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Philipp Ebeling – A Land Without Past

Philipp Ebeling – A Land Without Past


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Gli strumenti di cui l’uomo dispone per far fronte alle debolezze della memoria sono ormai molteplici. Dal testo scritto alle tecniche mnemoniche, con l’evolversi della società, mezzi sempre nuovi sollecitano o potenziano la capacità del singolo di ricordare. Ma tra tutti gli espedienti adibiti a questo ingrato compito la fotografia è senza dubbio il più efficace.

Per collegare i punti della nostra esistenza dobbiamo scavare nel cassetto dei ricordi. Ma è la consapevolezza di appartenere ad un tempo e ad uno spazio che determina la nostra capacità di ricordare, perché il ricordo individuale è sorretto e organizzato dalla memoria collettiva, ossia da quelle rappresentazioni di un contesto sociale che vengono selezionate e tramandate dalla società.

Lo sforzo di connettersi al passato, esplorando il concetto di casa, di memoria personale e di identità è alla base della monografia “A Land Without Past”, del fotografo tedesco Philipp Ebeling: il libro è proprio il tentativo di legittimare i ricordi individuali attraverso la memoria collettiva. Ma è anche una meditazione sul rapporto di una società con il proprio trascorso. Precisamente quello della Germania contemporanea con il suo passato colpevole.

All’età di diciannove anni, Ebeling ha lasciato Mellendorf, il suo paese natale, per iniziare una nuova vita in Inghilterra. Ma nel 2008 decide di rientrare per riflettere sulle proprie radici. Attraverso un processo di ricostruzione durato due anni, Ebeling ha fotografato le persone e i luoghi che appartenevano al proprio passato. Una sorta di terapia fotografica per analizzare il proprio mondo emozionale e il rapporto con un sistema sociale sofferente.
La lotta della Germania per venire a patti con la sua storia è infatti un tema importante nel libro:

“La Germania era un Paese ossessionato dal rinnovamento: nuove strade, nuove case, nuove auto. Come se attraverso un totale rinnovo potessimo in qualche modo disfare il passato. Quando ero bambino, il ricordo degli anni della guerra gettava ombra su qualunque cosa… Tornando a casa, sapevo che il passato avrebbe fatto parte del lavoro. Così ho riaperto gli album di famiglia”.

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I tedeschi non amano le case vecchie. Mio cugino ha comprato un terreno in paese con una casa sopra. La abbatterà e ne costruirà una tutta nuova al suo posto.

Il lavoro ‘A Land Without Past’ rappresenta una sorta di diario che porta alla luce momenti, luoghi e persone cruciali dell’esistenza dell’autore.
Alternando immagini a colori a vecchie foto in bianco e nero, il fotografo cerca di superare quel sentimento di un non-passato, che la memoria collettiva tedesca aveva deciso di usare come forma di purificazione. Del resto, come afferma lo stesso autore, si tratta di un lavoro sulla memoria, di come la accudiamo e di come possiamo demolirla.
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Distruggere la testimonianza di una persona, di un fatto, o addirittura di un’epoca, vuol dire cancellarne l’esistenza. E la Germania ha operato una Damnatio Memoriae collettiva nei confronti di un passato ereditato di generazione in generazione. “Come tutte le cose appartenenti a quel tempo, anche le fotografie sono scomparse, nessuno sembra aver conservato immagini dell’epoca che va dal 1933 al 1945… ho trovato tante pagine vuote negli album, non restavano che gli angoli a delimitare spazi senza più fotografie”.

Proprio a questo rimanda la copertina del libro, disegnata come un album fotografico di famiglia, con i soli angoli a delimitare lo spazio dove una fotografia dovrebbe trovarsi ma che invece non c’è. Un libro, inoltre, reso unico dalla scelta di incollare sul retro di ogni singola copia una fotografia originale dell’epoca.

Philipp Ebeling vive e lavora a Londra, dove gestisce una galleria d’arte fotografica con sua moglie Olivia Arthur.
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Mia madre al pranzo della comunione di Hendrik.

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Birra, dolci e caffè dopo il pranzo alla festa del padre di Matthia che festeggiava i suoi settanta anni nella sua fattoria.

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Le case degli anziani nella mia zona hanno tipicamente una sala chiamata ‘die gute Stube’ che non era adibita all’uso quotidiano, ma era usata esclusivamente per matrimoni, funerali e comunioni. La ‘Stube’ in casa di mia nonna era sempre chiusa a chiave per tenere distanti noi bambini.


Stefano Gizzi

A volte cerco di ricordare a quando possa risalire il primo fotogramma della mia esistenza, ma non sono mai riuscito a trovare un punto d’inizio. Perché da che ne ho memoria la fotografia ha sempre fatto parte di me.

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