Era un sabato pomeriggio di inizio novembre. La compagnia dei beoni da divano era partita alla volta di un paese umbro di poche anime, perfetta location per un weekend di chiacchiere tra maschi, fuoco ardente come manco le fiamme degli inferi attizzato dall’unico homo alfa del gruppo, brace, svariati cibi da arrostire, vino, birra e distillati di contorno. Tutto perfetto, tranne il fatto che avevamo sottovalutato la portata di affluenza per il nuovo appuntamento del Copenhagen Beer Celebration 2014, per il quale giungevano voci inquietanti di sold out a poco più di un giorno dall’apertura delle vendite.
In preda all’ansia da prestazione la tecnologia ci fu per una volta abbastanza amica e in poco più di un’ora, un paio di cellulari a lavoro e il collegamento internet che si accasciava sbronzo ogni tre per due ci accaparrammo gli ultimi biglietti rimasti per la prima delle 4 sessioni in programma quest’anno.
Un lieve dettaglio il fatto che lo spazio di bevute non stop era previsto tra le 10 di mattina alle 2 e mezza di pomeriggio… ma la goliardia per la prova che ci attendeva superò come di consueto l’apparente disagio.
E in un batter d’occhio arrivò il tempo di volare di nuovo sulla splendida Copenhagen e prepararsi all’evento del due maggio, che nonostante l’orario improbabile, riesco ora a raccontarvi più o meno con lucidità rispetto allo scorso anno grazie a una colazione dei campioni da fast food e la sapiente trovata di fotografare le birra alla mescita per poi ricostruire gli avvenimenti intercorsi. Ma prima di parlarvene vi svelo un’altra magia.
Durante la serata dello stesso giorno beccammo in giro per locali birrari Mikkel Borg Bjergsø, capo di Mikkeller ed organizzatore del festival. Grazie alla presenza di un’amica di origine danese in quattro chiacchiere questo omone apparentemente freddo e disinteressato ci regalò senza colpo ferire i biglietti per il giorno seguente, scaduti da mesi a un prezzo proibitivo! Il festival che vi racconto quest’anno dunque ha preso una bella piega “didattica” che mi ha permesso di selezionare il meglio bevuto nelle due giornate tra i 42 birrifici presenti a questa edizione, sparsi tra paesi scandinavi, Usa, Italia, Brasile e Giappone.
I primi che mi vengono in mente, a sorpresa, sono gli inglesi di MAGIC ROCK. Stratosferiche le tre birre che ho potuto provare: la Bourbon Barrel Bearded Lady 2014 (10,5 %), straordinaria Imperial Stout di una morbidezza incredibile e tutti i sentori dei tostati, del legno e la maturazione in botte (Buffalo Trance barrels per 10 mesi) perfettamente equilibrati tra loro; la Punchline Tequila Barrel (5,4 %), Chocolate Porter con Morita Chipotles chillies, maturata in botti di tequila per un mese con ancora un pizzico di peperoncini, anch’essa davvero gustosa ed equilibrata; e per finire la UnHuman Cannonball IIIpa 2014 (11 %), “triple” Ipa con tutti luppoli americani e una sorprendente bevibilità e “semplicità” nonostante il grado alcolico da capogiro.
I secondi per magia, meritatamente, i danesi di AMAGER Bryghus: ottima ed inattesa la Greed Gone Red (5 %), kellerpils in stile “tradizionale” tedesco, invecchiata in botti di vino rosso ma con una inaudita semplicità, freschezza e fragranza. Tra le birre migliori del festival inoltre la loro Barrel Proof (9,5 %), Barley Wine maturato in botti di Bourbon, dal carattere complesso, con evidente note di caramello, toffee e una bevibilità incredibile per molti altri prodotti del genere.
Più o meno sugli stessi livelli gli americani di GREEN FLASH, ripresi sul filo del rasoio con due birre fantastiche dopo una prima sessione non entusiasmante: la Ristretto (8,2 %), Black Lager con caffè espresso totalmente inaspettata, con le note del caffè e i malti tostati in abbinamento ai lieviti da bassa fermentazione a formare un complesso molto più gradevole e bevibile del solito rispetto ai numerosi altri esempi di Imperial Coffee Stout in circolazione; e Candela (10, 9 %), altro Barley wine gradevolissimo elaborato in collaborazione con gli altri statunitensi di Cigar City, prodotto con segale ed invecchiato in botti di sidro, con un aroma incredibile del legno aromatizzato ai ricordi dei mobili pesanti da odore delle case dei vecchi.
