Un paio di settimane fa, all’Angelo Mai, prima che chiudesse battenti (per un po’, solo per un po’), ho avuto la fortuna di scoprire, una manciata di musicisti che hanno rivoluzionato gli ultimi 15 giorni dei miei ascolti, entrando a gamba tesa in tutte le mie playlist. In quella occasione hanno suonato dal vivo l’intero Pet Sounds, l’11esimo album dei Beach Boys.
Il palco era occupato dal doppio di tutto: doppia batteria e percussioni, doppie keyboard, organi, fiati, pianoforti e sei voci. Nonostante il numero di musicisti, l’elettricità e il divertimento che si respirava dal palco, ho assistito ad un’esecuzione tra le più limpide che io ricordi. Un entusiasmo che mi ha contagiata, e scaldata, e convinta che sia ancora possibile uscire con il sorriso da un concerto. Tornata a casa li ho cercati.
Ho scoperto 3 album che cuciono insieme sentimenti a me così familiari, che non pensavo potessero essere resi in musica. La loro musica è la cronaca di un viaggio tra i continenti, degli incontri, dei sentimenti, della nostalgia di più luoghi da chiamare casa.
Questa è la storia della mia nuova passione. Ascoltare musica dal vivo stanca. Quando ascoltare la musica che ami significa inseguire chi la suona fuori dal palco, e vivere ai ritmi sincopati delle trasferte.
Parlo dei Selton, quattro musicisti di Porto Alegre che vivono a Milano. Per intervistarli li ho inseguiti in pruvincia de Munscia e da la Briansa, al Tambourine Club di Seregno.
Quando arrivo, intorno alle 9 e 30, il Tambourine è ancora chiuso, ma mi lasciano entrare, perchè “sono con loro”. Li trovo immersi nella stesura della scaletta, che interrompono per accogliermi, salutarmi e offrirmi del vino. Poi riprendono, parlando fitto in Portoghese, mentre io mi guardo intorno, agitata e felice, e prendo nota di ciò che vedo.
Il Tambourine è uno di quei Circoli Arci vecchio stile, con un’ ottima acustica, un bar semplice, un cortile dove si va a fumare e scambiarsi le impressioni. La musica è alta, dunque, appena la scaletta è completa, decidiamo di spostarci in camerino, cui si accede da una porta segreta sul palco, tagliata dentro il pannello di luci della parete di fondo.
Ho la loro attenzione. Fantastico. E mi accorgo di non aver fatto i compiti. I Selton non hanno idea di che cosa gli chiederò, perchè non ho avuto tempo di mandargli le mie domande, i miei articoli, o presentarmi. Inizio a sudare, li ringrazio per la disponibilità e lancio la domanda di rito:
Daniela (io): C’è nessuno di voi che ha bisogno di un visto permanente, e che ha voglia di sposarmi? Vi anticipo che non sono contraria alla poligamia (l’inizio non è dei migliori. Con questa domanda alzo abbastanza gelo che basterebbe a far esplodere 10 lattine di birra, se solo ci fosse della birra in questo camerino).
Ramiro (chitarra, ukulele, voce): Beh, si si, io ti sposerei.
Individuo immediatamente in Ramiro il mio salvatore, quello che mi aiuterà a chiudere questa intervista nella decenza. Lui è il comparto Comunicazione e PR della rivista, e mi ricordo che è infatti lui ad aver risposto alle mie email.
Ok, ragazzi, passiamo alla seconda domanda. Vi conosco da poco meno di due settimane, Per capire chi siete ho cercato un pò di informazioni, ma non è che ci sia moltissimo. Su Wikipedia vi definiscono un gruppo folk rock brasiliano residente a Milano. Quanto vi ritrovate in questa definizione, quanto c’è di rock, quanto di folk, e quale rock, quale folk?
Daniel (batteria, percussioni, voce): Noi non ci sentiamo particolarmente folk, forse siamo più samba che folk, se dovessimo dare un nome.
Ricardo (polistrumentista, voce): Dire che cosa siamo in questi termini risulta abbastanza riduttivo, perchè in fondo noi siamo un pò di tutte le nostre influenze, e se dovessimo nominarle tutte non si finirebbe più. Tu che cosa pensi di noi?
Oddio, non è molto che vi ascolto e non so dire bene. Non ci ho pensato…Se dovessi buttare lì qualcosa direi prima di tutto che siete Pop, perchè pop mi sembra la vostra inclinazione nel recuperare anche la musica tradizionale; poi avete qualcosa di Beatlesiano, non solo nell’impianto a 4 elementi, ma anche per come usate le voci, le armonie etc., e poi direi che siete tropicali, nel senso avete dei suoni molto caldi, o quantomeno, o che la vostra sensibilità non abbia nulla di nordico.
