta in mano in cui avevamo appuntato tutto il necessario per passare una notte in tenda.
C’era Marco che aveva persino segnato con un cicciotto pennarello rosso, un coltello da cucina, di quelli con la punta, che a quell’età avevamo visto maneggiare sempre e solo dai grandi. Ci sarebbe servito nel caso di attacchi da parte di orsi e lupi, anche se andavamo in un camping organizzato (ma per noi non faceva differenza). Lo avevo letto io su uno degli otto manuali delle giovani marmotte e avevo preferito mettere in guardia tutti.
Sullo stesso manuale avevo anche letto come imparare ad accendere un fuoco senza cerini e accendini, come costruire un tubocanotto e come allestire una tenda a cielo aperto. Senza contare tutti i trucchetti che Qui Quo e Qua mi avevano insegnato per sopravvivere in condizioni avverse.
Per questo, con l’innocente superbia di un bambino, mi atteggiavo a Gran Mogol guadagnandomi la credibilità di tutta la truppa. Che mi si è riversata contro quando si è trattato di montare la tenda.
Dopo l’entusiasmo iniziale condito dallo sfoggio da parte di ognuno, di tutti gli oggetti incredibili portati quel giorno e ritenuti utili come le cannucce colorate convertite in cerbottane, pistole con luci scaccia-animali, quaderno per gli appunti, penna a forma di tronco, corda lunghissima indistruttibile, lente di ingrandimento a raggi x in grado di riconoscere i tipi di impronte e persino una bussola che puntava direttamente a casa, dicevo dopo aver messo in bella mostra tutto il contenuto degli zaini, ci trovavamo davanti la difficoltà di montare la tenda.
Di certo, a quei tempi non avevamo la Dom’Up, un’intelligente struttura ibrida, a metà tra tenda e casa sull’albero. Una piattaforma di 16mq, sospesa, che non lascia tracce, grazie al sistema No Trace, ideata e realizzata dall’arboricoltore Bruno de Grunne and l’architetto Nicolas d’Ursel dello studio Trees and People.
Il sistema No Trace, che prende il nome da una campagna intrapresa negli anni 60 dal Parco Nazionale degli Stati Uniti è un ingegnoso sistema di montaggio che garantisce anche a distanza di dieci anni, che il sistema di montaggio non lasci tracce nell’ambiente e non intacchi minimamente la crescita degli alberi.
Un mini appartamento dunque, con tanto di letto matrimoniale e balconcino con affaccio sul vuoto, installabile con il supporto di Trees and Peopole ideale per fare architettura sostenibile, che puoi vuol dire avere a cuore il rapporto tra l’uomo e l’ambiente.
Non avendo a disposizione Bungalow o Dom’Up, io cercavo di scorrere con la mente tutte le pagine dei manuali delle giovani marmotte, senza riuscire effettivamente a risalire ai metodi di montaggio. Mi veniva in mente che bisognava scegliere il terreno prima che facesse buio e noi eravamo andati addirittura la mattina, mi veniva in mente il fatto di scegliere un terreno non troppo bagnato e non tropo duro per facilitare il montaggio dei picchetti (e avevamo fatto anche questo), mi veniva in mente persino il metodo di fissaggio del catino , ma del montaggio effettivo della tenda neanche l’ombra.
Passammo l’intera giornata a cercare un metodo per far assumere quel telo verde, una parvenza di tenda da campeggio. Alla fine, quando cominciava a far buio, riuscimmo ad aprire la zip e stanchi morti, ma orgogliosi (nonostante l’intera giornata spesa per il montaggio) crollammo tra le braccia di Morfeo.
Mentre i nostri genitori, nascosti qualche tenda più in là, facevano grigliate e bevevano vino rosso. Ma noi, questo, lo scoprimmo solo qualche anno più tardi.
Alessandro Rossi
Alessandro Rossi, fondatore di organiconcrete e pseudo studente di Ingegneria Edile-Architettura presso "La Sapienza" di Roma. Ossessionato dai buchi temporali, dall'eta adolescenziale, dal trascorrere del tempo, dai rapporti umani e dall'arte. Irrimediabilmente fesso.