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A colpi di luce 2.0: Claudio Capanna

A colpi di luce 2.0: Claudio Capanna


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Ciao Claudio, per prima cosa le generalità: chi sei, cosa fai nella vita, quanti anni hai, dove vivi.
Ciao, mi chiamo Claudio Capanna, ho 34 anni, nato a Roma ma residente dal 2009 a Bruxelles. Faccio il regista di mestiere; divido il mio tempo e il mio lavoro in due parti. Ho un lavoro alimentare (per pagare bollette, cibo e tutte le cose quotidiane) alla televisione pubblica belga come regista di telegiornali e poi porto avanti i miei progetti di film personali in parallelo.

Come hai iniziato con la fotografia? Da quanto tempo fotografi?
Con la fotografia ho iniziato circa dieci anni fa, in un periodo in cui avevo girato l’ultimo dei miei cortometraggi Gran Rumore e non riuscivo a terminarne il montaggio (mi ci vollero due o tre anni, fino al 2006).
In quel periodo stavo finendo anche gli studi universitari e il mondo del cinema mi aveva profondamente deluso e la fotografia divenne uno strumento di fuga, come una sorta di esilio volontario. Io ho cominciato a lavorare nel cinema “romano” prestissimo, a 19 anni e quindi credo fossi troppo giovane poi per quel mondo. Infatti, in seguito ho avuto una pausa lunghissima nella mia carriera di cineasta. Il mio ultimo cortometraggio data del 2006 e il mio primo film lungo è del 2012, e sei anni alla mia (nostra) età sono tantissimi.
Diciamo quindi che almeno inzialmente la fotografia per me era una fuga dal cinema. Poi negli anni ho cominciato a comprendere le potenzialità di questa forma d’espressione e soprattutto ho scoperto il bianco e nero, che non ho mai più abbandonato.

Il bianco e nero, appunto e non solo, c’è anche molto rumore, grana, contrasto, credo che queste siano le caratteristiche che rende i tuoi scatti più veri, quotidiani, che ti fanno sentire parte di quei gesti, quanto c’è di voluto in questo?
Durante i primi anni in cui scattavo, mi capitò di partecipare ad un workshop presso Forma a Milano, con Gianni Berengo Gardin. A ripensarci oggi non sono un grande appassionato delle immagini di Berengo Gardin; per me la fotografia sono altri poeti visivi, come Giacomelli o Minor White.
Però durante quel workshop Gardin ci parlò di questa pellicola in bianco e nero, la Fuji NeoPan 1600, dicendo che era la sua preferita. Io fino ad allora non avevo mai dato molto peso alle pellicole, e alla loro estetica. Ma quando cominciai a realizzare i primi scatti con la NeoPan ne rimasi folgorato. Il peso specifico della grana, dei contrasti in ogni singola immagine trasformava il mondo in un gesto astratto ed esistenziale. Credo che buona parte della mia poetica, e di questo senso di rumore e di sporcizia corporea, derivi dalla NeoPan 1600. Ora purtroppo questo film è uscito fuori mercato, io ne conservo ancora uno stock comprato a peso d’oro a Londra. Poi forse smetterò con il bianco e nero, e con la pellicola. Quest’estate ho acquistato dopo dieci anni una fotocamere digitale.

Che significato ha per te la parola “life”, perchè questo titolo alla maggior parte dei tuoi scatti?
Le foto che chiamo “Life” sono il diario della mia vita. Quando ho cominciato a fotografare sono partito a fare lunghi viaggi in Amazzonia e nell’Africa Centrale. Là scattavo delle foto tipicamente da reportage, in posti esotici e poco accessibili, però mi sono reso conto presto che la fotografia che sento più vicino al mio spirito è quella che coglie i dettagli ordinari, rivelandone il senso d’astrazione, misticismo e solitudine. Le foto di Life sono un diario della mia vita, niente di più.

