Giancarlo Rado, è uno di quei fotografi che chiunque dovrebbe conoscere. Il suo stream Flickr (visitatissimo) lo seguivo da un po’ e finalmente mi sono deciso ad intervistarlo.
Ho provato a cercare informazioni su di te, ma non ho trovato nulla di convincente. Ci racconti un po’ chi è Giancarlo Rado?
Giancarlo Rado è un musicista di professione, si possono trovare notizie al sito www.sonatori.net , suono l’arciliuto, la discografia è ampia e variegata, l’ultimo concerto a Graz (Styriarte musikfest il 18 luglio 2013, il prossimo a Berlino in agosto). La fotografia rappresenta però un modo di raccontare diverso dalla musica, ci sono affinità nel senso che entrambe mi appartengono, ma esplorano cosmi diversi, uno (la musica) ha a che fare con lo spazio interiore che prende forma tramite il suono che si fa armonia e spinge all’aggregazione ed alla compartecipazione emotiva. L’altro (la fotografia) è un diario di quanto succede tangibilmente accanto a me, volti, luoghi, situazioni, sentimenti, trasformazioni e riflessioni pubbliche sul vivere. Entrambi però condividono una ricerca di verità, quando suoni devi essere credibile, il tuo stile deve essere corretto, devi leggere a fondo la parte, e poiché sei un interprete che riproduce un segno scritto devi averlo indagato a fondo. Nella fotografia è lo stesso, le situazioni devono essere sincere, le persone devono essere ritratte per quello che sono, devi in un certo senso entrare nei loro panni, essere interessato a loro.
Aprendo il tuo stream flickr sono stato travolto da una moltitudine di sguardi diversissimi tra loro, ma aventi tutti la stessa aria di familiarità con te che li ritrai.
Chi sono veramente i tuoi soggetti?
Le persone ritratte sono distribuite geograficamente in una zona molto ristretta del nord est italiano, ossia quella zona del Trentino che confina col Veneto, poi lungo il Piave fino allo sbocco nel mare e un po’ di Friuli lungo il Tagliamento. Sono persone che mi interessano per quello che fanno per vivere, ci sono persone legate alla terra, altre legate ai servizi, altre che devono ancora decidere cosa faranno e vivono cercando di districarsi alla meglio e in definitiva di salvarsi; nei loro volti leggo un po’ anche la mia storia, quello che avrei potuto essere, le infinite possibilità che ognuno di noi incarna, e fotografando gli altri conosci alla fin fine meglio te stesso.
Come ti relazioni con loro? In che modo e con quale approccio chiedi di posare per te?
Si va da loro e gli si chiede semplicemente se vogliono farsi ritrarre per far parte di un progetto fotografico che porta il nome Gli Italiani, una copia della foto sarà loro consegnata quando pronta etc. Talvolta si scatta subito, altre volte si torna in un momento successivo, altre volte la stessa persona viene fotografata a distanza di mesi. I momenti preparatori allo scatto sono i più importanti, perché si cerca di stabilire un legame spiegandosi, quando poi la persona sarà davanti alla fotocamera verrà invitata a fare certe cose, e poi si scatta, poi una pausa, poi ancora click, e poi si rimisura la luce perché è passata la nuvola, e così passa un po’ il tempo e la persona viene fatta parlare e raccontare di sé, poi si cambia rullo, quando poi ti rendi conto che c’è tutto smetti, dicendo abbiamo finito grazie! Scrivimi qualcosa di te sul quaderno che ti do.
I tuoi soggetti sono estremamente pertinenti al luogo in cui vengono ritratti.
E’ come se il luogo definisse la loro professione o il loro ruolo in quel determinato ambiente.
E’ il luogo in cui viviamo a stabilire ciò che siamo o siamo noi a plasmare ciò che abitiamo in ciò che siamo?
Ci sono ritratti e ritratti. C’è la foto di interno o di paesaggio con figura umana, c’è poi il ritratto più ravvicinato tipo mezzo busto, poi c’è quello con un fondale bianco dietro. In ogni caso l’approccio che è diverso, nel primo caso ti colpisce l’ambiente e cerchi di studiare come si adatta la persona a dove vive, se ci sono condizioni avverse opp. se vive in ambienti notevoli es appartamenti o casa che colpiscono per la singolarità. Il ritratto a mezzo busto cerca ovviamente di cogliere qualcosa che ti interessa e che hai intuito possa trasparire dalla persona, qualcosa che tu leggi appena percettibile e che sia palese nel fotogramma; c’è poi il ritratto su sfondo, in questo sparisce l’ambiente e ti resta solo lo sguardo oltre ai vestiti per capire di più la persona. In generale porto sempre con me il fondale da montare e poi scelgo cosa fare, talvolta scatto con più soluzioni e poi scelgo questo ritratto va di qua l’altro di là nel mio archivio o in questa o quella mostra.
