Conoscete Russel T Davies? Se siete aggiornati sulle uscite della tv inglese probabilmente si. Se invece non vi importa, sappiate che Russel ne è forse il più grande benefattore. Instancabile scrittore ed ideatore di prodotti per la televisione ha, per quanto mi riguarda, in primo luogo riportato sugli schermi e nei nostri cuoricini Doctor Who. Grazie Russel. Quando non fa questo genere di cose, re-runnare un serial fantascientifico per bambini, si diletta nella stesura di soggetti gay friendly.
Questo è il caso di Cucumber (che vuol dire cetriolo e non cocomero come ingenuamente pensavo io), la prima portata di una “cosa a tre” completamente firmata Davies, grazie alla quale assaporiamo le vicende di Henry, uomo gay di mezza età, l’ingrediente principale di ogni ricetta preparata per l’occasione da Russel.
Il prodotto gemello, Banana, approfondisce invece le vicende dei personaggi che gli orbitano attorno mantenendo sempre la bussola puntata sulle relazioni e su una sfera sessuale particolarmente sfaccettata. Se però non siete ancora sazi e vi sentite di avere ancora un posticino da qualche parte, a chiudere il cerchio arriva Tofu, un documentario che parla sempre e solo di sesso (di qualsiasi genere) attraverso interviste agli attori quanto a comuni telespettatori. Insomma una cosina leggera, di quelle che di solito si mangiano per sciacquarsi la bocca. Anche perché il tofu, nello specifico, di cosa sapora?
Un vizietto, quello di raccontare decine di storie d’amore/tradimento/amicizia omosex, che ha cominciato a manifestarsi a cavallo tra gli anni ’90 e gli anni 2000, con la serie Queer as Folk, uno di quei gioiellini che precorrono i tempi e danno una bella scossa alla televisione britannica e non solo, scoperchiando un calderone che continua a sputare fuori di tutto, ancora oggi.
Perché a prescindere dalle inclinazioni sessuali dei personaggi, le relazioni sono sempre così difficili da descrivere e da affrontare e da riportare, che esistono ed esisteranno sempre milioni di strade possibili da percorrere, per raccontarle.
La vera cosa interessante del ritorno di Davies sul tema in questione è il cambio di prospettiva. Queer as Folk ci aveva permesso di dare una sbirciatina sotto la gonna della comunità LGBT di Manchester popolata da giovani belli e intraprendenti alla soglia del nuovo millennio. Un periodo storico proiettato verso il futuro, è vero, ma che ancora ghettizzava l’omosessualità etichettandone le manifestazioni alla stregua del folklore o del cliché. Sedici anni dopo QAF, il mondo è cambiato.
Si parla di matrimoni gay, si apre il dibattito sulle adozioni a coppie dello stesso sesso, il coming out diventa una pratica più comune di quanto non lo fosse precedentemente e di sicuro sembra essere più precoce, gli incontri sono agevolati dai social network così come la condivisione di esperienze. Questo non vuol dire che essere gay oggi sia una passeggiata. Almeno quanto non lo sia essere etero. Soprattutto quando di mezzo ci sono il sesso, i sentimenti o le fondamentali scelte di vita. E almeno in questo la parità è stata raggiunta. Urrà per noi!
Henry è un adorabile uomo gay non precisamente di primo pelo, vive a Manchester, lavora in una società di assicurazioni, non deve nascondere la propria omosessualità e vive alla luce del sole una relazione monogama da ormai nove anni. Una persona regolare. Ma tutta questa normalità a Henry va un po’ stretta. E quel personaggio che sulla carta sembra essere la persona più noiosa e prevedibile di questa terra, si rivela in realtà essere il più dotato innesco di piccole catastrofi (almeno quattro nei 45 minuti dell’episodio pilota) che mettono in moto un’azione dalle infinite possibilità tragicomiche.
Mantenendo una facciata impeccabile, Henry relega alla propria interiorità ogni tipo di turbamento o irrequietezza. La paura cieca di sposarsi, l’inesistente intimità, il continuo sminuirsi nel non sentirsi abbastanza. Mentre il cervello si annebbia per il desiderio verso tutto quello che è al di sopra della propria portata. Che Dio benedica l’andropausa, che a un certo punto prende il sopravvento e ti rende imprevedibile.
Un prodotto seriale che potrebbe anche passare inosservato, ora che sembra sia già stato detto e scritto tutto su ogni cosa, ma che ci permette di affrontare il tema con il punto di vista maturo di chi “c’è già passato” o “ci sta passando proprio ora”.
Un’evoluzione ideale e reale durata sedici anni, ricca di storie e aneddoti di vita vissuta o presunta tale, magistralmente riportata con quella scrittura pulita alla quale Davies ci ha abituati in questi anni di cabine blu volanti e club gay, usando sempre la giusta voce per il giusto pubblico.
Cosa strana che non vi ho mai chiesto: qua sotto, proprio subito dopo la bio dove mento sulla mia età, c’è la sezione dedicata ai commenti. Casomai vi venisse la malsana idea di seguire i miei consigli, vi spiace dirmi cosa ne pensate? La bella televisione è tale solo se condivisa.
Beatrice Lombardi
Laureanda presso il CITEM di Bologna è nata 26 anni fa dal tubo catodico. Dopo anni di amore e odio con mamma Televisione e papà Cinema ha deciso di percorrere nuove strade ed è scappata con il Web.