(Vedo il riserbo di Ricardo, che interpreto da prima come sospetto nei miei confronti, sciogliersi un pò. La sua espressione si apre)
Ricardo: è così, le cose che hai detto ci sono tutte. Abbiamo infatti iniziato facendo un gruppo che suonava solo cover dei Beatles, e lo abbiamo ancora come progetto alternativo (I Nelson ndr.).
Daniel: Ci hanno definito anche tropical rock, in effetti, ma la definizione non è importante.
Ricardo: Si, quello che vorremmo far passare come messaggio, aldilà delle definizioni, è che la musica è importante farla, e sentirla.
Daniel Plentz, Ramiro Levy, Eduardo Stein Dechtiar, Ricardo Fischmann. Sono i vostri veri nomi?
Ricardo: Certo che si, sarebbero un pò sfigati come nomi d’arte!
Ma perchè, scusa? Sono dei nomi fighissimi, ma mi fanno capire che per voi l’immigrazione è quasi una questione genetica (Annuiscono tutti insieme). Che cosa vi ha portato qui? Come vivete questa trasferta? Raccontatemi come siete nati, da quando vi conoscete. Suonavate insieme anche a Porto Alegre?
Ramiro: No, non suonavamo insieme prima. Siamo compagni di scuola. Ci conosciamo da bambini. Ma ci siamo incontrati di nuovo per caso a Barcellona, nel 2005. Stavamo viaggiando per l’Europa, qualcuno a Barcellona, qualcuno a Lisbona. Lo abbiamo saputo e ci siamo rivisti a Barcellona, dove abbiamo iniziato come artisti di strada, suonando per strada. Poi quell’anno Fabio Volo faceva un programma in televisione, ed è venuto a cercarci, a riprenderci. Da lì un produttore Italiano ci ha contattato e ci ha chiesto di registrare un disco. Che poi è il disco che sentirai stasera (Banana à Milanesa,ndr.). E’ stata una occasione, l’abbiamo colta e adesso siamo qui.
Vantate un numero di collaborazioni molto alto. Qual è stata per voi la più importante, e quale ricordate con maggiore affetto?
Ramiro: Con maggiore affetto, credo quella con Jannacci.
Ricardo: Si, Jannacci, ci ha dato molto, non solo perchè era un artista immenso, ma anche per lui, perchè era una persona eccezionale. Le collaborazioni sono state tutte belle, e tutte importanti, ognuna ci ha dato qualcosa, è molto difficile metterle in ordine di importanza. Tanto dipende anche da quanto senti vicino qualcuno musicalmente. Quella con Daniele Silvestri ad esempio è stata molto divertente. Ma anche Cochi e Renato…
Daniel: Qualcuna è diventata più di una collaborazione, ad esempio quella con Dente, che è venuto addirittura in Brasile con noi e ci ha supportato nelle traduzioni.
Eduardo (Basso, chitarra, voce): Arto Lindsay per me è stata la più importante. Lui non è solo un musicista incredibile, è anche un artista contemporaneo di livello. Siamo andati in tour insieme e ci ha coinvolto nei suoi progetti. Per me è stata la più importante anche per l’umanità, per quello che mi ha insegnato (Eduardo non parla moltissimo. Ha degli occhi molto belli, un po’ malinconici. Scopro dopo che ha studiato Arte a Brera).
Ricardo: Si perché lui è statunitense ma è cresciuto in Brasile. Poi ha prodotto dei dischi fichissimi…
Daniel: Alcuni album veramente storici, e musicisti importanti, da Brian Eno a David Byrne, John Zorn…
Con chi vi piacerebbe suonare ancora? Quali sono i musicisti che mancano alla vostra lista?
Selton (tutti insieme, mi lanciano addosso una marea di nomi…): Gilberto Gil, Caetano Veloso, David Byrne, Devendra Banhart, Dave Grohl…
Ma c’è moltissima Inghilterra fra le vostre passioni. Pensate mai di trasferirvi a Londra, o altrove?
Eduardo: Qualche volta si. Ci pensiamo.
Daniel: In maniera molto ingenua, forse.
Ricardo: Londra ci piace molto, ovviamente. E ne siamo molto influenzati. A chi è che non piace la musica che l’Inghilterra ha prodotto negli anni ’60? Solo che poi la vita ti porta dove ti porta, e le scelte non sono virtualmente infinite. Anche l’organizzazione, sarebbe molto complicata. Ovviamente ogni tanto ci pensiamo, e ci piacerebbe suonare là più spesso.
Nell’ultimo vostro disco, del 2013, ci sono anche pezzi in Inglese. Mi sembra un disco molto composito: pezzi in italiano, pezzi tradizionali brasiliani in traduzione, collaborazioni… Come nascono le vostre canzoni? Chi scrive i testi, chi la musica?
Ricardo: Ci tengo a dire che tutti scrivono tutto qui. Noi siamo molto uguali in questo gruppo. Non ci sono puri esecutori. Ognuno porta dentro quello che ha, poi le canzoni si sviluppano tutti insieme. Naturalmente cerchiamo di contribuire senza stravolgere l’intenzione di chi ha suggerito uno spunto, ma le canzoni a volte nascono anche da poche note, poi insieme le sviluppiamo. Ad esempio è successo così per You’re good, che è nato così, da poche note, da un’idea originale di Eduardo.