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Scatti molte foto alle donne, come motivi questa scelta? Mi chiedevo se lo fai perchè ami la figura femminile nell’arte fotografica o pensi che possano interpretare meglio il tuo concetto di fotografia, come nascono queste foto, il pensiero che c’è dietro.
Le donne che fotografo sono donne che incontro, o che ho incontrato durante gli ultimi anni della mia vita. Talvolta sono donne con cui ho avuto anche una relazione fisica o sentimentale. Alle volte sono donne che ho solo sognato, o che avrei voluto amare e che per timidezza non ho mai osato approcciare, se non con la mia macchina fotografica.
Stranamente nei miei film non ho mai trattato la figura femminile, sono sempre rimasto profondamente “misogino” ma nelle fotografie cambio e la fotocamera mi aiuta a lottare contro le mie insicurezze. Quindi posso dire che alle volte gioco con il mezzo fotografico e lo uso come arma di seduzione, talvolta funziona e talvolta no.
Comunque ora sono fidanzato da tanti anni, quindi al momento amo solo il corpo femminile della mia compagna, che compare in molte mie foto.
Al contrario mi piacerebbe cominciare a realizzare immagini di nudo maschile, che non ho mai fatto, tranne qualche autoritratto.

Hai anche scattato un progetto che si chiama “visioni d’italia”, ecco, che visione hai del nostro paese?
La serie in realtà si chiama Visions d’Italie in francese, ed è importante pronunciarla in questa lingua perchè l’ho cominciata a realizzare una volta emigrato per la prima volta in un paese francofono, a Parigi nel 2006. Visions d’Italie è la mia serie più importante e matura, mi piacerebbe farci una mostra o una fanzine, ma fino ad ora non ho mai trovato nessuno veramente interessato. L’Italia per me è un paese brutto, orrendo, pieno però di luoghi meravigliosi, nascosti, millenari e segreti. Io sono tornato da esule nel Bel Paese, esattamente come mi sentivo un esule dal cinema, e sono andato a cercare quei luoghi veri e genuini, e ho trovato delle zone d’ombra orientate verso un silenzio planetario, antichi templi pagani, risalenti alla notte dei tempi, trasformatisi nel corso della storia in territori cari al cattolicesimo. Grazie anche a queste foto ho potuto capire che l’Italia è questa, e non i milioni d’italiani che si sono arresi alla banalità televisiva e al brutto dilagante.

Da fotografo/regista cosa ti piace fare di più tra la fotografia e il video? Perchè la fotografia in analogico e il video in digitale?
Io sono un regista che ogni tanto fa il fotografo. Il cinema è molto di più di una semplice passione; il cinema è tutta la mia vita e non potrei vivere senza. Io non parlerei dunque di video, solo perchè uso delle videocamere digitali; il cinema si pesa in base al contenuto e all’estetica, non in base al supporto. Il cinema l’ho sempre fatto in digitale per motivi di costi, e poi girando sempre a colori il digitale va benissimo. La pellicola secondo me ha senso, anche al cinema, se si decide di usare il bianco e nero. Continuo ad essere del parere che la resa del nero che puó darti la chimica non è riproducibile altrimenti. Anche se ora mi dicono che c’è una digitale monochrome della Leica che sembra faccia miracoli. Comunque negli ultimi anni ho visto almeno due film magnifici, girati con un bianco e nero raffinatissimo, in digitale. Il primo è Cesare deve Morire dei Fratelli Taviani, e il secondo è From what is before di Lav Diaz, che ha vinto l’ultimo Locarno.
Io amo le figure dei registi – fotografi. Ho scritto una serie di saggi sui grandi cineasti che hanno anche fatto i fotografi nella loro vita, come Tarkvoskij, la Riefenstahl o Stanley Kubrick. Ho messo insieme questi articoli e ci ho ricavato un libro che uscirà tra un mese circa per le Edizioni del Foglio Letterario.

L’intervista è finita, consigliaci un film, un libro e un artista che ami.
Avrei tanti film da consigliare, ma visto che hai tirato in ballo l’Italia direi proprio Il Pianeta Azzurro di Franco Piavoli. Un documentario semplice, eppure secolare, leggero come una foglia ma struggente. Piavoli è un cineasta fondamentale del nostro cinema, e come tale è stato inesorabilmente dimenticato. Piavoli è anche un caro amico e spero torni presto a regalarci qualche nuova perla cinematografica. Il libro che mi viene in mente prima di ogni altro è Cuore di Tenebra di Conrad (che è servito da spunto per il mio film Bateau Ivre). Per l’artista di recente sono innamorato di Minor White, grande fotografo americano. Se potete recuperate un suo vecchio libro Mirrors, Messages, Manifestations. Essenziale e magistrale.

Ringraziamo Claudio per la sua disponibilità, vi rimandiamo al  suo stream di Flickr e Vimeo.

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Giuliana Massaro

Giuliana Massaro, 26 anni, studentessa di lettere moderne da un po', lunatica da sempre. Penso troppo, parlo poco, faccio foto.

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