Daniele Tamagni approccia alla fotografia diplomandosi all’Università di Westminster a Londra. I primi scatti documentano la vita nei ghetti abitati da migranti africani e caraibici. Ora i suoi lavori lasciano immaginare un percorso intenso, senza dimenticare l’impegno nell’ambito della street photography. Daniele sarà in mostra fino all’8 Dicembre 2013 per la XII Edizione del Festival Internazionale di Fotografia di Roma con la serie Gentlemen of Bacongo nell’ambito di Trolleology, un omaggio al grande editore Gigi Giannuzzi, mancato l’anno scorso.
Proprio da questo lavoro è nato il libro fotografico Gentlemen of Bacongo (Trolley Book) tratto dal documentario sui Sapeurs, dandy contemporanei famosi per la loro eleganza ricercata e lo stile ispirato alle mode occidentali.
Dandy congolesi, danzatrici boliviane, sapeurs. Allora Daniele, ho seguito il documentario in Congo e i reportage fotografici, ma chi sarai mai in realtà?
Daniele è un “esploratore” di fenomeni inattesi presenti nei contesti più diversi. Ognuno dei miei progetti ha sicuramente un filo conduttore, quello di raccontare la moda street intesa come stile con il quale ogni individuo esprime la propria identità. Una moda che presenta elementi profondi come le implicazioni legate alla storia, alla cultura e al rapporto con l’Occidente. Mi sento un fotografo polivalente, mi piace alternare tra street photography, cogliendo l’attimo decisivo, e lavorare a immagini molto vicine alla fotografia di moda lasciandomi sempre trasportare dalla casualità e dal momento. Insomma amo alternare diversi generi. La figura umana e gli spazi urbani sono gli elementi di maggiore interesse, insieme al bisogno di comunicare e andare oltre luoghi comuni e stereotipi.
Hai realizzato esposizioni anche a Madrid e New York, ci racconti la scelta di restare a Milano?
Amo viaggiare, in effetti mi sento un cittadino del mondo. Milano è una base e la città che amo, in realtà viaggio anche all’estero per realizzare i miei progetti e per visitare le mostre. Credo di essere sempre sul punto di andarmene, Milano a volte mi fa sentire un pò “estraneo”, ma resterò ancora per qualche tempo.
Nelle tue fotografie i soggetti e il colore vincono su tutto, perché questa scelta?
Amo i colori, la mia formazione è storia dell’arte. Quando inquadro e scatto immagino sempre di avere davanti una tela e una tavolozza di colori. Si dice che la fotografia sia un pò come dipingere con la luce, ecco, credo che nelle mie foto la luce e i colori abbiano un ruolo significativo. Non voglio essere banale il colore è gioia e vita, credo che le mie foto esprimano proprio la positività e l’energia che ritrovo nei miei soggetti.
Qual’è la tua posizione rispetto alla fotografia in bianco e nero?
Ho un grande rispetto per il bianco e nero. Inizialmente quando scattavo in analogico amavo il reportage in bianco e nero. Andavo dai migliori stampatori per avere la resa giusta, poi ho scelto il colore e non mi sono più stancato. Sicuramente la scelta dipende dal tema dei progetti, proprio perché il colore in quelle fotografie ha un ruolo decisivo.
Ci racconti il servizio sulle danzatrici boliviane?
Le danzatrici indigene boliviane, cholitas, amano vestirsi sempre eleganti con i loro abiti tradizionali. Le ho seguite nei diversi contesti, in politica e nella vita quotidiana. Volevo raccontare il ruolo spesso disprezzato della cholita, da umile commerciante e venditrice, a donna rispettata con funzioni importanti nella Bolivia di Evo Morales. Nello specifico mi sono appassionato alle cholitas luchadores, le lottatrici. Credo sia interessante come riescano a conciliare grazia ed eleganza in un sport rude e violento come il wrestling. Per loro lottare è un modo per rompere dei tabù, oltre ad essere una metafora delle lotte da affrontare nella vita quotidiana, pubblica e privata, alla ricerca di rispetto, dignità e orgoglio per la loro etnia e tradizione.
Il tuo reportage su La Sape, ti ha dato l’opportunità di realizzare diverse esposizioni. Quali sono i tuoi progetti futuri?
Progetto futuro è finire altre due storie per portare a conclusione l’idea del libro Global Style Battles, battaglie di stile globali, che racchiuderebbe sette anni di progetti su questo tema. Si tratta di raccontare la moda in modo diverso, lasciando parlare le immagini e coinvolgendo antropologi, curatori, fashion editor e specialisti di altissimo livello per ogni tema trattato. Ho anche un progetto completamente diverso che riguarda la figura di Valentina Crepax, personaggio fumetto, icona di femminilità e sensualità sempre amato e tutt’ora molto vivo nell’immaginario collettivo. Vorrei ricreare una storia attraverso il fotoromanzo con lo stile e le ambientazioni vintage di Milano. Credo sia una bella sfida.
Questa è la domanda con cui vorrei chiudere tutte le mie interviste: gli ultimi libri che hai letto, un film che dovrei assolutamente vedere, e i fotografi che più ti hanno ispirato in questi anni.
Io consiglio sempre di dedicare del tempo anche alle mostre di pittori antichi e moderni, oltre alla fotografia.
I fotografi, direi da Cartier Bresson, Alex Webb, Martin Parr a Philip-Lorca diCorcia. Riguardo ai libri, i fumetti di Valentina Crepax per il discorso di prima, e film da consilgiare Blow up di Antonioni e Fa la cosa giusta di Spike Lee.
Ringraziamo Daniele per l’intervista e per i fotografi che ci ha fatto scoprire, vi invitiamo a visitare il suo sito: www.photodantam.com
Deianira Vitali
Da quando vivo a Roma, penso al cibo per buona parte della giornata. Abbandonati i cocktail serali, ho scoperto l'amore per lo Jagermeister. Il lavoro è solo una pausa tra le mie instancabili ricerche: arte, fotografia e grafica. E quando il sonno tarda ad arrivare, c'è sempre tempo per disegnare.