Ramiro: Ogni canzone è di tutti, è dei Selton, è quello che noi siamo.
Vorrei parlare un po’ delle liriche. Ragazzi, ma come va la vostra vita sentimentale? State tutti bene? (Inorridiscono. La temperatura nel camerino scende. Capisco di aver schiacciato una merda e tento un recupero in corner) Nel senso, nei vostri testi si parla sempre di relazioni complicate. Di amori difficili, o addirittura troppo semplici. Sono espedienti letterari, o frutto di esperienze reali?
Daniel: Scusami, perché, quale storia d’amore conosci che non è un po’ triste? Quale delle canzoni ti sembra una canzone felice?
Ricardo: Come ti dicevo, alcuni testi sono spunti, che poi costruiamo insieme. Poi ci sono delle canzoni che sono scritte da una sola persona. Per esempio Ghost Song nasce da un’idea di Ramiro, mentre Un ricordo per me, almeno nel testo, è completamente mia. Ma direi di no, che niente è letterario, niente è per finta, ma che le canzoni vengono dal vissuto.
Ho ancora un sacco di domande, ma so che avete bisogno di prepararvi e vi sto trattenendo. Volevo chiedervi qualcosa delle vostre produzioni video. Molto del modo in cui voi comunicate voi stessi passa anche attraverso i video, molto belli, molto curati che fate. Mi raccontate un po’ di come fate i video?
Ricardo: fare video è grande. L’ultimo in particolare poi ha messo insieme una grande produzione. Ci siamo divertiti molto, ci piace recitare.
Si vede, soprattutto a Daniel.
Daniel: Si io mi sono divertito molto a recitare in Across the sea.
Ricardo: Avrai visto che tipo di umorismo c’è, un po’ nero, un po’ alla Foo Fighters, con i magazine di settore che riprendono la storia della nostra gloria, che speriamo di avere un giorno nella realtà, e di un nostro litigio e di una separazione.
Si, ho visto, ma mi ha seriamente shockata, perché è difficile ricollegare il video alla canzone, in primo luogo, e poi perché ci sono delle scene molto crude, di vera violenza.
Ricardo: Si si, alla fine Daniel muore. Non abbiamo voluto far finire nulla con un lieto fine. Non ci interessava nemmeno troppo ricreare l’atmosfera della canzone, che è giù molto dolce, quasi solare. Volevamo qualcosa di diverso (lo dice con una faccia e con un gusto che mi fa pensare voglia mettere Daniel, a pezzi, in congelatore).
Daniel: Volevamo un film che come umorismo si ispirasse ai Goonies, capito?
Ma la storia della separazione, non è vera. Non avete mai pensato di separarvi.
Ramiro: No. Non ci sono cose irrisolte fra noi. Poi ognuno può interpretare il legame con il testo della canzone come vuole. La canzone, lo sai, è la storia di un pirata che si innamora, racconta la storia del suo amore alla sua crew, ma viene separato forzatamente dal suo amore, dagli altri pirati che tagliano l’ancora. E in un’epoca senza telefonini, non può fare nulla per ricongiungersi a lei.
Ricardo: Ecco, anche se una vera interpretazione non c’è, forse si può dire che entrambe siano la storia di una separazione.
Quali sono i vostri prossimi progetti? State scrivendo un nuovo disco o vi state concentrando sul tour? Piani per il futuro?
Ramiro: Ad aprile faremo una piccola pausa con i concerti per iniziare con calma a pensare al prossimo disco. L’idea è iniziare a capire i nuovi pezzi che abbiamo già in mano, a pensare come vorremo dipingere questo nostro prossimo step. Poi a maggio andremo in Brasile per un mese di tour, e dopodichè torneremo in Italia per il secondo tour estivo di Saudade. Quindi per farla breve, in pratica nei prossimi mesi staremo girando e allo stesso tempo pensando al nuovo disco. Poi il futuro è un mistero.
E questa è la mia domanda di rito finale: Potreste suggerire ai lettori di Organiconcrete un libro, o un disco, o un film che avete amato più di altri?
Un libro: “Verità Tropicale” – Caetano Veloso;
Un disco: “Swing Lo Magellan” – Dirty Projectors;
Un Film: “The Goonies” – Richard Donner , Chris Columbus and Steven Spielberg.
D: Grazie del vostro tempo e della disponibilità. Vado ad aspettarvi sotto il palco.
Selton: Grazie a te!
Daniela Ionta
Prosivendola di mestiere. ama parlare, scrivere, fotografare, correre, andare ai concerti sfigati. Vive una vita perfettamente equilibrata e solipsistica nella capitale immorale d'Europa. Ha una figlia e un cane virtuale.