Inaugurata il 16 gennaio, ma aperta fino al 29 Marzo, Wim Wenders. America è la mostra del famoso cineasta tedesco di Düsserldorf autore del celebre ll cielo sopra Berlino nonchè vincitore dell’Orso D’oro a Berlino per i suoi 70 anni di carriera (e io ti consiglio di dare un’occhiata alla sua filmografia su Wikipedia, per renderti conto cosa davvero vogliano dire 70 anni di carriera). Una vita, quella di Wim Wenders, in cui viene facile ridurre tutto a un’encomiabile bacheca di trofei, premi, riconoscimenti, medaglie, gagliardetti, orsi, leoni e statuette, che è un po’ come fondere una bellissima collana d’oro in una pietruzza scialba e impersonale, privandola però, della vera essenza.
Dopo l’ultimo straordinario docu-film Il sale della Terra dedicato al fotografo Sebastião Salgado, Wenders torna a parlare di Fotografia, ma stavolta in prima persona, inspirato dagli anni trascorsi negli Stati Uniti a immortalare ambienti, paesaggi, architetture avveniristiche, supermercati, negozi, strade, ma soprattutto Storie. Trentaquattro storie, che omaggiano l’amico e artista Edward Hopper, in cui non è difficile scorgere la sensibilità narrativa di certi luoghi, intimi e personali a tal punto, da raccontare storie solo a chi realmente è predisposto all’ascolto.
La mostra trova terreno fertile anche nella splendida dimora varesina del FAI, Villa Panza, sulla quale lo stesso artista si è espresso così:
Considero Villa Panza un luogo che rappresenta il cuore della cultura europea e al tempo stesso, grazie alla collezione Panza, l’unione tra l’Europa e l’America nella sua piena espressione. Non avevo mai pensato a una mostra dedicata all’America, ma questo luogo me l’ha ispirata e penso sia stato un grande privilegio poterla fare. Sono foto di grandi dimensioni perché il formato serve a portare lo spettatore in un luogo e a fargli rivivere le sensazioni che ho provato io. Io fotografo i luoghi, e come fotografo amo ascoltare quello che i luoghi mi raccontano. Non mi interessa tanto la natura, non sono un naturalista, ma voglio scoprire luoghi che ci hanno incontrato durante il nostro cammino: nelle mie foto non ci sono persone perché l’assenza di persone rende i luoghi “più onesti‟, “più franchi‟, più disponibili a raccontare le loro storie
La cultura americana dunque, vista con gli occhi attenti e onesti di chi, dagli anni 70 al 2003, è riuscito a immortalare paesaggi, privandoli quasi del tutto dell’essere umano e lasciando all’osservatore il compito di viaggiare con la fantasia, immaginando se stesso (o qualcun altro) immerso in quelle linee e quei colori che rapiscono testa e cuore. Un’escursione dentro se stessi, attraverso vecchi luoghi abbandonati o immense distese senza tempo, in cui l’anima del luogo, si scopre essere l’ingrediente fondamentale di un lavoro altamente introspettivo.
Lo stesso, con cui un artista come Wim Wenders, ha condito tutti i suoi 70 anni di carriera.
Alessandro Rossi
Alessandro Rossi, fondatore di organiconcrete e pseudo studente di Ingegneria Edile-Architettura presso "La Sapienza" di Roma. Ossessionato dai buchi temporali, dall'eta adolescenziale, dal trascorrere del tempo, dai rapporti umani e dall'arte. Irrimediabilmente fesso.