Copenhagen – 3 maggio 2013 (era un venerdì)
E poi ti svegliano alle 11 di sera, un paio d’ore di blackout e morte celebrale tra le coperte in pieno stato comatoso. Pinta d’acqua, Oki volante e vento gelido in faccia sfrecciando in bici a pompare l’aripijo rapido da minuti contati prima dell’arrivo alla prossima festa. E poi via libera al successivo hangover.
Era metà ottobre quando in occasione della laurea dello storico amico compagno di bevute (beerhunter e medico nella stessa persona che sembra quasi la perfezione per momenti del genere) con il grafico stiloso del trio ci imbattemmo nella pubblicità del Copenhagen Beer Celebration 2013, organizzato da Mikkeller nei giorni 3 e 4 Maggio. Una sessione il venerdì e due il sabato per celebrare le “migliori realtà” della scena birraria mondiale: 30 birrai da tutto il mondo con ognuno 3 birre in degustazione per singola sessione in modalità “bevi fino alla morte”, prezzi di ingresso da far impallidire e biglietti per le tre sessioni complessive e le due del sabato terminati in poche ore. Una rapida telefonata, scambio di consensi, e la via del click per l’acquisto di tre dei pochi ingressi rimasti per la sessione del venerdì pomeriggio rimane solo una questione di formalità.
Mikkel Borg Bjergsø di Mikkeller è attualmente il capostipite del nuovo movimento birraio artigianale Danese, oramai affermato birraio portavoce del filone gypsy brewers famoso in tutto il mondo: Un paio di locali aperti in città (di cui uno molto cool di recente apertura: il Mikkeller & Friends Bar and Bottle Shop), uno a San Francisco e decine di collaborazioni in giro per il globo, di cui molte negli Stati Uniti. Il movimento Danese, oramai una realtà anche se relativamente giovane, condivide con quello italiano le stesse radici di risveglio da un tradizionale torpore birraio legato alla grande industria – Tuborg e Carlsberg – e il seguente annichilimento da birra di massa, anche se le modalità di “rottura” rispetto alle secolari tradizioni birraie europee risultano in questo caso ancor più marcate (molto simili, per capirci, alla fortunata “rivoluzione inglese” di Brewdog) e per questo talvolta non apprezzate integralmente da alcuni. La curatissima selezione del packaging, dello stile, e una netta vicinanza alla corrente “hipster” urbana hanno messo in moto un grandissimo fermento di giovane pubblico il cui epicentro modaiolo risiede in gran parte nel quartiere a nord del centro, Nørrebro (leggi Hipster Ale di Evil Twin Brewing e la Nørrebro Bryghus).
Arriviamo belli in forma per il CBC con un piatto di pasta a secco a far spessore nella pancia e la location con l’organizzazione super curata in pieno stile nordico danno già quel qualcosa in più che spesso manca ai sempre più numerosi eventi birrai in giro per l’Italia: nonostante le numerosissime persone presenti e i rischi da modalità open beer è tutto stato estremamente vivibile, con tanti servizi igienici (pulitissimi) e spillature agli stand che spaccavano il secondo. Il poco tempo della sessione invece (dalle 15.00 alle 20.00) è risultato un po’ stringente per l’ansia di provare TUTTO con il conto alla rovescia per la chiusura, anche se la modalità adottata dal gruppo – una birra ognuno per birrificio al giro tra i tre – ha funzionato alla grande per le degustazioni (e per la sbornia finale…).
Dopo qualche giorno per riordinare le idee e ricostruire i ricordi annebbiati posso dire con un ragionevole grado di sicurezza che gli americani di Hoppin’ Frog sono risultati i più sorprendenti. Da capogiro la loro complessissima e allo stesso tempo incredibilmente morbida Barrel – Aged Boris the Crusher Imperial Oatmeal Stout (9% Abv), versione invecchiata in botti di bourbon della già ottima birra base, anch’essa in degustazione in splendida forma. Lo stesso Mikkeller si è presentato, ovviamente, in grande spolvero con tre versioni differenti di un’altra Imperial Stout, la George Barrel Aged (12% Abv), invecchiata rispettivamente in botti di Bourbon, Calvados e Cognac. Interessantissima la obbligata degustazione incrociata delle tre, ciascuna nettamente differente dall’altra ed estremamente caratterizzata dal legno di provenienza, soprattutto la Calvados Ed., anche se la più armonica è risultata probabilmente la Cognac.