A sorpresa ottimi riscontri ho trovato nelle trovate di Jeppe Mikkel Bjergsø, fratello gemello di Mikkel e creatore del marchio danese-statunitense EVIL TWIN: ottima la The Mini Dingo (10 %), Imperial Stout con forti note di cioccolato, impreziosita da una sapiente aggiunta di peperoncini Habanero ad arricchirne le sensazioni olfattive e gustative, lasciando tuttavia al gusto delle sfumature tutt’altro che violente. Un altra rivelazione è stata senza dubbio la produzione di Jonathan Queally, birraio rock star di The ALPHA STATE dall’improbabile taglio di capelli british ed una sensibilità produttiva notevole: la sua Queen Of Sweden, Red Ipa caratterizzata dal multiforme e “pinoso” luppolo Simcoe è risultata tra le migliori del festival nello stile, in barba a nomi molto più blasonati. Altra personale scoperta gli altri inglesi di BEAVERTOWN: ottima la loro Black Yetti (6%), “classica” extra stout dall’alcol moderato ma la notevole complessità ed armonia.
In stile “acido”, nonostante una quantità notevole di birre di questa grossa (e sibillina) macrocategoria, ho trovato solo un paio di esempi davvero notevoli, avendo per il resto la sensazione che molti 8non tutti) avessero provato a maneggiare la forza del “selvaggio” senza riuscire pienamente a barcamenarsene. Un vero gioiellino la London Sour (4%) ai mirtilli di BRODIES, definita come Blackurrant Berliner Weiss, dal colore rosso rubino, la schiuma rosata davvero affascinante ed un’acidità da mirtilli ottimamente governata a donarle un carattere globale molto delicato e caratterizzante. Notevole ed inaspettata anche la Dancin’ in The Streets (6%), “watermelon” berliner Weiss degli americani di 7th SUN, provata per gioco più che altro ha saputo sorprendermi alla grande per la freschezza e le leggere sfumature date dall’utilizzo dell’anguria, mai immaginate così gradevoli.
Queste le bevute che mi hanno colpito indubbiamente di più, anche se molte altre birre sono state di ottimo livello. La conclusione che ho personalmente trovato è che i “nuovi” birrifici inglesi stanno sicuramente “spaccando”, producendo delle birre incredibili tra le migliori del nostro continente: oltre Magic Rock, Beavertown e Brodies come non citare anche The KERNEL, BUXTON e SIREN. Mi ha fatto piacere trovare anche l’unico italiano, Valter Loverier di LOVERBIER, e constatare che le sue produzioni particolarissime stanno riscontrando un ottimo successo anche all’estero.
Che dire, il CBC nasce sicuramente per essere la celebrazione delle nuove tendenze, per carità spesso esagerate e dissacranti quanto a tratti geniali ed inaspettate. Su questo festival, queste tendenze, su Mikkeller, sul fenomeno delle Beer Firm e del “Gypsy Brewing” mi sembra si stia parlando troppo nel nostro paese, a torto e a ragione ma spesso direi con sguardo bendato ed un ego esagerato da parte di chi, per partito preso e convenienza, fomenta la critica in toto pur di andar contro corrente e racimolare consensi. Purtroppo in questo paese si parla troppo spesso per creare fazioni e scompiglio, oltre che per sentirsi migliori di altri, anche se si parla di semplice “birra”. E allora ecco, solo per dire che è così appagante la possibilità di provare tante cose nel panorama birraio internazionale che forse sarebbe il caso di bendarsi davvero, serrare gli occhi e la parlantina, assaporare, riflettere, ed avere la magica prospettiva di imparare da nuovi o riscoperti sapori, “tradizionali” o “moderni” che siano, senza sentirsi portatori di chissà quale verità.
Dio benedica le birre. Tutte.
Umberto Calabria
Umberto (JJ) Calabria - Jungle Juice Brewing, autistico della birra e ancora "homebrewer" della domenica. "Liutaio" del sabato pomeriggio se ci scappa. Laureato e lavoratore per errore il resto della settimana. Curioso come una scimmia, sempre.