Ciao Francesco,partiamo subito con una domanda di rito: ci racconti chi sei, dove vivi e cosa fai nella vita quando non scatti fotografie
Sono Francesco Margaroli, ho 31 e vivo a Genova. Sono un fotografo quasi esclusivamente autodidatta. Quando non scatto foto penso a quali foto vorrei scattare e quali progetti far crescere, li scrivo tutto su un taccuino verde e poi ne realizzo il 5%.
Sono rimasto impressionato dalla serie Nowhere, e dall’incredibile sensazione di solitudine che emana.
Ci racconti un po’ questo progetto?
Cammini per la strada e avverti una sensazione di asincronia. Ti ritrovi in un luna park nella fase calma dello smontaggio e senti questo straniamento, nonostante tu sia in mezzo alla città, la tua città. Tutto questo era da tradurre con il linguaggio fotografico. Il sottotitolo che ho dato è “Luoghi che non esistono quando esistono”. Ho provato a unire la sensazione di straniamento col fascino di questi luoghi : posti urbani, familiari, che contengono però elementi che disturbano.
A quanto pare il tema della solitudine e della desolazione si ripete anche nella serie Desolation Tour, in cui troviamo scorci di città abbandonate a se stesse e private di ogni componente umana.
Che rapporto c’è, secondo te, tra l’uomo e la propria città? In che modo l’ambiente in cui viviamo influenza le nostre scelte?
Il Desolation Tour è una raccolta di fotografie piuttosto diverse, una collezione in continua evoluzione, ma permeate della stessa atmosfera. Una parte del porto che sembra seduto su sè stesso, quasi immobile; un deposito abbandonato nei pressi dell’aeroporto; lo scorcio di un parcheggio in una zona di recente costruzione che facilmente diventa un non-luogo.
Penso che tra una persona e il luogo in cui vive si crei un’empatia naturale, molte volte inconscia e poco consapevole. Questa relazione influenza ogni giorno, e non parlo solo della fotografia e del modo di fotografare. La fotografia permette di osservare in maniera differente il luogo dove si vive e quindi cambia anche il modo di farsi influenzare.
E tu, quanto ti sei lasciato influenzare dalla tua città nelle scelte che hai fatto fino ad oggi? C’è stata consapevolezza?
La città in cui vivi ti influenza, che tu la ami o che tu la mal sopporti, sia nei comportamenti che nelle abitudini o le parti più concrete della vita. La difficoltà più grossa è quella di non subire troppo e passivamente la città, che sia una metropoli o una città di provincia o provinciale. L’empatia deve essere a doppia mandata. Con un mezzo come la fotografia puoi riscoprire ripetutamente la tua città, reinterpretarla continuamente.
Le uniche tue serie in cui si avverte chiaramente la presenza umana sono Almas e Ordinary People in Ordinary Places.
In entrambe le serie tuttavia, non posso fare a meno di notare il modo in cui, ancora una volta, l’ambiente si erge a protagonista, caratterizzando (anche in maniera inconscia) la storia dei soggetti ritratti. Qual è stata la genesi di queste serie?
Ordinary People in Ordinary Places è un’urgenza che ho avuto poco dopo aver cominciato a fotografare, in particolar modo quando ho scoperto la fotografia a pellicola. Avevo bisogno di esplorare la fotografia come gesto quotidiano e grazie a una piccola XA (che mi accompagna quasi sempre) ho cominciato a interpretare la realtà in cui mi scontravo ogni giorno, trasfigurata dai volti e dalle persone che incrociavo. È incredibile come questo approccio mi abbia permesso di osservare in maniera differente : così anche un tragitto quotidiano con un mezzo pubblico aiuta a scoprire e scoprirti.
Le doppie (o triple, o quadruple!) esposizioni mi hanno sempre affascinato. Ora c’è una grande diffusione, alcune fotocamere digitali ti permettono di farle direttamente in macchina oppure si creano con elaborazioni digitali. In questo modo ci si focalizza su il risultato finale, senza prendere in considerazione l’atto e la creazione della fotografia : il come, il processo che mi porta al risultato finale non è contemplato. Non è uno scontro di filosofie (sebbene Nowhere sia scattato in analogico con una medioformato, senza la postproduzione digitale non avrei potuto ottenere la mia idea), ma in Almas quello che mi piace è che le due immagini si sovrappongano direttamente sulla pellicola, che i sali d’argento reagiscano a questo doppio stimolo. Il resto è semplice : la persona che voglio fotografare; il luogo dove siamo.
Qual è il luogo in cui riesci a sentirti a casa?
E se dovessi partire domani, che destinazione sceglieresti?
Mi piacerebbe parafrasare una canzone dei Talking Heads : casa è dove voglio stare. Ma si rischia di confondere la volontà con l’abitudine. Se dovessi partire con la macchina fotografica e un’idea, mi piacerebbe il Nord del Mondo, gli stati centrali degli U.S.A. o dare una mia personale interpretazione di quello che persone più grandi di me hanno chiamato Viaggio in Italia.
Un libro, un film una canzone e chiaramente un fotografo che ci consigli.
In questo momento sto ascoltando Yasmin the Light degli Explosions in the Sky.
Il libro che sto leggendo è un saggio sulla fotografia :”La fotografia come arte contemporanea” di Charlotte Cotton.
Una fotografa contemporanea: Lauren Marsolier.
Ringraziamo Francesco per averci dedicato un po’ del suo tempo e vi invitiamo a visitare il suo sito: http://cargocollective.com/francescomargaroli
Alessandro Rossi
Alessandro Rossi, fondatore di organiconcrete e pseudo studente di Ingegneria Edile-Architettura presso "La Sapienza" di Roma. Ossessionato dai buchi temporali, dall'eta adolescenziale, dal trascorrere del tempo, dai rapporti umani e dall'arte. Irrimediabilmente fesso.