Se c’è un modo di negare la poesia che è possibile ricercare in architettura è quello di ridurre il processo creativo a una sequenza logica di operazioni elementari. Non si tratta di ricondurre il progetto ai suoi archetipi bensì di pretendere erroneamente che basti un gioco di volumi più o meno banale per creare architettura di qualità. Un maestro di questo metodo, condito da spettacolarismi strutturali, è Bjarke Ingels (BIG). Nei suoi concept sembra che a guidare il ragionamento non sia mai la percezione degli spazi, né qualche formalismo artistico, ancor meno reali necessità funzionali. Il risultato è quasi sempre un oggetto di scarsa armonia, modaiolo e poco elegante.
Per capire quale sia il metodo opposto di fare architettura, non posso che parlare di Peter Zumthor.
Basta perdersi tra le immagini delle sue terme di Vals, in Svizzera, per capire quanto la sua ricerca architettonica sia mirata a ottenere spazialità originali e percettivamente attraenti. La calma potenza di quest’architettura nasce da un’interpretazione sensibile del contesto, dalla volontà di soddisfare tutti i sensi del visitatore e da intuizioni spaziali di vibrante ispirazione. Come Zumthor stesso ci spiega: “la poesia è verità inaspettata (…) e il compito artistico dell’architettura è dare una forma a questa calma aspettativa”.
Luca Di Carlo
A 19 anni ho smesso di straziarmi su dilemmi esistenziali per iniziare a chiedermi: "può l'architettura essere poesia?". Adesso, che di anni ne ho 25, sono qui ogni settimana a condividere con voi le risposte che ho trovato (e quelle che ancora cerco)