La prima volta che sono scappato di casa, raccolsi in uno zaino verde dell’Invicta gli elementi indispensabili per la sopravvivenza in un posto non ancora identificato, ma che la mia mente fuorviata dai film e dai cartoni animati associava a una foresta o ad una distesa enorme di sabbia che allora non sapevo potesse chiamarsi deserto.
Come uno scout mal addestrato, ma con la convinzione di aver tutti gli strumenti giusti, misi nello zaino una corda di nylon da un metro e mezzo (non sarà stata troppo lunga?), tutti i sette volumi del Manuale Delle Giovani Marmotte che allora possedevo (e che pesavano almeno quanto la paura di affrontare la notte da solo), un coltellino svizzero che mi aveva regalato il mio ex-ex migliore amico (e ne vennero altri ancora di ex) figlio di un medico chirurgo, un foglietto scritto a mano con il codice segreto dei Dada Urka e infine una cartina della Francia che mia madre aveva comprato durante un viaggio a Disneyland Paris.
La sera prima avvertii mia madre che sarei scappato di casa. E così feci. Ma per andare dove?
Il viaggio è uno di quei temi entrato nell’immaginario collettivo comune insieme all’amore, la morte e il gioco. Un tarlo maledetto che scava nel subconscio rendendo la meta, soltanto una minuscola variabile nel grafico altalenante dell’esperienza.
Il viaggio di Benoit Paille fotografo ventiseienne di Montreal, si chiama Rainbow Gatherings e nasce dalla curiosità e dalla voglia di spingersi al di là di dei propri limiti, oltre che da una situazione di insofferenza e insoddisfazione per il mondo e la vita.
I Rainbow Gatherings (il primo ebbe luogo nel 1972 negli Stati Uniti) sono delle vere e proprie comunità nascoste, che si radunano condividendo ideali di pace, armonia, rispetto per se stessi e per l’ambiente, oltre all’idea di (ri)creare una vita alternativa a quella consumistica del ventunesimo secolo allontanando mezzi come la tecnologia, i mass media e il materialismo in generale.
Il primo incontro di Benoit Paille con i Rainbow dura circa quattro minuti ed è avvenuto durante un viaggio in Quebec con la sue ex Ragazza, durante il quale avevano sentito voci in merito a un raduno non molto distante di “nuovi hippies” che vivevano senza energia elettrica e a stretto contatto con la natura.
Giunti sul posto hanno conosciuto una giovane donna che gli ha indicato subito le regole per entrare: nessun taglio di alberi viventi, nessuna droga pesante e il rispetto nei confronti di tutti.
Dopo un primo momento di esitazione i due sono tornati 4 giorni dopo decidendo di entrare a far parte della comunità e accettandone tutte le regole.
Benoit è riuscito a farsi accettare come fotografo, (la tecnologia non è ben vista all’interno dei Rainbow) dimostrando di rispettare e condividere pienamente gli ideali del gruppo.
“Il fatto è che se queste immagini dovessero essere presentato fuori contesto” dice lo stesso Benoit, “I Rainbow apparirebbero come festival per squilibrati e tossicodipendenti con persone nude e tutto il resto“.
La serie Rainbow Gatherings nasce proprio da quest’esperienza a tratti utopica e surreale. E tu che osservi, l’utopia la percepisci tutta negli sguardi delle persone ritratte, insieme a quel velo massiccio di spensieratezza che un po’ invidi e un po’ detesti, ma che alla fine ti rendi conto essere la risultanza di una dose letale di coraggio.
La natura contamina gli animi delle persone, in un selvaggio e primordiale processo di cambiamento che si attesta duramente come la consapevolezza di un mondo che oltre che sognare, si può anche vivere.
Perchè quando parti per un viaggio, non torni mai come prima.
Ma tornando al mio di viaggio (quello da imperfetta giovane marmotta) arrivata la sera, cominciai a sentire rumori sinistri e foglie che si muovevano, e gufi che bubolavano e pipistrelli veloci che roteavano nel cielo sopra la mia tenda. Resistetti qualche minuto con tutto il coraggio che un bambino di 8 anni poteva avere in corpo, usando le mani per tapparmi le orecchie e far finta che fuori non ci fosse nulla.
Poi abbandonai tutto ciò che avevo, suonai il campanello di casa e tornai dentro. Erano le 21:49, segnate in maniera impeccabile sul mio orologio di Topolino.
Finì così la mia prima fuga da casa.
Mi mi ripromisi che non sarebbe stata l’ultima.
Alessandro Rossi
Alessandro Rossi, fondatore di organiconcrete e pseudo studente di Ingegneria Edile-Architettura presso "La Sapienza" di Roma. Ossessionato dai buchi temporali, dall'eta adolescenziale, dal trascorrere del tempo, dai rapporti umani e dall'arte. Irrimediabilmente fesso.