Una giapponesina dell’83 che vive ed opera a Linz (Austria) dopo averci studiato è un fatto quantomeno strano, se ci si aggiunge anche che è fissata con la morte a questo punto la situazione diventa davvero davvero particolare.
Eppure questo è il background dell’artista Haruko Maeda, arrivata da Tokyo ma ormai stabilitasi in Occidente con la voglia di trasmettere la sua visione del mondo, ovvero quella di una opposizione-integrazione fra vita e morte (sì, lo so, si torna sempre lì ma c’est la vie).
Il suo è un punto di vista doppiamente filtrato dallo scintoismo della sua madrepatria e dal cattolicesimo austriaco, con conseguenza un sincretismo di idee che puntano tutte ad un’unica spiegazione per la realtà: la morte è molto più vicina di quanto sembri (sì, lo so che vi rallegro le giornate!) e diciamo senza ombra di dubbio l’unica vera costante della vita stessa, quindi tanto vale sfruttarla come elemento espressivo nell’arte.
Il trinomio arte-vita-morte è uno dei grandi classici da sempre, ma il modo in cui Haruko lo sintetizza nelle proprie opere (dai disegni ai quadri alle installazioni) è originale e costituisce uno strano mix fra elementi molto cupi, associati alla decadenza fisica, ad altri sfarzosi e brillanti, la risposta al memento mori che proviene da piccoli eventi quali la vista dei necrologi alle catastrofi come quella del 2011 che colpì il suo Giappone.
Così troveremo nelle sue esposizioni scheletri che, come le reliquie dei santi che l’artista va a visitare nei monasteri austriaci, sono adornati di tutto e di più: finti gioielli e perline dai colori sgargianti sbucano ovunque dalle ossa, come una nuova vita spunta da una che si è appena conclusa, rendendo la scena grottesca e terrificante, ma pur sempre terribilmente attraente agli occhi del pubblico.
L’interesse della Maeda infatti è catalizzare l’attenzione verso il possibile cambio di significato che un oggetto può subire se posto in un contesto diverso: come un ammasso di ossa e carne rappresenta la vita umana o animale, i pezzi presi e mostrati singolarmente suscitano ribrezzo, paura e sconcerto, perchè associati alla fine dell’esistenza e al dolore.
La bellezza nel brutto o nello spaventoso è ciò che evidenzia questa artista, rendendo quasi “preziose” delle ossa che diventano bonsai di perline dall’aria kitsch: questo non è un concetto nuovo, come anche alcuni dei soggetti stessi delle opere sono ripresi dalla storia dell’arte. Alcune opere invece, rimandano ad un horror vacui, vissuto come preludio alla morte, infatti per quanto un simbolo di questa come un osso venga decorato quasi compulsivamente nel tentativo di invertirne il significato associato, rimane pur sempre un osso. Ossa = morte penso sia uno dei simboli più forti nella nostra cultura, e per quanto sia apprezzabile il messaggio che vi è dietro le opere della giapponese adottata austriaca,è difficile cambiarlo.
Si può in ogni caso considerare meglio, grazie ai suoi elaborati, il legame fra noi e i due aspetti opposti ma in realtà complementari della nostra esistenza: vita e morte non sono altro che due facce della stessa medaglia, sta all’uomo scegliere quale faccia guardare.
Roberto Todone
Studio design industriale a Treviso nel tempo libero dei miei 20 anni. Per il resto sono fissato con l'esoterico, cerco messaggi nel mondo, parlo con persone.