Tra il finire dell’estate e l’inizio di un autunno molto caldo, una notizia sembra aver sconvolto tutti, il ritiro del maestro Miyazaki dalle scene. In molti hanno scritto a riguardo, per alcuni giorni sulla rete non si è parlato d’altro. Come sempre, in modo organicoconreto, cerchiamo di affrontare in modo diverso l’argomento. Per far fronte alla notizia sono ricorsa ad una frase di uno scrittore che amo molto e che mi aiuta, spesso e volentieri a non soffrire per amore (dell’ arte). Gabriel Garcia Marquez disse, in una pagina letta da me ormai più di dieci anni fa, che i libri per fortuna non sono di chi li scrive, ma di chi li legge. Questa frase, semplicissima, quasi banale (Gabry hai scoperto l’ acqua calda) ci insegna come tutto ciò che vediamo al cinema o nelle gallerie d’arte, o che leggiamo esiste a prescindere dal soggetto fisico che lo ha creato. Se Miyazaki si è ritirato non dobbiamo farci prendere da crisi di isterismo cronico, attaccandoci melodrammaticamente alle tende della nostra biblioteca rivestita in rovere chiedendo al maggiordomo di portarci dei sali; bensì dobbiamo godere di quello che ci ha donato e che ormai ci appartiene.
Detto questo noi amiamo Hayao San (effettuare piccola riverenza orientale, grazie), ma soprattutto amiamo voi e vogliamo tirarvi su il morale regalandovi, tra le altre cose, una carrellata delle più belle immagini tratte dagli artbook dedicati alle pellicole del regista orientale più amato d’Occidente e che trovate disseminate a mò di galleria lungo tutto l’articolo.
Nel corso della globale veglia funebre alla carriera registica del maestro Giapponese, smettiamo di piangerci addosso e pensiamo a tutte le cose per cui è necessario gioire, lasciando da parte il resto.
Prima cosa necessaria da dire che già da sola basterebbe per camminare ad un palmo da terra per tutta la vita: Miyazaki ci ha dato molto. Quest’uomo ha partecipato come regista a due serie di Lupin III, ci ha regalato Conan il ragazzo del futuro dimostrandoci quanto facilmente potesse spezzare i nostri fragili cuori occidentali. Non contento ha continuato instancabilmente a sfornare universi coloratissimi e trame dalle tinte così delicate da far arrossire anche l’anima più oscura. Cosa volete da quest’uomo, il sangue? Probabilmente ha versato contributi a sufficienza per poter andare in pensione e per quanto mi riguarda ha dato un notevole contributo all’ umanità. Riconoscetelo e andate avanti con le vostre vite.
C’era un tempo in cui i cartoni animati giapponesi erano da sfigati. Si lo so, può sembrare assurdo. Tutti abbiamo guardato Ken il guerriero da bambini, e pure I cavalieri dello zodiaco e Dragon ball (prima serie) e Sailor Moon per noi femminucce e Creamy e Magica (maggica) Amy. Ma ad un certo punto della nostra vita hanno cominciato a dirci che i cartoni non andavano più bene.
Beh, ammetto che incaponirsi sulla mitologia di un cartone animato giapponese non è il massimo della figaggine, ciò nonostante ho continuato a leggere manga e a guardare anime fino a che non ho cominciato a fumare riducendo notevolmente il mio budget. Oggi sembra tutto cambiato. In molti guardano ad oriente e farlo non sembra essere più così out. Gran parte del merito va proprio a Miyazaki che con discrezione ha ficcato la testa del grande pubblico sotto le placide e coloratissime acque dell’animazione giapponese. Un esempio su tutti l’ Oscar del 2003 per “La città incantata”, beccatevi questa maledetti yankees!
Ma sdoganare il cinema d’animazione giapponese e dare nuova dignità a tutti noi outsiders, non comporta la semplice operazione commerciale rappresentata dall’uscita delle pellicole in occidente. Il processo è ben più sottile ma soprattutto silenzioso. Se la cozza sa di mare, il cinema di Miyazaki sa effettivamente di Giappone e il Giappone per sua natura è (ahinoi) molto complesso e stratificato. Portandosi dietro millenni di tradizione iconografica e di gestualità codificata figlia del suo teatro tradizionale, il cinema contemporaneo Giapponese è un ghiacciolo mille gusti di cui alla fine non riusciamo a distinguere il sapore preciso, bombardati da simbologie a noi sconosciute, ma che troviamo comunque buonissimo.
Come se avviare la rivoluzione culturale di massa che ha reso noi mangiafumetti delle persone di tutto rispetto non fosse già abbastanza, Miyazaki ha liberato il suo lato femminile.
