Che in Italia la street art stia vivendo un momento di grande fermento lo conferma sicuramente la quantità industriale di artisti italiani che vi abbiamo presentato nella nostra rubrica Domenica In Strada.
Non me ne voglia Zelda, ma oggi, a conferma di quanto appena detto, vi presento un duo che ho avuto il piacere di intervistare e che si sta facendo prepotentemente spazio nella cultura urbana underground.
Il primo incontro con i ROBOCOOP l’ho avuto durante una rarissima “visita” nella mia facoltà universitaria. Così rara che ho preso quella visione come un segno del destino che non potevo sottovalutare e sul quale dovevo assolutamente andare a fondo, per cancellare l’inutilità di una guornata che si sarebbe conclusa con un bel “torni la prossima volta”.
Dopo qualche giorno di ricerca (ma in realtà neanche tanti) sono riuscito a contattarli e li ho riempiti di domande.
Ecco cosa mi hanno raccontato:
Ciao ragazzi, allora, raccontate un po’ ai nostri lettori chi si nasconde dietro ROBOCOOP (RomaBolognaCooperazione) e come è nato questo duo.
Il progetto è nato per caso ad un corso di ‘Storia antica e Medievale’ che seguivamo insieme in facoltà; parlando e conoscendoci, ci siamo accorti di avere molte cose in comune, come la passione per l’arte classica, il disegno, l’arte di strada.
Avevamo in mente qualche idea già separatamente, tuttavia ci è subito sembrato chiaro che le nostre idee avrebbero preso forma solo mettendoci insieme come duo.
Abbiamo trovato quindi interessante la nostra firma, perché mette in campo due visioni/città diverse.
Due personalità per due città che a loro volta sono estremamente diverse tra loro.
Riscontrate differenze tra le due città, nel modo in cui i cittadini reagiscono di fronte alle vostre opere?
Innanzitutto il fatto di essere un duo ci permette di essere più critici con noi durante la produzione del lavoro, proprio perché il nostro approccio è ben distinto anche a causa del diverso contesto di città in cui siamo cresciuti.
Roma è una metropoli mancata, dalle mille facce, dove tutto è veloce e tutto è caos; Bologna invece è una città con una sua identità locale forte ed intima. Per questo motivo, la street art è recepita ed assimilata in maniera diversa.
Prima di sapere che c’eravate voi dietro, mi è capitato di vedere dal vivo la Ragazza Con L’orecchino Di Perla con la consueta mascherina.
Parlando con degli amici, abbiamo ipotizzato che fosse un modo per denunciare l’ammutolimento dell’arte da parte delle istituzioni.
Solo dopo, sono venuto a conoscenza del vostro progetto Smog. Ci accennate qualcosa?
Hai centrato il punto: “Smog project”, il progetto che ci ha inserito nello scenario della street art, ha in realtà moltissime chiavi di lettura, proprio perché un soggetto con una mascherina interagisce in modo fortissimo con la sensibilità di chi passa per strada. Ecco quindi che ci sono state varie interpretazioni ( l’arte in terapia intensiva, l’arte in contemplazione, l’arte indignata in silenzio davanti allo spettatore ecc..) che hanno reso interessante il tutto perché ci hanno mostrato come molti siano attratti e sensibili a ciò che li circonda: il nostro intento di dialogare con il contesto è riuscito.
Paradossalmente, ciò che colpisce è l’utilizzo dell’arte classica, che nell’Italia di oggi, viene sempre più declassata in favore della New Media Art.
A memoria, mi viene in mente solo la street art rinascimentale di Zilda da paragonare alla vostra, ma è sicuramente un modo del tutto originale di approcciare.
Avete qualche legame particolare con l’arte classica”?
Sì, ovviamente. C’è un fortissima attrazione da parte nostra di interfacciarci con i maestri e di volerli metterli in discussione. Il nostro modo di operare in questo contesto è quello di preservare l’opera inserendo però qualcosa di inusuale nel quadro, a volte nascosto, a volte molto chiaro: è leggermente diverso dall’ approccio di Zilda, che rielabora in modo del tutto originale l’opera cinematografica, pittorica o fotografica.
