Quell’omino giallo mi fissava sorridente con il suo sguardo ipnotizzante. Nonostante la fascia a tracolla con la data di nascita (1980) non mostrava affatto la sua età. Aveva una pala da birraio nella mano destra e un risplendente calice di birra nella sinistra che mi invitava con la sua tenerezza a provare (pena la punizione con la pala, chissà). Il papillon stampato sul collo della bottiglia e il cuoricino in contrasto sciolsero la riserva di quei circa venti minuti di riflessione che trascorro abitualmente immobilizzato dinnanzi ai neon dei frigoriferi da beershop, per la gioia degli esercenti e di quei bevitori sicuri che vanno subito all’obiettivo prescelto senza tanti indugi (Dio quanto li invidio). L’omino della Oerbier mi aveva già conquistato.
Il Birrificio, situato ad Esen, piccolo paesino delle fiandre occidentali con meno di duemila anime, ha una storia antica. Il suo fondatore fu un medico di nome Louis Nevejan, che lo gestì dal 1835 sino alla sua morte. Nel 1882 il birrificio fu venduto alla famiglia Costenoble, che chiuse la produzione nel 1980. La serrata non fu però definitiva, perché in breve tempo i tre pazzi fratelli Herteeler, insieme alla loro pazza madre, decisero di acquistare il birrificio e riavviare la produzione, dando vita a De Dolle Brouwers (“Birrai matti” per l’appunto, nato dall’affermazione di disappunto del commercialista di famiglia alla notizia delle intenzioni degli Herteleer). Dato l’impegno in tutt’altre occupazioni lavorative degli altri due fratelli, l’attività è stata gestita dall’estroso Kris Harteleer – stravagante personaggio noto per i suoi farfallini, rappresentati anche sul collo delle sue birre – dalla moglie Els e l’instancabile madre.
La Oerbier fu prodotta per la prima volta sui pentoloni in rame di casa, nella classica quantità di 5 galloni (circa 23 litri) tipica delle produzioni casalinghe, e fu la prima ad essere brassata a partire dal 1980 nel nuovo birrificio, diventando il marchio di fabbrica di De Dolle insieme ad altri eccellenti prodotti quali la famosa Stille Nacht (Birra di natale, 12% ABV da colpo alla testa), l’Arabier (birra ambrata – 8% – in stile Golden Ale belga, con aromi erbacei, fruttati e floreali e il gusto secco e rinfrescante) e la Extra Export Stout (Belgian Stout – 9% – prodotta in quantità limitata, con intense note torrefatte, affumicate, liquorose e di frutta sotto spirito).
La Oerbier (“Birra originale”) deve il suo nome all’innovativa ricetta di produzione, che annovera sei differenti tipi di malto, zucchero candito, luppoli Goldings della famosa zona del Poperinge e un lievito in principio fornito direttamente dalla famosa birreria Rodenbach, noto per contenere una certa quantità di differenti tipi di batteri (provare per credere la Gran Cru – paradigma delle Flamish Red Ale). Come stile di riferimento la Oerbier potrebbe assimilarsi ad una Oud Bruin, birra tipica delle fiandre occidentali, ma in realtà per molti aspetti è un prodotto che fa stile a sé.
Il color marrone scuro, oltre che dalle varietà di malti utilizzati, è ottenuto mediante la lunga bollitura del mosto per circa tre ore, che contribuisce a evidenziare nette note caramellate insieme a sentori erbacei e speziati derivanti dai luppoli impiegati, avvertibili in buona misura anche al gusto, con un amaro ben presente e persistente nel finale a bilanciare la componente maltata predominante all’inizio della bevuta. Ciò che rende questa birra speciale è tuttavia il lievito, capace di conferire incredibili aromi di frutta secca (datteri e uva passita) e sotto spirito, frutta rossa “aspra” (susine, prugne), note acetiche, terrose e un intensissimo sentore di vino rosso che emerge nel tempo.
Per natura la Oerbier evolve in maniera profonda nel corso degli anni e si adatta straordinariamente all’invecchiamento. Da giovane, infatti, risulta un po’ “slegata” e “spigolosa” soprattutto nella componente amara e acida/acetica, che rischia di rendere la bevuta un po’ complicata assieme alla carbonatazione troppo evidente, ma che si arrotonda e armonizza perfettamente nel tempo, conferendo un palato morbidissimo ed estremamente complesso.
Per varie necessità questa birra ha dovuto affrontare cambiamenti anche considerevoli nel tempo. La più grande rivoluzione fu sperimentata a partire dal ‘2000, quando la Rodenbach decise di non “concedere” più il suo lievito all’esterno (così fu anche per St. Sixtus/Westvleteren, che rimediò usando lieviti della Westmalle) e chiuse contemporaneamente i battenti la storica malteria Huys. Fu così che Kris impiegò diverso tempo per ritrovare la giusta formula, modificando il bilanciamento dei malti e conducendo un profondo studio sul lievito da utilizzare come sostituto. Grazie all’aiuto di un ragazzo che stava svolgendo attività di ricerca sui lactobacilli del pane, Nick riuscì con successo a ricoltivare il lievito racimolato da otto fusti di Stille Nacht (anch’essa usava lievito Rodenbach in rifermentazione) fatti rientrare dagli USA e inoculando una certa dose di batteri lattici.
Il risultato piacque al birraio ma ne cambiò notevolmente le caratteristiche, con una maggior secchezza e pesantezza rispetto a prima, “un equilibrio spostato più sull’acidità che sulla dolcezza” ed un grado alcolico che passò dal 7,5% al 9%.
Non so dirvi della Oerbier originaria, tantomeno di quella che veniva prodotta nei pentoloni di casa Harteleer, ma la attuale è già tanta roba che non riesco ad immaginarmi molto di più.
Umberto Calabria
Umberto (JJ) Calabria - Jungle Juice Brewing, autistico della birra e ancora "homebrewer" della domenica. "Liutaio" del sabato pomeriggio se ci scappa. Laureato e lavoratore per errore il resto della settimana. Curioso come una scimmia, sempre.