Ebbene si donne, Miyazaki ci ama, molti dei suoi personaggi femminili raccontano quel lato di noi stesse che abbiamo messo da parte quando abbiamo deciso di metterci i tacchi alti e di fare piccoli passi misurati.Dalla ragazza lupo de La principessa Mononoke, alla giovane progettista di idrovolanti di Porco Rosso la donna (anche se un po’ bambina) non è solo bella da guardare, ma lotta per un ideale o pietrifica una barbara banda di pirati dell’ aria con le sue parole. Insomma, come sempre i problemi li risolviamo noi gentil sesso, anche se molto spesso con la sola forza dei nostri sentimenti…non date ancora fuoco ai reggiseni per adesso e armate l’arco con una delle poche frecce con le quali Miyazaki ci disegna, l’amore.
Infine, pellicola dopo pellicola in un loop di tematiche ricorrenti, partecipiamo inconsciamente ad un corso motivazionale accelerato che ci svela il segreto di una vita felice. Insomma, non dovete sentire la mancanza di Miyazaki, ma DOVETE ESSERE MIYAZAKI (guardate dritti davanti a voi, come dei bravi allievi di una mistica scuola di arti marziali, e annuite con intensità).
Vincere un Oscar? Rapire con le vostre creazioni milioni di spettatori in tutto il mondo? No, quello non lo può fare proprio chiunque. Ma se il lavoro del maestro ci ha insegnato una cosa è stata quella di disseppellire quella parte di noi stessi che abbiamo sepolto secoli fa . Provate ad immaginare di poter aprire la testa di un bambino. In modo figurato ovviamente. Anzi, fate quel miglio in più e provate ad immaginare di aprire la vostra testa di quando eravate bambini. Quali cose straordinarie ci si potevano trovare dentro… Probabilmente questo esercizio è difficile, la nostra immaginazione è bloccata, costipata dalle nozioni scolastiche, dai mojito e dalle cose brutte o comunque bruttarelle che ci sono capitate e che ci impediscono di tornare a quello stato di grazia immaginativa nella quale ci trovavamo un tempo. Ma in alcuni casi ci sono delle persone adulte che riescono ad aprire la propria testa e a trovarci le cose straordinarie di cui parlavo prima, e che non si limitano a guardarle egoisticamente ma le condividono con tutti noi attraverso quella grande macchina dei sogni che è il cinema di animazione. E Miyazaki non si ferma a questo, farci tornare all’ infanzia non significa solo trasportaci in mondi da sogno, mostrati attraverso la lente degli occhi di un bambino che viaggia senza preoccupazione alcuna sulla superficie di una cittadina sommersa da una terribile mareggiata, in compagnia di una sorprendente amica (Ponyo della scogliera).
L’ infanzia rappresenta anche quell’attitudine tutta particolare con la quale un tempo affrontavamo ogni problema della vita. E non importa di quale entità questo problema fosse, assumeva dei tratti molto sfumati, impalpabili, in bocca non aveva alcun sapore. Non perché non fosse importante ma perché tutto ai nostri giovani occhi sembrava facilmente risolvibile.
Più che un fatto anagrafico, l’essere bambini è un atteggiamento, che ci può portare ad affrontare eventi drammatici come quelli descritti ne Il mio vicino Totoro, dove due sorelline trovano il modo di affrontare la malattia della madre creando un mondo immaginario e rassicurante, mantenendo nella difficoltà, la propria innocenza.
La ricerca della perduta giovinezza dunque, da viaggio all’ indietro, si trasforma in un viaggio all’ interno. Tutto quello di cui vi ho parlato in queste righe è ancora presente in ognuno di noi ed è proprio grazie ad un film di Miyazaki che l’ho capito. Provate infatti a pensare a Sophie, ragazza tramutata da un incantesimo in ricurva vecchina, e a come si gode con la tranquilla serenità dei giovanissimi, lo spettacolo offerto dalle acque calme di un lago, nonostante il suo rugoso aspetto (Il castello errante di Howl). Miyazaki in definitiva non si ama solo per quello che ci mostra sullo schermo ma per la sua straordinaria dote, rarissima, di immaginare vividamente e di vivere di conseguenza . Non importa se da qui in poi giocherà a bocce o commenterà i lavori urbanistici per strada con gli altri pensionati, il suo modo di pensare rimarrà invariato, un granitico esempio per tutti noi e un invito a fare lo stesso.
Alla luce di tutto questo, il suo ritiro non vi risulta un po’ più digeribile?
Beatrice Lombardi
Laureanda presso il CITEM di Bologna è nata 26 anni fa dal tubo catodico. Dopo anni di amore e odio con mamma Televisione e papà Cinema ha deciso di percorrere nuove strade ed è scappata con il Web.