Da segnalare tra gli ‘mericani più in forma Three Floyds – Zombie Dust American Pale Ale (6,4% Abv), Against the Grain! – Shart Pants Double IPA (9.1 % Abv) e la sorpresa Westbrook Brewing Co. con la 2nd Anniversary Cap’n Skoon’s Ballistic Imperial Stout (10% Abv) e l’interessantissima Belgian Sour Ale Grumpy Old Time (11% Abv). Decisamente sotto le righe rispetto alle aspettative Stillwater Artisanal Ales e Cigar City Brewing Co., con prodotti non eccezionalmente accattivanti. A sorpresa invece, nonostante la produzione oramai di massa, ha stupito anche Brewdog, con una super Abstrakt AB12 (11,7% Abv), una Imperial Black Belgian Ale invecchiata in botti di whisky scozzese con l’aggiunta di more e lamponi.
Un cenno a parte meritano i più o meno nuovi esponenti della scena danese, adocchiati con particolare interesse. Sopra agli altri per carattere e innovazione i giovani di To Øl, allievi di Mikkeller in pieno stile gypsy (“allievi” nel vero senso del termine, tra i banchi di scuola in cui Mikkel insegnava durante la settimana e aveva il permesso di organizzare delle sessioni di produzione nella mensa scolastica nel corso della notte e dei weekend). Con numerose birre già presenti nei suoi bar questi ragazzi si sono presentati al CBC con l’originale “Fuck Beer, let’s party” – una cocktail session basata su tre birre della casa, con un corredo scenografico in perfetto stile. Decisamente interessanti le combinazioni basate su una loro Geuze con scorza limone e panna e una sorta di White Russian degno di Big Lebowsky (troppo inoltrato il pomeriggio per ricordare i tipi di alcolici dei cocktails…). Ai limiti delle solite birre anche gli altri “zingari” di XBeeriment, con una edizione della #44 Smoked Stout (7,7% Abv) passata in botti di whisky a rimarcarne il carattere torbato e due esperimenti molto particolari: la Berthold Brett Reads Das Kapital (9,7 % Abv) – una Belgian blonde Strong Ale di base, invecchiata in botti di Moscato per due anni, travasata e maturata con lamponi e ulteriormente inoculata con brettanomiceti (classici lieviti “selvaggi” tipici del Lambic) – e la Agent Orange – stesso percorso della precedente, con pesche in maturazione. Da segnalare anche 8Wired Brewing Co., fondata da un altro danese trapiantatosi in pianta stabile in Nuova Zelanda – da capogiro il suo Bumaye (17% Abv), un Barley Wine invecchiato sedici mesi in botti di Pinot noir.
Come concludere se non con un paio di considerazioni molto gradite?
- Ho piacevolmente notato un certo allontanamento dall’uso esasperato del luppolo da amaro ed aroma anche per i birrai americani (tradizionalmente loro marchio di fabbrica), in favore di una tendenza agli esperimenti e all’uso sfrenato (come avrete notato) del legno sia per le “birre acide”, sia per birre “da meditazione” estremamente strutturate come Barley Wine e Imperial Stout, vere regine della manifestazione (troppo!)
- Calcolando la media delle birre presenti e nonostante la presenza di esemplari davvero unici, per qualità, inventiva e poliedricità la Birra artigianale italiana, in molte delle sue più alte espressioni, può tranquillamente spaccare il culo ai più.
SKÅL! (salute!)
Umberto Calabria
Umberto (JJ) Calabria - Jungle Juice Brewing, autistico della birra e ancora "homebrewer" della domenica. "Liutaio" del sabato pomeriggio se ci scappa. Laureato e lavoratore per errore il resto della settimana. Curioso come una scimmia, sempre.