A colpi di luce 2.0: Stefano Corso


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Ciao Stefano, sei un fotografo professionista e vivi tra l’Italia e la Germania, la mia domanda è: da quanto tempo fotografi e come hai iniziato?
Fotografo fin da quando ero piccolo, i miei primi ricordi fotografici iniziano con una reflex in pellcola di famiglia, una Pentax, troppo grande da tenere in mano. Mi è sempre piaciuto avere la possibilità di fermare il tempo, i ricordi, ma soprattutto i miei stati d’animo e la mia interpretazione di possibili realtà, la magia della fotografia secondo me è tutta qui. Dal 2005 con l’inizio di un digitale dignitoso e della fotografia su internet ho cominciato a mettere le mie foto in rete e a mostrare il mio modo spesso surreale di osservare la società: raccontando quello che vedevo e facendo finta che il mondo intorno fosse un set cinematografico da reintepretare con la macchina fotografica, senza nessun intervento da parte mia.

Cosa pensi della fotografia e soprattutto di quella in bianco e nero, si può trasmettere secondo te qualcosa in più proprio con l’assenza del colore?
La fotografia per me è uno strumento per parlare di sé, prima di tutto a me e poi agli altri. E’ un messaggio dal passato, dei nostri ricordi, delle esperienze, di passioni e di emozioni che troviamo e fermiamo nel presente e lanciamo verso futuro, sperando di ritrovarci e far ritrovare con noi altri possibili osservatori. Se una foto colpisce è perchè probabilmente contiene elementi emotivi comuni tra noi e chi la guarda, ci si riconosce e si apprezza una foto molto spesso proprio per questo. E’ una forma profonda di comunicazione visiva e ogni foto per me ha una sua dimensione, a colori o in bianco e nero, a seconda dei contenuti. Io personalmente uso il colore per le foto “del presente”, in cui la realtà è quella di oggi. Il bianco e nero invece lo riservo a foto “senza tempo”, in cui non è importante il quando, ma il cosa.

Sei un fotoreporter, cosa hai imparato dai tuoi viaggi e dai tuoi scatti, una volta tornato a casa?
Si impara sempre qualcosa di più di sé stessi, guardare il mondo cercando di sintetizzarlo in una singola immagine o in gruppo di immagini vuol dire confrontarsi con questo, interpretarlo. La fotografia non è quasi mai obiettiva ma contiene sempre una parte di noi, un giudizio, un’analisi personale di quello che ci circonda. il tutto amplificato che siamo costretti a guardare la nostra percezione della realtà tramite una mirino, frazionandola, scandagliandola, passando dall’insieme al particolare significativo e di sintesi.

Nelle tue foto dove l’uomo e l’ambiente coesistono e si confrontano il tuo sguardo sembra neutrale, è davvero così? Cosa pensi di questo rapporto tra le due parti?
L’uomo odierno vive sempre più immerso in ambienti cittadini e claustrofobici e con essi si deve confrontare. Se hai notato nelle mie foto c’e’ sempre un elemento umano, spesso singolo, non riconoscibile. La maggior parte delle volte quell’elemento sono io, con i miei stati d’animo presenti o passati (e per questo riconosciuti), ma mi piace credere che queste figure siano anche un contenitore che può essere “riempito” da chi guarderà la foto, riconoscendosi in questa. Gli spazi, le architetture e le geometrie che vedi sono uno strumento, un espediente, per parlare di me.

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Quali sono i tuoi progetti futuri, un sogno che vorresti ancora realizzare?
Ho avuto la fortuna di veder realizzati molti dei miei sogni. Se inizi a fare fotografia senza grandi aspettative e poi scopri che quello che fai piace, viene apprezzato in Italia e all’estero, credo non ci sia soddisfazione più grande per chi ha un profondo amore per questa forma di espressione. E anche ora che è la mia professione continua ad essere un gioco e una passione, in cui la stanchezza passa sempre in secondo piano. Al momento, vivendo parte dell’anno a Berlino, sto concludendo un progetto con il mio amico e collega fotografo Dario J Laganà. E’ un progetto di ricerca sulla presenza dell’Armata Rossa nella ex-Germania dell’Est che dovrebbe concludersi con un libro fotografico e una mostra itinerante per gli stessi luoghi che hanno vissuto questa presenza di “liberatori-occupanti”. E’ un progetto a cui tengo molto iniziato quasi per gioco e curiosità due anni fa e che ci ha portati a percorrere circa 8.000 km per più di 300 location. Abbiamo visitato e documentato posti incredibili, tra abbandoni e riutilizzi di quello che è stato un passato assai recente e, per certi versi, misterioso per chi ha vissuto “oltre cortina”.

Hai ricevuto riconoscimenti per le tue foto e hai istituito un’associazione culturale di arti fotografiche, scrivi: “volta a sostenere e promuovere questa particolare forma d’arte”; pensi che non sia abbastanza valorizzata in Italia? E all’estero?
In Italia si fa molta fotografia di buona qualità, personalmente ritengo che gli italiani rispetto ad altre nazionalità hanno una marcia in più di eleganza estetico-interpretativa nel raccontare con le foto. Abbiamo veramente un numero elevatissimo di autori eccellenti, con idee e passione. Di contro purtroppo non si è ancora sviluppato nel nostro paese un vero mercato della fotografia di autore, tantomeno il rispetto necessario verso il lavoro del fotografo: considera che in Italia non esistiamo come categoria. Troppo spesso le nostre foto vengono pubblicate senza nome dell’autore, senza remunerazione o con remunerazioni offensive, troppo spesso ci viene detto che in fondo “è solo una foto e ti stiamo facendo pubblicità”. In molti altri paesi, tra cui Usa, Francia e Germania esiste invece un vero mercato della fotografia di autore e l’autorialità viene generalmente rispettata.

L’intervista è finita ed io ti ringrazio per la disponibilità, per ultimo ci consigli un artista, un fotografo e un disco al quale non si può rinunciare?
Edward Hopper, Elliott Erwitt e “Nebraska” di Bruce Springsteen… ho sempre cercato di fotografare così. Grazie a te.

qui il link al suo sito: www.stefanocorso.com

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Giuliana Massaro

Giuliana Massaro, 26 anni, studentessa di lettere moderne da un po', lunatica da sempre. Penso troppo, parlo poco, faccio foto.

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