L’amica, colpita da queste parole, tace; Achille e io ci guardiamo sorridenti. lei, lei, di nuovo indugia, con uno sguardo estasiato, sulla figura smagliante dell’Egineta: fincé l’altra, timorosa, le si avvicina e le ricorda che mi deve ancora una risposta. Allora, tingendo la corazza, giù fino alla cintola, col rosso delle guance – fosse furore, fosse invece vergogna – confusa e fiera e scatenata insieme: che è pentesilea, dice rivolta a me, regina delle Amazzoni, e che dalla faretra verrà la sua risposta!”
Il teatro è pieno, luci accese, sono puntuale, gente che chiacchiera, poltrone rosse, programma di sala, non avevo dubbi, la curiosità mi logora, accrediti, quella deve essere Federica Italiano, Alessia Gatta, posto riservato in seconda fila, c’è anche Stefano della redazione, mi siedo, osservo disinvolto, mi volto, il pubblico, la giacca e la cravatta, giovani, tanti. Poi. Le luci si spengono. E. Comincia. A Mazon.
Un flusso di coscienza impalpabile, continuo, che si perde nel tentativo di ricostruire il racconto della prima nazionale di A Mazon (di cui vi avevamo già parlato qui) e che finisce inevitabilmente per oltrepassare la soglia dell’inadeguatezza.
Perchè certe cose non smettono mai di stupirti. E te ne accorgi solo quando ti scontri con il muro dell’Arte (quella con la A maiuscola), mentre tenti invano di raccontare qualcosa che per sua stessa natura ripudia descrizioni di sorta e si appella ad un unico claim: vivimi!.
Perchè A Mazon è uno spettacolo che va vissuto, accarezzato, guardato con intensità e sfiorato con la mente. Un sottile gioco di luci e ombre, parole sussurrate, note cariche di energia, spazi che si trasformano improvvisamente, su un palcoscenico camalentonico e ben studiato, che vira verso un crescendo emozionale e contrastato.
A Mazon percorre le indefinite strade del bene e del male, dell’uomo e della donna, della vita e della morte, in un torrente di dualismi che inghiotte lo spettatore e lo invita a (pro)seguire trasversalmente la strada dell’ignota salvezza. E lo fa con una disarmante maestria, schierata in campo dall’abile e geniale Alessia Gatta, che per l’occasione si lascia ispirare dal celebre dramma Pentesilea di Heinrich von Kleist scritto nel 1807 ed escluso dalle scene tedesche per più di mezzo secolo.
I Ritmi Sotterranei si infilano le maschere e si sfilano l’etichetta di ballerini, forgiandosi artisti, attori e autori di uno spazio che si scopre pian piano e diventa scenario di battaglie, invasioni e drammi. Si muovono in maniera incredibilmente eterea in un perfetto stato di simbiosi con loro stessi e con tutto il team della compagnia.
I suoni elettronici di Fedrica Italiano, sussultano ripetutamente, a tratti si fanno strazianti, si sposano alla perfezione con una coreografia mai banale che a sua volta si sposa benissimo con le videoproiezioni dei Quiet Ensemble e con le luci dirette da Marco Policastro, in un matrimonio poligamo in cui ogni artista incide profondamente sull’anima dello spettacolo. Le poesie e la voce di Giovanni Fontana, a volte appena sussurata, chiude un cerchio di per se già perfetto, in cui lo spettatore si lascia travolgere dalla forza di una performance artistica che coinvolge e sconvolge, creando attimi di perfetta sintonia tra chi apprende e chi racconta.
Finito lo spettacolo, con qualche brivido lungo la schiena, ti accorgi inevitabilmente che la danza contemporanea italiana (quella vera e di qualità) c’è. Esiste. E’ viva. Sgomita tra i soliti nomi noti, infangata da talent show che non gli rendono giustizia e si fa carico di educare una nazione poco recettiva e molto statica sotto il punto di vista artistico.
Alessia Gatta e i suoi Ritmi Sotterranei, stupiscono, convincono anche gli scettici e strappano al pubblico del Vascello un meritatissimo e lunghissimo applauso. Frutto di un lavoro fatto con dedizione ed encomiabile sacrificio.
Noi di Organiconcrete ammiriamo.
Applaudiamo…applaudiamo….applaudiamo…applaudiamo…appluadiamo. Continuiamo ad applaudire.
Incoraggiamo
E restiamo a guardare.
Alessandro Rossi
Alessandro Rossi, fondatore di organiconcrete e pseudo studente di Ingegneria Edile-Architettura presso "La Sapienza" di Roma. Ossessionato dai buchi temporali, dall'eta adolescenziale, dal trascorrere del tempo, dai rapporti umani e dall'arte. Irrimediabilmente fesso.