Convertire il dolore in arte. È questo lo scopo della terapia fotografica di Cristina Nuñez.
Oscar Wilde non condividerebbe sicuramente questa visione. Lui, come numerosi altri artisti e letterati del XIX secolo, seguiva il principio dell’ “arte per l’arte stessa” sostenendo che essa non deve essere utile all’uomo e dev’essere quindi spogliata di ogni intento morale, didattico o sociale.
Ma Cristina Nuñez lo trova inconcepibile e ci mostra nella pratica come la fotografia sia in grado di abbattere completamente questa concezione. Anzi fa molto di più, ne fa il principio fondante del suo lavoro artistico e la fotografia diventa la terapia dell’autoritratto.
Questa filosofia, neo-umanista per l’esaltazione della dignità e delle emozioni dell’uomo, nutre l’operato artistico di Cristina Nunez.
In uno scambio reciproco di influenze, arte e vita diventano una cosa sola. La fotografia contemporanea è così intesa come puro concetto e non come tecnica.
Perché la luce giusta, quella perfetta, non è gestita artificialmente ma è qualcosa di naturale che affiora dall’inconscio. E’ l’essenza del soggetto.
Negli ultimi dieci anni Cristina ha girato il mondo proponendo la sua terapia a chi ne vuol fare uso. E nel progetto “Higher Self” alcune persone, grazie ai suoi consigli, hanno potuto convertire le loro vulnerabilità e le loro emozioni in un’opera artistica.
Perché l’autoritratto fotografico ha un potere terapeutico. Nel momento in cui realizziamo un autoscatto siamo allo stesso tempo autori, soggetti e spettatori. Quando riusciamo a materializzare il nostro dolore ce ne liberiamo: dal momento che ne facciamo un oggetto distinto esso non è più parte di noi, possiamo osservarlo con i nostri stessi occhi, prenderne coscienza e superarlo.
Cristina Nuñez inizia a fotografarsi in privato nel 1988 per superare la mancanza di autostima che la portò alla tossicodipendenza nell’età adolescenziale. Questa pratica le ha permesso di dare forma alle sue emozioni. La fotografia è stata per lei il giusto, potente strumento per lavorare sulla sua identità.
Il progetto Someone To Love (1988-2011) mette insieme gli autoritratti realizzati da Cristina in 25 anni. Lavoro che le ha permesso di delineare il suo metodo: The Self-Portrait Experience®, un processo di esplorazione interiore condiviso con il pubblico.
Il progetto Someone To Love consiste in 21 fotografie di largo formato e oltre un centinaio di immagini di piccolo formato. La sequenza compone una sorta di Timeline della sua vita. Proprio in relazione con l’attuale tendenza della società contemporanea ad esporre virtualmente una linea temporale fatta di autoritratti.
I vari ritratti dell’autrice sono combinati con immagini significative della storia della sua famiglia, con l’intento di investigare le relazioni con i suoi antenati, mostrando così una costante ricerca delle sue radici e della sua identità attraverso corpi e volti.
Nel video Someone to Love, la voce dell’artista narra la sua storia, il suo innovativo approccio e la sua visione dell’arte come potente strumento di attivismo sociale.
Stefano Gizzi
A volte cerco di ricordare a quando possa risalire il primo fotogramma della mia esistenza, ma non sono mai riuscito a trovare un punto d’inizio. Perché da che ne ho memoria la fotografia ha sempre fatto parte di me.