Perché se muore il liceo classico muore il paese
Di solito è così: dopo, un dopo che può essere molto oppure molto poco, ci accorgiamo che le scelte fatte non sono mai, e dico mai, quelle giuste, ma nemmeno una volta; solo raramente capita di aver avuto ragione, di aver svoltato all’angolo giusto, di avere preso la destra e non la sinistra senza poi pentirsene.
Ecco, a me è successo. E’ successo ascoltando una lezione di critica letteraria all’università, uno di quei discorsi che ti toccano in modo particolare, che ti rimangono dentro: si parlava di parole, di come rappresentassero la parte più profonda di noi, di come, al di là di tutto, noi uomini fossimo fatti proprio di parole; di come le lettere e il loro suono e l’atto di scriverle possa, a volta, semplicemente salvare la vita.
Quella mattina compresi a fondo quello che forse avevo già intuito parecchi anni prima, quando, fregandomene di ogni tipo di giudizio, scelsi il liceo classico.
Non lo so, però nonostante le terribili interrogazioni di greco, nonostante le domeniche chiuse in casa a tradurre versioni di latino, io, se tornassi indietro, farei esattamente la medesima scelta, e non una volta sola, la farei ancora e ancora e ancora.
Ecco perchè condivido appieno l’articolo di Giorgio Israel pubblicato sulle pagine del Messaggero un paio di settimane fa (“Perché se muore il liceo classico muore il paese”), un articolo attento, brillante, acuto e ottimista che, analizzando le recenti iscrizioni alle varie facoltà universitarie, ha perfettamente inquadrato il vuoto culturale e lo stadio di non-conoscenza e incoerenza in cui ormai da anni è impantanato il nostro paese.
Emblematio un passo: “Come è possibile pensare che il patrimonio culturale del paese possa essere preservato se quasi nessuno conosce più neanche i nomi degli architetti, dei pittori, dei letterati, degli scienziati che l’hanno costruito e finisce col considerarlo un irriconoscibile ciarpame?”
Forse non tutti condividono lo stesso entusiastico e paralizzante sentimento dello srittore Stendhal alla visione della chiesa di Santa Croce a Firenze, ma come si costruisce il futuro se non dalle macerie del passato? Come si può non comprendere quello che è stato per valutare quello che sarà? Come si può risorgere se non partendo da quello che di grande e di magnifico si ha? Come si possono abbandonare all’incuria del tempo i resti di Pompei o lasciare che le decine di fontane sparse per Roma siano coperte al limite dell’invisibilità da fuliggine e smog?
Non si può. Ecco perchè è necessario, e non doveroso, studiare il greco e il latino, che di morto non hanno nulla; ecco perchè occorre rendere gratuito l’accesso ai maggiori poli museali del nostro paese, come avviene in Francia per esempio; ecco perchè fare anche filosofia e non solo chiacchere, ecco perchè la preparazione, la cultura, l’interessa per la ricerca del senso della vita sono ancora, nonostante il lusso e la teconologia e l’ostentata e solo apparente ricchezza, l’unica speranza.
Lo avevo capito già Dante otto secoli fa: “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza.”
Alice Innocenti
Alice Innocenti, ventun anni, amante delle parole. Di ogni tipo di parola. "Nella vita vera non posso cancellare, tornare indietro, ripensare a quello che ho detto, correggerlo. Allora scrivo. Per prendermi la rivincita sulle parole. Per raccontare come sarebbe andata se avessi scelto quelle giuste".