A colpi di luce 2.0: Monica Leggio


Il suo sito è una miniera d’immagini. Non contenta, ho cercato anche il profilo Pinterest, Behance e Tumblr. Monica Leggio sembra avere le idee molto chiare. Per chi non avesse ancora visitato il suo sito, consiglio alcuni dei temi più interessanti, wedding, projects, stories.

Come spesso accade con gli artisti, ho bisogno di approfondire la personalità dietro l’obiettivo. Chi è Monica Leggio?
Un grumo di pensieri, propositi e idee che corrono sempre troppo veloci rispetto alle mie capacità di realizzarli. Sono una perfezionista, purtroppo, e contemporaneamente un’affamata di cose nuove. Mi sembra sempre di camminare nella Biblioteca di Babele di Borges.

In molti progetti sono presenti soggetti che hanno l’aria di non essere degli sconosciuti. Ci racconti chi sono e come ti relazioni con loro?
Le persone che mi sono più vicine e con cui trascorro molto tempo diventano inevitabilmente una presenza importante nel mio lavoro personale. Fotografarle in modo più o meno costante e ripetuto nel tempo, oltre che essere una conseguenza del tempo trascorso insieme, diventa occasione di conoscenza e avvicinamento. Ho studiato architettura e una frase che ricordo è “disegnare un edificio è il modo migliore per conoscerlo e farlo proprio, non basta osservarne le immagini, siano esse stampate o reali”.

I tuoi scatti mi fanno pensare che tua sia una fotografa con le idee ben chiare. Nelle tue fotografie ho trovato diversi richiami cromatici, a seconda che si tratti di toni caldi o freddi. Ci descrivi il tuo approccio alla fotografia dal punto di vista del colore?
Quello del colore è per me un terreno di ricerca e sperimentazione costante, come del resto lo è per tutti. L’avvento del digitale ha reso la gestione del colore un aspetto cruciale e imprescindibile per la qualità del risultato finale. Nasce qui l’esigenza di trovare il mio modo, lavorando con strumenti diversi quali Lightroom e Photoshop. Ad ogni modo, non sono quasi mai completamente soddisfatta dei risultati che di volta in volta ottengo.

Che legame hai con il mare e la natura?
Molto profondo direi. Ho viaggiato molto in camper con la mia famiglia, e dal finestrino della mansarda dove dormivo ho visto scorrere tanto paesaggio mentre mio padre era alla guida. Ho dovuto rinunciare infinite volte ad esplorare luoghi che scappavano davanti ai miei occhi portandosi via tutti i loro segreti, senza che io potessi fare nulla. Oggi il mio legame con i paesaggi e la natura è strettissimo, forse in virtù di tutte quelle rinunce. Dedico molto tempo alle passeggiate solitarie in cerca di luoghi e, quando ne ho la possibilità, scelgo quasi sempre di scattare tra gli alberi, nei cespugli, al mare, sulle rocce.

Il tuo ultimo progetto è stato realizzato con il patrocinio del Comune di San Felice Circeo e del Parco Nazionale del Circeo. Ci racconti come è nato “Anatropè”, progetto ispirato al mito di Circe e all’opera la Circe di G.B.Gelli?
Quando mi è stato chiesto di realizzare una serie di immagini che parlassero del territorio del Circeo, mi sono trovata nell’imbarazzo di dover mediare tra la presenza forte del mito di Circe nell’identità del luogo, e la mia riluttanza a parlare del testo di Omero, come elemento caratterizzante del territorio. Un giorno mi è capitato tra le mani il testo di Giovanni Battista Gelli, La Circe, una breve operetta in dieci dialoghi pubblicata nel 1549.

In quest’opera, l’autore riprende il celebre episodio dell’Odissea, immaginando che Ulisse ottenga da Circe la facoltà di conversare con i suoi Greci trasformati in animali. Questi ultimi, inaspettatamente, si pronunciano a favore della propria condizione ferina e oppongono un netto rifiuto all’offerta di recuperare le fattezze umane. Sostengono, quindi, la superiorità etica degli animali rispetto alle debolezze, ai vizi e alle miserie, che caratterizzano l’esistenza degli uomini. Attraverso l’attuazione di procedimenti paradossali, ciascuno dei dialoghi, in cui si articola l’opera, è costruito intorno ad un particolare aspetto della condizione umana. Nei dieci tableaux ho voluto abbracciare questo rovesciamento di prospettiva (anatropè, appunto), dando ironicamente voce al punto di vista ferino. Ho preso in prestito, dai dieci animali cui Ulisse si rivolge, lo sguardo straniante sulla nostra condizione e sui nostri limiti: vanità, avidità, arrivismo e via dicendo. Mi è sembrata subito la chiave di lettura più adeguata per interpretare il legame tra il territorio del Circeo e il mito di Circe, spesso abusato e banalizzato.

Questo progetto è stato realizzato unicamente con scatti in bianco e nero. Come sei arrivata a questa scelta?
In realtà non ci ho neanche riflettuto. Quasi sempre, quando penso un lavoro, lo penso già in bianco e nero oppure a colori. Probabilmente, in questo caso pensarlo in bianco e nero è una conseguenza del mio pormi a cavallo tra gli echi millenari del testo omerico e l’attuale, in una sorta di limbo temporale in cui il bianco e nero si attaglia perfettamente.

Per concludere, chiedo anche a te uno dei tuoi libri sulla scrivania, un film che dovrei assolutamente vedere e fotografo che ti è di grande ispirazione?
Direi Bestiario di Julio Cortázar, Smoke di Wayne Wang e tutto il lavoro di Luigi Ghirri.

Ringraziamo Monica per averci concesso l’intervista e vi invitiamo a dare un’occhiata al suo sito: http://www.monicaleggio.it 


Deianira Vitali

Da quando vivo a Roma, penso al cibo per buona parte della giornata. Abbandonati i cocktail serali, ho scoperto l'amore per lo Jagermeister. Il lavoro è solo una pausa tra le mie instancabili ricerche: arte, fotografia e grafica. E quando il sonno tarda ad arrivare, c'è sempre tempo per disegnare.

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