In “A contemporary architectural inception”, il modus operandi è proprio quello di inserire architetture contemporanee nei quadri classici, quasi camuffandole nel contesto del quadro, anche se ci possono a volte essere 400-500 anni di differenza fra l’opera costruita e il dipinto.
Ecco, proprio a proposito del vostro ultimo progetto “A contemporary architectural inception”, che tipo di ricerca portate avanti? In che modo scegliete le architetture da inserire nei vostri lavori?
Un giorno, lavorando a ‘La Primavera’ di Botticelli con le mascherine, abbiamo inserito una città oltre il bosco, e ci siamo chiesti: ‘Perché non lavorare sulla sostituzione di edifici nei quadri classici?’
Viviamo in città in cui il contemporaneo – soprattutto architettonico – si mischia nell’antico in ogni angolo di essa: perché non operare questo stesso approccio di pensiero anche nei quadri?
Studiando entrambi Architettura, gli stimoli per la scelta sono sempre più forti e interessanti; la scelta è spesso dettata da associazioni formali, anche se spesso legittimate dal punto di vista logico-concettuale: ci piace inserirci con garbo e rispetto nel quadro, quasi preservandone la sua storicità.
L’utilizzo dei poster, è una chiara scelta concettuale. Ho già una mia idea, ma vi chiedo, come mai i poster e non lo stencil o la vernice?
Finora abbiamo scelto il poster come espressione stilistica per due motivi principali.
Il primo, di tipo concettuale, è perché il poster, facilmente rimovibile, ha una sua durabilità legata al contesto in cui inserito: ci sono nostre applicazioni che sono durate poche settimane, altre che sono lì da più di un anno.
L’ altro, di tipo pratico, è perché l’uso di vernici richiederebbe più tempo di quello che avremmo a disposizione per gli interventi che pensiamo nella strada (ovviamente per un problema di legalità dell’atto) e perché, detto con sincera umiltà, non saremmo in grado di riprodurre in modo fedele: solo C215 è in grado in pochi minuti di riprodurre un Caravaggio in strada con così tanta veridicità!
Come vedete il fenomeno della street art in Italia?
La street art in Italia, soprattutto a Roma, sta avendo una fortissima crescita: ciò sta avvenendo grazie ai numerosi festival, eventi, associazioni che stanno nascendo intorno a questo mondo e che curano la riuscita e l’espressione di questa forma d’arte.
Grazie a questi fenomeni ‘legalizzanti’, la street art in strada ne risente in modo positivo, perché viene legittimata, pur preservando l’ aspetto illegale e libero dell’atto stesso.
Qualcosa in Italia si sta smuovendo: la street art fa discutere, nel bene e nel male, perché sta diventando una nuova forma d’espressione d’arte contemporanea.
Essendo legati ad un concetto primordiale di street art (e lo dico in senso positivo) e trovandovi quindi ad agire spesso illegalmente, vi è capitato qualche episodio divertente durante uno dei vostri fugaci interventi?
Una sera avevamo appena iniziato ad appendere un quadro di grandi dimensioni, quando, circa a metà dell’opera, uno dei due allontanandosi dall’altro per prendere i rimanenti poster ha visto un carabiniere a piedi a 3 mt di distanza girare l’angolo proprio nella nostra direzione: è inutile dire che abbiamo fatto i cento metri in meno di 10 secondi… e dovuto completare il pezzo qualche sera dopo.
La classica domanda finale è: progetti per il futuro?
Raccontateci qualcosa che ancora non avete detto a nessuno :P
Ci piacerebbe portare i nostri lavori in Italia e all’ estero, possibilmente in maniera autorizzata.
Ringrazio i ROBOCOOP per avermi concesso l’intervista. Nel frattempo voi, seguiteli su Facebook, Instagram e Tumblr, che fate cosa buona e giusta.
Alessandro Rossi
Alessandro Rossi, fondatore di organiconcrete e pseudo studente di Ingegneria Edile-Architettura presso "La Sapienza" di Roma. Ossessionato dai buchi temporali, dall'eta adolescenziale, dal trascorrere del tempo, dai rapporti umani e dall'arte. Irrimediabilmente fesso.