Ho letto che te ne vai in giro con una vecchia hasselblad 6×6, che ad oggi, potrebbe sembrare una soluzione “macchinosa” e poca pratica. Come mai questa scelta? E che rapporto hai con il mondo digitale?
Si gira con un corpo macchina i cui componenti vanno dalla fine degli anni ’60 fino a fine ’80; è un sistema semplice, la luce si misura con un esposimetro, ma spesso le indicazioni vengono corrette ad occhio, puoi vedere riflesso sul vetrino in fondo al pozzetto quello che verrà fuori, capisci subito se funziona o meno, l’unica difficoltà sta nella messa a fuoco accurata. E’ chiaro che questa lentezza deve essere sfruttata per capire meglio il soggetto che hai davanti, e la sua curiosità può diventare una risorsa nei tuoi confronti nel dare il meglio di sé, collaborando ed aprendosi dal punto di vista umano, facendo cadere la maschera che ognuno di noi inconsapevolmente porta.
I rulli vengono poi sviluppati e scansiti ad alta risoluzione, quello che si deve fare poi è un minimo di ritocco dei file, luminosità, contrasto, bilanciamento del bianco..
“Un giorno lungo un anno” E “Italians”. Due progetti distinti, ma con un animo molto simile, che ritraggono spesso pastori, animali e luoghi che sembrano appartenere a un’altra epoca.
Cosa puoi dirci su questi due progetti?
“Un giorno lungo un anno” è un progetto che ritrae le origini dei veneti, trentini e friulani; in questo progetto altre a ritrarre la giornata e la vita del pastore, ho descritto la mia infanzia, trascorsa in aperta campagna in compagnia degli animali, dei contadini e dei pastori, un periodo che affiora sempre nei miei ricordi, con nostalgia intesa come sinonimo di felicità.
Il progetto Italians ha invece a che fare con l’oggi, con le persone che mi circondano e che si interrogano, gli interrogativi che leggo nei loro volti sono quelli universali che ognuno di noi si pone e coincidono con le scelte che siamo tenuti a compiere ogni giorno; parlano di lavoro che va e viene, di incertezza sul futuro, di lotta per cambiare le cose, e talvolta di sconfitte perché le svolte non sono state quelle che volevi e tu devi accettare che sia andata così.
Ci racconti la storia di uno dei tuoi soggetti? Una di quelle che ti sta più a cuore ☺
Ho conosciuto Nicola Alaimo dopo una lunga serie di interposte conoscenze, partite da Treviso ed approdate a Possagno dove Nicola viveva.
Ci eravamo accordati con una comune conoscenza per trovarci una domenica mattina per la fotografia. Nicola aveva lasciato l’Italia negli anni ’70 per andare ad Amsterdam, lavorava laggiù in un caffeeshop, viveva nelle con la moglie giapponese nella casa lasciatagli da Pietro Stilicher, l’ebreo che aveva tirato lo sterco di cavallo alla regina durante una parata. Dalle sue parole echeggiava il ricordo di quegli anni meravigliosi, le notti trascorse davanti al fuoco, ascoltando i Pink Floyd, aspettando l’alba per poi andare a raccogliere funghi nel bosco e cucinarli in una frittata, stare insieme, fumare..
Poi il ritorno in Italia, per assistere la madre malata e non essere più in grado di vivere come lui pensava potesse essere vissuta la vita. Ho pensato per un attimo agli angeli caduti che per tutta la vita cercano invano un sollievo, qualcosa che li possa riportare al paradiso perduto.
Un giorno vedo che il contatore delle sue foto aumenta in maniera vertiginosa, e così per una settimana, con accessi anche da facebook. Alla fine la soluzione un commento sulla foto mi fa capire che Nicola era morto e che le persone amiche con le quali aveva condiviso la sua esperienza di vita si erano ritrovate attorno alla mia foto per un ultimo saluto.
Invio la foto di Nicola e quella fatta da mia moglie Marine che ritrae Nicola e me mentre guardiamo le foto che gli avevo scattato; mi piace la sua espressione compiaciuta!
Ringrazio di cuore Giancarlo per avermi concesso l’intervista e vi invito caldamente a dare un’occhiata al suo strem flickr: http://www.flickr.com/photos/23868213@N03
Alessandro Rossi
Alessandro Rossi, fondatore di organiconcrete e pseudo studente di Ingegneria Edile-Architettura presso "La Sapienza" di Roma. Ossessionato dai buchi temporali, dall'eta adolescenziale, dal trascorrere del tempo, dai rapporti umani e dall'arte. Irrimediabilmente fesso.