Non è stato facile scegliere sette foto per presentarvi il fotografo di questa settimana. Reportage e ritratto fotografico, negli scatti di Fabio Itri, si avvicinano fino a sfiorarsi mostrando una realtà che spesso dimentichiamo o, semplicemente, non vogliamo vedere.
Ciao Fabio, anticipo alcuni suggerimenti tratti dalla tua biografia: vivi a Reggio Calabria, hai studiato Reportage presso l’Istituto di Fotografia a Roma e hai iniziato come autodidatta. Ci racconti chi è Fabio Itri?
Avrei voluto fare il professore di filosofia ma ho cambiato idea appena terminati gli studi. Fino al 2009 ho lavorato come copywriter per agenzie di advertising, poi è nata la passione per la fotografia che, da terapia a oggetto di studio, è diventata un mezzo d’espressione. Con la consapevolezza di potere e volere raccontare storie attraverso immagini, ho deciso di frequentare il corso di Reportage presso l’ISFCI a Roma, una bella esperienza formativa. Ho concluso il mio primo racconto fotografico, ora lavoro al secondo, che dovrebbe concludersi entro l’anno.
Ogni fotografo segue un percorso di ricerca, in particolare quando si tratta di reportage. Quali sono i temi che maggiormente influenzano la tua fotografia?
Credo che ci siano delle propensioni personali, intime, per cui si sceglie di trattare un tema piuttosto che un altro. Il reportage sociale è quello che più mi interessa.
Dove hai realizzato il tuo primo progetto?
Il mio primo progetto, “In tenda”, è stato realizzato nella provincia di Reggio Calabria. Si tratta di una tendopoli situata nella zona di San Ferdinando, comune limitrofo a Rosarno.
Il tuo lavoro fotografico mostra una realtà, quella della tendopoli, spesso sconosciuta da fuori. I quotidiani hanno definito i migranti di San Ferdinando “lavoratori invisibili”. Ci racconti questo progetto?
Per il progetto “In tenda”, mi sono interessato alle condizioni di vita dei migranti africani impiegati nella raccolta delle arance nella piana di Gioia Tauro. Dal 2012 i lavoratori stagionali sono stanziati in una tendopoli. La struttura pensata per circa 300 ospiti è stata dopo pochi mesi invasa da più di mille unità, e la mancanza di fondi per la gestione della loro permanenza ha fatto sì che le condizioni di vivibilità diventassero dopo poco tempo insostenibili. Ho passato 3 mesi insieme a loro, da Febbraio ad Aprile 2013, ho vissuto nella tendopoli per raccontare dall’interno questo non luogo. È stata un’esperienza davvero intensa.
Quali sono le difficoltà da superare quando si realizza un progetto di reportage fotografico?
Le difficoltà non sono poche, sto iniziando a capirlo adesso. Credo sia necessario avere le idee chiare sul lavoro che s’intende realizzare. Molto importante è fare degli studi di fattibilità, raccogliere contatti e avere una buona organizzazione. Superate queste prime difficoltà, in realtà, ciò che fa la differenza è la capacità d’instaurare sul campo un rapporto di fiducia con l’altro, un rapporto paritario che consenta di “entrare” nelle situazioni. Per questo prima ho parlato di sensibilità, propensione personale che porta a scegliere alcune tematiche e non altre.
Gli amanti dei “tecnicismi” si chiederanno, quale macchina fotografica usi e quali attrezzature consideri indispensabili?
Uso un 28mm e 50mm su full frame.
Fabio, è arrivato il momento di salutarci. Come ogni sabato vorrei chiederti il prossimo libro che leggerai, un film che dovrei assolutamente conoscere e un fotografo al quale sei particolarmente legato.
Sicuramente L’Aleph di Borges. Il film, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, di Petri. I fotografi sono tantissimi, ma se dovessi indicarne uno, direi Ernesto Bazan. Poco tempo fa ho avuto il piacere di frequentare un suo workshop, l’umanità che trasmette la sua fotografia è immensa.
Ringraziamo Fabio per averci concesso questa intervista, vi invitiamo a visitare il suo sito e il profilo Flickr:
www.fabioitri.com
http://www.flickr.com/photos/fabioitri/
Deianira Vitali
Da quando vivo a Roma, penso al cibo per buona parte della giornata. Abbandonati i cocktail serali, ho scoperto l'amore per lo Jagermeister. Il lavoro è solo una pausa tra le mie instancabili ricerche: arte, fotografia e grafica. E quando il sonno tarda ad arrivare, c'è sempre tempo per disegnare.