Ciao Chiara, immagino che questa domanda te l’abbiano fatta in molti ma non ho resistito.
Il tuo nome d’arte è Himitsuhana. Tu sei salentina, ma che rapporto hai con il Giappone? E perché questo nome?
Himitsuhana è il nome che mi ha “battezzata” fotografa, o meglio visual artist visto che non mi considero una vera e propria fotografa. Quando ero in Giappone e ancora la fotografia non mi interessava per niente, un amico canadese mi propose di iscrivermi su Flickr e scelse lui in mio nickname combinando le 2 parole giapponesi Himitsu (segreto) e Hana (fiore), quindi fiore segreto. Oggi sono molto affezionata a questo nome perché ha rappresentato una seconda nascita per me. Il Giappone ha avuto per me un richiamo irresistibile fin da bambina, ero così ossessionata dalla cultura giapponese che ho voluto impararne la lingua. Non so da cosa è spinta questa passione ma è qualcosa di istintivo e naturale un po’ come per la fotografia.
A proposito del tuo nome d’arte. Avevo trovato i tuoi lavori su Flickr da più di anno, ma a quei tempi, la nostra rubrica, ospitava solamente fotografi italiani. Pensandoti straniera, ti ho aggiunto come contatto ma ti scartai per la rubrica.
La tua prima foto che ho vista (e me ne sono letteralmente innamorato) è stata QUESTA
Ti va di spiegarla a me e ai nostri lettori?
Certamente. Questa foto fa parte di una serie di 4 fotografie scattate su una spiaggia salentina nello stesso giorno. La serie per l’appunto si intitola “The beach”. Questa foto in particolare “We are the sparkle of black and white clashing” è la chiave della serie. Come suggerisce il titolo vi è un contrasto visivo molto forte, bianco e nero, bene e male, dolcezza e aggressività.
Tuttavia il contrasto non vuole essere un elogio degli opposti ma una rappresentazione diversa di ciò che noi consideriamo “diverso”. Siamo portati a scegliere necessariamente tra due strade: può essere il bianco o il nero, il bene e il male, ecc. , ma io sono convinta che l’unica soluzione possibile sia nel mezzo, nella scintilla che si origina dallo scontro degli opposti.
Sulla tua bio leggo che hai studiato Lingue. Come è entrata a far parte della tua vita, la fotografia?
Assolutamente per caso. Fino al soggiorno in Giappone in realtà la fotografia non mi interessava per niente e anzi, non le attribuivo neanche un grande valore artistico dato che, da pittrice, per me la forma massima di arte era appunto la pittura. Poi ho iniziato a sperimentare e ho cominciato a considerare la fotografia come un mezzo di trasporto attraverso cui potevo esprimermi in maniera velocissima mantenendo però alcune qualità della pittura e ho trovato il mio equilibrio artistico.
Vedendo i tuoi lavori, mi è sembrato un po’ riduttivo, inserirti tra i fotografi.
Le atmosfere sono così surreali e i toni definiscono uno stile che si vede bene, ti appartiene. Ma è più un percorso artistico che una fotografia (intesa nel senso più puro del termine).
Come nascono i tuoi lavori? Da dove prendi inspirazione?
In effetti per me una fotografia è solo un punto di partenza, una base su cui creo una struttura molto più complessa. Il mio primo amore, come ho già detto, è la pittura quindi nell’evoluzione verso la fotografia mi è rimasta l’impostazione pittorica che si può vedere nelle mie immagini. Prendo ispirazione da qualsiasi cosa mi ispiri: illustrazioni, dipinti, musica, film, poesie, vita quotidiana; l’ispirazione si concretizza in seguito in un’idea che nasce e cresce fino a che non prende forma nella fotografia e successivamente si completa con la post-produzione.
Scorrendo i tuoi lavori, mi sembra di incappare in dipinti del Botticelli o di Caravaggio. C’è qualche connessione tra te e questi nomi o più in generale con l’arte del 500?
Certamente. I pittori del 500 sono la mia maggiore fonte di ispirazione, in particolare Caravaggio da cui ho ripreso l’uso della luce e dei colori.
Io sono una persona tremendamente ossessionata dal tempo che passa. Cos’è il tempo per te? C’è qualcosa da cui sei ossessionata e che poi inevitabilmente finisce sui tuoi lavori?
Anch’io sono ossessionata dal tempo che passa ma è più una costante inquietudine che una vera e propria ossessione. Ciò che viene naturalmente catapultato nei miei lavori è il mio modo di vivere la quotidianità. Sono una persona eccessivamente sensibile e le mie sensazioni e i miei sentimenti sono il carburante di ogni mia giornata. Se mi sveglio di cattivo umore oppure c’è una particolare situazione che mi angoscia, questa finisce inevitabilmente nelle mie immagini e visto che in generale le mie foto parlano di me, è anche molto naturale che ci sia io stessa nelle foto, ed ecco perché prediligo l’autoritratto.
Non è raro notare nei tuoi lavori, una presenza femminile accostata a una presenza animale. Cani, gatti, uccelli, farfalle meduse…che spesso sono in una posizione così inequivocabile e ben definita, da sembrare essi stessi i protagonisti dello scatto.
Che rapporto c’è (e ci deve essere) secondo te, tra uomo e animale?
Bella domanda… ma in effetti non so cosa rispondere!
E’ qualcosa che mi viene naturale, una naturale associazione di concetti: umanità e natura.
Sono cresciuta e vivo tuttora in campagna quindi la natura, gli animali sono qualcosa che fa parte della mia vita e di cui non potrei fare a meno. Tuttavia trovo che a livello visivo la presenza animale suggerisca numerosi rimandi interessanti e suggestivi: l’istintività, l’aggressività, la pienezza di vita. E trovo che questi elementi associati alla presenza femminile creino una completezza visuale e concettuale. Inoltre la presenza animale è ciò che più mi ricorda l’idea di libertà.
Ringrazio Chiara per avermi concesso l’intervista e vi invito a dare un’occhiata al suo sito: http://www.himitsuhana.com/
Alessandro Rossi
Alessandro Rossi, fondatore di organiconcrete e pseudo studente di Ingegneria Edile-Architettura presso "La Sapienza" di Roma. Ossessionato dai buchi temporali, dall'eta adolescenziale, dal trascorrere del tempo, dai rapporti umani e dall'arte. Irrimediabilmente fesso.