Nonostante gli anni si accumulino ai ricordi in datazioni temporali abbastanza definite – almeno per me, che ricordo anche i giorni della settimana in cui sono successe – c’è una cosa che mi ha sempre destato un non so ché di “singolarità”: Suddivido spesso gli avvenimenti in maniera immediata tra uno strano “prima di quando bevevo” ed un confortante “dopo”. E sì, proprio perché ho passato un tempo in cui di birra non ne bevevo un granché, almeno “consapevolmente” per così dire, avevo lasciato sorprendentemente gli ultimi personali attimi con la città di Londra nel paradossale spartiacque temporale che precedeva la via dell’illuminazione.
Ma la strada dei trascorsi è fatta fortunatamente di redenzioni, riscoperte e nuove scintille di luminescenza. Così ho avuto modo recentemente di ricapitare nuovamente nella City, meravigliandomi in pochi secondi di quell’ultimo passaggio in anni lontani in cui mi bastava perdermi tra le vetrine di Denmark Street ad occhi sgranati per essere felice. Ma sì, in effetti una cosa mi era sfuggita. A vent’anni si è stupidi davvero. Avevo perso i Pub. Avevo perso la Birra.
E ritornare a Londra con totalmente un’altra ottica, con gli “studi” prepartenza e le affamate aspettative delle scoperte è stata tutta un’altra sorpresa. Londra è infatti attualmente, con molte probabilità, la scena birraria tra le più interessanti del continente.
Nonostante una lunga tradizione di birre caratteristiche e peculiari, che hanno finito per prendere l’appellativo di Real Ales per contraddistinguerne le linee comuni, ma anche un vero e proprio stile di vita, da qualche anno in città è in corso una vera e propria rivoluzione che tende ad allontanarsi in maniera più o meno marcata da quelle storiche produzioni. La storia di queste recenti tendenze ha probabilmente origine nello strappo scozzese di Brewdog, che in pochi anni ha indubbiamente aperto un nuovo filone di sviluppo del settore, con “nuovi”gusti, adepti e curiosi. Così a Londra i birrifici artigianali cicciano come funghi da qualche tempo, contraddistinguendosi principalmente per alcuni elementi in comune: lo slancio “innovativo”, l’ubicazione singolare anche se non esclusiva nelle arcate delle railways adibite a deposito (in gran parte nelle zone “east London”), il gran caos delle strutture interne e i metodi di produzione molto basilari, costituiti da impianti molto semplici, uniti ad imbottigliamento ed etichettatura manuale del prodotto.
Tutto ciò ha dato origine ad un movimento radicato che sta dando vita ad una fervida abbondanza di birrifici e produzioni di ottima fattura, di influenza spesso derivata da uno dei più affermati e stimati produttori della città, Kernel. Il numero degli artefici in un solo posto è davvero sbalorditivo ed in via di aumento pressoché quotidiano, così da lasciare pieni di incertezza su come avviare il giro delle visite agli impianti durante il comune “open saturday”, tra pericolosissimo immobilismo decisionale e altissimo rischio di ritornare sui gomiti alle mura domestiche.
Solamente per snocciolare i più rinomati troviamo, oltre il citato Kernel, Siren, Beavertown, Brodies, Meantime, Five Points, Partizan, Brew by Numbers, Weird Beard, London Fields Brewery, RedChurch, Camden Town Brewery, Orbit, Pressure Drop, Tap East e chi più ne ha più ne metta! Poco ancora ho avuto modo di provare di tutta questa robetta, ma quello che ho avuto il piacere di testare ha destato un certo grado di curiosità praticamente impossibile da debellare.
Fortunatamente avrò discrete occasioni nei prossimi mesi per mettere le grinfie su tutto quello che posso. Del resto errare è umano, perseverare è diabolico. Già che il tempo del non bere è bello che andato. Ormai.
Cheers!
Umberto Calabria
Umberto (JJ) Calabria - Jungle Juice Brewing, autistico della birra e ancora "homebrewer" della domenica. "Liutaio" del sabato pomeriggio se ci scappa. Laureato e lavoratore per errore il resto della settimana. Curioso come una scimmia, sempre.